1, 2007
 
Saggi    
 
Abstract


Sara Garau

Tra paratesto e testo: dediche nell'opera di Ippolito Nievo


Passando in rassegna le dediche nelle opere di Nievo, che pure sono di numero relativamente esiguo, colpisce subito la presenza di diversi tipi del testo di dedica: da un lato nel ricorso ai versi o alla prosa a seconda che la dedica sia premessa a una raccolta poetica1 o a testi narrativi2 - criterio formale che l'autore segue anche per i testi di tipo prefatorio3 - dall'altro nella scelta e nella presentazione dei dedicatari. Questi possono essere personaggi reali ma anche entità astratte, presentate a loro volta come reali: le "mie figlie" a cui è intitolata la poesia dedicatoria delle Lucciole (1858) per esempio, sono proprio le «lucciolette»4 che danno il titolo alla raccolta, ovvero i pensieri del poeta e la loro trasposizione in poesia; la «mia prima amica» a cui è dedicato il frammento narrativo Il pescatore di anime dell'anno successivo, non è una donna, bensì la «penna dei famigliari racconti e delle poetiche novelle».5 I dedicatari reali possono essere indicati esplicitamente - la dedica a «Emanuele Ottolenghi» del dramma inedito Emanuele (1852)6 o quella del Varmo (1856) «A Francesco Verzegnassi»7 - oppure in modo cifrato, come nella poesia dedicatoria premessa ai Versi del 1854 A M. F., o anche in singoli testi poetici con dedica (per esempio: Pane e vino. Ad Andrea C… [Cassa], Gli speziali. Ad O. approvato farmacista, La laurea. Ad Enrico… [Boselli])8, dove accanto alla forma incompleta del nome è da notare la destinazione sempre privata della dedica.
Soffermiamoci ancora sulla poesia A M. F., a Matilde Ferrari, il primo amore di Nievo, ben attestato dal suo epistolario.9 Quella che potrebbe sembrare infatti una tipica dedicatoria alla donna amata con altrettanto topico occultamento del nome della donna,10 si rivela invece ben presto un'operazione tutt'altro che consueta. Né i versi della dedica, né la raccolta stessa s'intendono infatti destinati agli occhi della donna:
     Poveramente adorne, e a volgar occhio
Sol da studio d'eccentrico contrasto
O da bile spirate, al nome tuo
Simbolo di modesta intima pace
Perché consacro queste rime? - Mai
Raggio amico di lampada notturna
O di sole che vinca i cortinaggi
Dell'operosa e solitaria stanza
Sarà guida alle tue luci soavi
Su queste carte […].11
 
Non diversamente l'autore dichiara in una lettera all'