5, 2011
 
Wunderkammer    
 


Il quinto libro di lettere dedicatorie di diversi (Bergamo 1602)

a cura di Monica Bianco



Il Quinto libro di lettere dedicatorie di diversi fu pubblicato a Bergamo da Comino Ventura nel 1602. Composto da 36 carte, contiene 15 dediche, il numero più basso dall’inizio della silloge (il primo libro ne raccoglieva 79, il secondo 35, il terzo 25, il quarto 21). Sulla sorte della raccolta Comino rassicura il «saggio Lettore» nella lettera che si legge subito dopo la dedicatoria (cc. n.n. [3v-4v]): «non attendendo io, per le cagioni che nel quarto tomo accennai, a far scelta di queste lettere, ne restano sempre adietro di nuove e vaghe, oltre quelle che compaiono di fresco, le quali sovente, non meno di quel che si faccia il Sole a Diana, rubbano il vanto di bellezza» (c. n.n. [3v]). Timoroso che il lettore possa pensare «che quanto più oltre si stende il numero di questi volumi tanto meno ci resti di perfettione e leggiadria» (c. n.n. [3v]), il Ventura si appella a una delle leggi non scritte che regolavano il meccanismo dell’offerta libraria: «Hor della continuata bontà e vaghezza di questa fatica non posso darti, saggio Lettore, più evidente dimostratione che la Dedicatione di questo volume, la quale, essendo direttiva al più compito, savio e meritevol vertuoso di quanti habbia famigliarmente praticati, recati chiarissima evidenza delle qualità dell’offerta e dono. Conciosia che a’ grandi non si danno cose picciole, devi accertarti della isquisitezza del contenuto di queste carte dall’eminenza della persona a cui si dedicano» (c. n.n. [4r]). Garante della qualità della raccolta è Lodovico Brigienti, nato a Lovere nel bergamasco, dottore in teologia e legge canonica, protonotario apostolico e canonico del Duomo di Bergamo. Ottimo conoscitore della lingua latina, greca ed ebraica il Brigienti si distingueva per le doti oratorie; della sua vasta produzione si legge a stampa soltanto l’orazione Ad amplissimum Bergomi Episcopum D. Iohannem Baptistam Milanum (Bergamo, Comino Ventura, 1592). Era fratello di Giacomo Brigienti, pure dottore in teologia e legge canonica, autore di una versione volgare della Oratione fatta da Mauritio Bressio [Maurice Bressieu] a nostro signore Clemente ottavo per Henrico III christianissimo re di Francia edita da Ventura nel 1597 (la dedica a Carlo Maffetti in Primo libro, cc. 70v-71r; cfr. «Margini», 1, 2007). Nella dedicatoria, del 24 luglio 1602, il Ventura si sofferma, ancor prima che sulle doti intellettuali e morali del Brigienti, sulla sua opera di dedicante: «chi più di lei ha fregiato i primi fogli di lodi altrui? Chi ha miniato più titoli de libri con i meriti de letterati e Cavaglieri? Chi ha dato l’anima e spirito a nuovi soggetti con più espressi affetti di gratitudine et amore, d’osservanza et divotione? In somma chi ha più della [di] lei dotta mano et ubidiente penna vagamente colorite le prime faccie dell’opre uscite o dalla mia povera o della ricca stampa altrui?» (cc. n.n. [2r-v]). Il Ventura si riferiva, tra le altre cose, alla composizione da parte del Brigienti di due lunghe dediche latine che lo stampatore aveva firmato e preposto a due edizioni uscite nel 1593 – il Compendium manualis Navarri Petro Alagona auctore e la Sacrosancti canonis missae expositio pia et catholica a doctissimo viro Gabriele Biel [...] in epitomen contracta – offerte rispettivamente ad Antonio Bignami, dottore in leggi e canonico penitenziere nella cattedrale di Lodi (a lui il Ventura dedicava nel 1594 il trattato Dello ammogliarsi di Ercole Tasso: cfr. Primo libro, cc. 45r-46r in «Margini», 1, 2007) e al bolognese Valentino Pino, priore dei Canonici Regolari di San Salvatore. L’attività e l’abilità del Brigienti in questo specifico genere epistolare motivano il dono di una raccolta di dedicatorie di diversi: «Ogni ragione dunque vuole che una volta lei ancora senta un riflesso, oda un echo, raccolga un frutto delle sementi, delle voci, de’ raggi che in fronte d’infiniti altrui componimenti ha con somma lode sparsi» (c. n.n. [2v]). In linea con quanto affermato dal Ventura nella lettera al «saggio Lettore» il volume si compone in buona parte di lettere dedicatorie uscite nei primi mesi del 1602 (sei su quindici). La raccolta si apre con la dedica di Cesare Campana a Carlo Emanuele I di Savoia, datata 10 aprile 1602, della prima parte della sua Guerra di Fiandra (Della guerra di Fiandra Fatta per difesa di Religione da Catholici Re di Spagna Filippo Secondo, e Filippo Terzo di tal nome [...]. Parte Prima; Che contiene le cose avvenute dall’Anno 1559 fin’al 1579, Vicenza, Giorgio Greco, 1602: cc. 1r-2r): l’offerta è motivata dal fatto che «furono buttati li pestiferi semi della guerra di Fiandra subito che di quelle già felicissime Provincie lasciò il governo, per tornar a reggere i suoi Stati, l’Invitto Emanuel Filiberto, Padre di Vostra Altezza Serenissima» (c. 1r). Dell’opera, suddivisa in tre parti, il Quinto libro presenta anche le altre due dediche: nella prima, del 22 marzo 1602, al «Camerlengo et Eletti al Magistrato della Città dell’Aquila», il Campana si augura che il dono sia tanto gradito da «non pur purgar ogni mia passata contumacia appresso le molto Ill. SS. VV. ma da guadagnarmi alcun merito, sì ch’io possa sperarne per innanzi quei vivi segni di benivolenza verso i miei figli» (Della guerra di Fiandra Fatta per difesa di Religione dalla Maestà di Don Filippo Secondo Re di Spagna. [...] Parte seconda. Che contiene le cose avvenute dall’Anno 1578 fin al 1593, Vicenza, Giorgio Greco, 1602: cc. 11r-13v: la citazione a c. 13v); nella seconda, datata 25 aprile 1602, al condottiero bolognese Pirro Malvezzi (1540 ca.-1603), marchese di Castel Guelfo e San Polo, lo storico si augura che la sua opera otterrà «honesta lode», dal momento che narra di una guerra dalla quale «si è appreso il miglior modo di trattar le cose militari, che si sia mai per l’adietro fatto» (Della guerra di Fiandra Fatta per difesa di Religione dalle Maestà di Don Filippo Secondo, et Terzo Re di Spagna. [...] Parte Terza. Che contiene le cose avvenute dall’Anno 1593 fin’al 1601, Vicenza, Giorgio Greco, 1602: cc. 15r-18r: citazioni a cc. 16v e 15v). Di Cesare Campana (1540-1602), nato a L’Aquila, ma vissuto tra Vicenza e Legnago, dove fu pubblico precettore, Accademico Olimpico, storico e poeta, Ventura aveva proposto nel Quarto libro (c. 23r; cfr. «Margini», 4, 2010) la dedicatoria a Ranuccio Farnese dell’Assedio e racquisto di Anversa (Vicenza, 1595), monografia poi rifusa nella Guerra di Fiandra. Alla prima dedica del Campana segue quella di Alessandro Maganza (Vicenza, 1556-ivi, 1632), del 1 maggio 1602, al conte vicentino Girolamo Pagello. La breve lettera accompagnava i versi composti dal Maganza per commemorare la morte prematura di Pagello Pagello, figlio del dedicatario (cc. 2v-3r). Il Maganza – pittore a capo di una bottega molto attiva in ambito vicentino, figlio di Giovanni Battista, poeta in pavano, noto con lo pseudonimo di Magagnò – ricorda nella lettera il valore dimostrato in battaglia dal giovane, affermazione confermata da Cesare Campana, che nella Guerra di Fiandra ricorda il Pagello «Vicentino, giovanetto che Venturiero militava in quella guerra» rimasto «non leggermente ferito in un braccio» sotto Neouil nel 1593 (Terza parte, c. 1v). Di qui, forse, l’accostamento della dedica alla prima delle tre relative all’opera del Campana. La dedicatoria successiva (cc. 3v-4r), firmata da Comino Ventura e datata 12 luglio 1602, offre al veneziano Costantino Panarello, coadiutore del prefetto di Bergamo Giovanni Andrea Venier, una raccolta di rime di diversi in suo onore. Di questa silloge poetica, non registrata negli Annali dello stampatore compilati da G. Savoldelli, non si è conservato, a quanto mi risulta, nessun esemplare, come della precedente in morte del Pagello. Del dedicatario il Ventura loda la «stretta congiontione che ha con Apollo e [il di] lui choro» e il «valor dell’arme scoperto nel famoso Torneo di Cavernago» (cc. 3v-4r). Il torneo, organizzato in occasione delle nozze di Caterina di Francesco Martinengo Colleoni con Enzo Bentivoglio, era stato descritto nel Dialogo de’ giuochi di Matteo Machiero, edito dal Ventura nello stesso anno. La sesta e ultima dedica del 1602, di pochi giorni precedente a quella del Quinto libro (20 luglio), è posta a chiudere la raccolta. Si tratta dell’offerta da parte dell’editore Giovanni Battista Bozzola – attivo a Brescia e a Bergamo (dove si serviva della tipografia di Comino Ventura) e continuatore dell’attività del padre Tommaso e del nonno Giovanni Battista – del trattato Della mercatura et del mercante perfetto di Benedikt Kotruljević al mercante bergamasco Francesco Pesenti (Della mercatura et del mercante perfetto. Di Benedetto Cotrugli Raugeo. Libri quattro, Brescia, Alla Libraria del Bozzola, 1602: cc. 34 [n. err. 25]v-35r). Nella lettera il Bozzola afferma di essere venuto a conoscenza dell’opera del Kotruljević (Ragusa di Dalmazia, 1416-L’Aquila, 1469) proprio grazie al Pesenti, suo vecchio amico e benefattore. Di Antonio Bozzola, fratello di Giovanni Battista, Ventura aveva pubblicato la dedicatoria a Vittorio Lupi delle Annotationi et emendationi nella tradottione [...] de’ cinque libri Della materia medicinale di Dioscoride [...] dell’ecc. [...] Antonio Pasini, Bergamo, Comino Ventura ad istanza degli Eredi di Tommaso Bozzola, 1600 (Secondo libro, c. 16r-v; cfr. «Margini», 2, 2008). Le rimanenti nove dediche che completano il volume sono anteriori al 1602. La più antica è quella che il patriarca di Aquileia Daniele Barbaro (Venezia, 1513-ivi, 1570) – letterato, filosofo, traduttore e commentatore di Vitruvio – scriveva al principe di Salerno Ferrante Sanseverino (Napoli, 1507-Avignone, 1568) per offrirgli la prima edizione dei Dialoghi dell’amico Sperone Speroni (I dialogi di Messer Speron Sperone, Venezia, Figliuoli di Aldo Manuzio, 1542: cc. 7r-8v). La lettera è di notevole interesse per la storia dei Dialoghi, perché chiarisce in parte la preistoria dell’edizione, nata in seguito al plagio operato da Alessandro Piccolomini, che in quegli anni frequentava, come lo Speroni e il Barbaro, l’Accademia degli Infiammati, di due dialoghi del padovano (Dialogo d’amore e Della cura familiare) nel suo De la institutione di tutta la vita de l’homo nato nobile e in città libera (Venezia, Girolamo Scotto, 1542). L’offerta al Sanseverino da parte del curatore, che dice di operare a insaputa dell’autore, è motivata, tra l’altro, dal fatto che il principe era stato dedicatario del Dialogo d’amore. Lo stesso Alessandro Piccolomini (Siena, 1508-ivi, 1578) è presente nella raccolta con la dedicatoria, datata 28 aprile 1550, a papa Giulio III, della prima parte della sua Filosofia naturale (La prima parte della filosofia naturale di M. Alessandro Piccolomini, Roma, Vincenzo Valgrisi, 1551: cc. 26v-34 [n. err. 25]r). Si tratta di una lunga lettera nella quale il poeta, drammaturgo e filosofo senese, dopo aver presentato il piano generale dell’opera, giustificava la scelta del volgare per un trattato di filosofia con la volontà di avvicinare ad essa molti lettori, prima esclusi dal solo fatto di non conoscere il latino; per essere compreso dal maggior numero di lettori aveva inoltre deciso «quanto all’ordine poi, et allo stile, et compositione ampliando, dichiarando et alluminando, allargarmi et stringermi secondo il bisogno [...] tenendo sempre come berzaglio dinanzi agli occhi l’agevolezza ch’io mi sforzo di portare a chi sia per leggere i libri miei» (c. 36r). Il Piccolomini, scoraggiando chi intendesse affrontare la lettura credendo «di poter senza alcuna avvertenza gustar le cose che vi sono» (c. 36v), ricordava che per comprendere il suo trattato era necessario conoscere la logica, per la quale rimandava al suo L’instrumento de la filosofia, edito nello stesso 1551 (la dedica in Sesto libro, cc. 18r-19v; cfr. «Margini», 5, 2011). Nel 1585 il nipote di Alessandro, Porzio Piccolomini, allora ventiduenne, ripubblicava L’instrumento e le due parti della Filosofia naturale, aggiungendo una terza parte di sua composizione (Della filosofia naturale di M. Alessandro Piccolomini, distinta in due parti, con un trattato intitolato Instrumento. E di nuovo aggiunta a questa la terza parte, di Portio Piccolomini suo nipote, Venezia, Francesco de’ Franceschi, 1585). L’offerta al cardinale Luigi d’Este (Arezzo, 1538-Montegiordano, 1586) – motivata con l’esempio dello zio «il quale dedicando la precedente parte di questa Filosofia all’Illustrissimo Cardinale di Ferrara [Ippolito d’Este: cfr. Sesto libro, cc. 15r-17v in «Margini», 5, 2011] acquistò fra molti altri singolari favori la buona gratia di sì generoso principe» – si legge a c. 23 [n. err. 29]r-v (la citazione a c. 23v). Si ricorda che due dediche di Alessandro Piccolomini, quelle che precedevano i trattati Della grandezza della terra et dell’acqua e La prima parte de le theoriche o vero speculationi dei pianeti, editi nel 1558, erano state proposte da Ventura nel Quarto libro alle cc. 16v-22r (cfr. «Margini», 4, 2010). Di una decina d’anni successiva alla dedica di Alessandro Piccolomini è quella scritta dallo stampatore Gualtiero Scotto al cardinale veneziano Alvise Corner (Venezia, 1517-Roma, 1584; dal 1560 arcivescovo di Bergamo), e preposta all'edizione postuma de Gli Asolani di M. Pietro Bembo (Venezia, 1553) curata dagli esecutori testamentari dell'autore. A Girolamo Quirini e Carlo Gualteruzzi è attribuita la scelta del dedicatario, nipote abiatico di Giorgio, fratello della regina di Cipro Caterina Corner, alla cui corte è ambientato il dialogo. Nel Quarto libro alle cc. 33r-34v, 40v-42v (cfr. «Margini», 4, 2010) si leggevano, nel volgarizzamento di Lodovico Domenichi, le “prefationi” con le quali Paolo Giovio (Como, 1483-Firenze, 1552) offriva a Cosimo I de’ Medici (Firenze, 1519-ivi, 1574) i primi quattro libri dei suoi Elogi. La serie continua nel Quinto libro con quelle, allo stesso Cosimo I, dei libri quinto e sesto, contenenti gli elogi dei condottieri contemporanei, ma già defunti, il secondo dei quali si apre con quello di Giovanni dalle Bande Nere, padre del dedicatario (Gli elogi. Vite brevemente scritte d’huomini illustri di guerra, antichi et moderni, di Mons. Paolo Giovio [...] tradotte per M. Lodovico Domenichi, Firenze, Torrentino, 1554, cc. 4v-6v). Nell’ambito degli scritti biografico-encomiastici rientra anche la Historia della vita, et fatti dell’eccellentissimo capitano di guerra Bartolomeo Coglione (Venezia, Grazioso Percaccino, 1569), che l’autore, il letterato bergamasco Pietro Spino (1513-1585), dedica alla sua città natale (c. 14r-v). Del molto tempo impiegato per comporre l’opera, tanto più non trattandosi di uno scritto voluminoso, lo Spino si scusa, adducendo a sua discolpa che le ricerche documentarie sono state lunghe e difficoltose e che gravi cure l’hanno talora distratto. Completano la raccolta due dedicatorie, entrambe del 1565. La prima, del 27 giugno, è indirizzata da Orazio Toscanella (Firenze, 1520-Venezia, 1579) – maestro di scuola e autore di fortunati manuali scolastici – al nobile veneziano Andrea Contarini, per offrirgli il suo Prontuario di voci volgari, et latine, copiosissimo. Per imparare con somma brevità, et facilità a scriver latino (Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1565). Nella lettera (cc. 9r-10v) il Toscanella, dopo aver lodato con parole appassionate l’invenzione della stampa, più efficace nel conservare la memoria dei marmi su cui gli antichi incisero i nomi dei personaggi di valore («Le stampe sono durabili, le stampe sono saldissime, le stampe sono eterne», c. 10r), ed essersi soffermato sul fatto che il maggiore onore che un uomo possa procurarsi è di stampare le proprie opere, conclude con l’elogio della pratica di dedicare i libri a stampa, indicata come il modo migliore per onorare coloro che meritano perpetua lode. La seconda, datata 17 novembre, è scritta da Tommaso Porcacchi (Castiglion Fiorentino, 1530-Venezia, 1585) al monaco camaldolese, e più volte generale dell’Ordine, Gregorio Macigni, e accompagna l’offerta delle Lettere di XIII huomini illustri: alle quali oltra tutte l’altre fin qui stampate, di nuovo ne sono state aggiunte molte da Thomaso Porcacchi (Venezia, Giorgio de’ Cavalli, 1565, cc. 24r-26r). Il Porcacchi – poeta, storico e geografo, collaboratore di Gabriel Giolito de’ Ferrari, per il quale curò una collana di storici antichi, in parte da lui stesso volgarizzati (ad es. Plutarco, Giustino, Curzio Rufo) – era stato messo in contatto con il Macigni, al quale aveva dedicato tre anni prima anche la sua edizione delle Commedie dell’Ariosto, da Mario Cotti, luogotenente di Fabiano de’ Monti, nipote di papa Giulio III. Il dono di un volume di lettere, che porge all’amico per scusarsi di non avergli scritto e come testimonianza del suo affetto, non deve sembrare sconveniente, perché «a niuno, per Monaco heremita che sia, disdice lo studio delle discipline più eleganti et massimamente la pulitezza di vaga et leggiadramente dettata lettera» (c. 31r). Il Quinto libro è concluso, al solito, dall’indice degli «Authori delle Lettere» (c. 35v) e da quello dei «Personaggi a’ quali sono dedicate le Lettere» (c. n.n., ma 36r).



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  Indici


Desidero ringraziare Giammaria Savoldelli per avermi aiutato nella ricerca di documenti su Costantino Panarello e sul torneo di Cavernago, inviandomi la riproduzione del Dialogo de’ giuochi di Matteo Machiero (Bergamo, Comino Ventura, 1602) e della Raccolta di diversi componimenti nello sponsalizio fra [...] don Entio Bentivoglio e donna Caterina Martinenga (Bergamo, Comino Ventura, 1602).

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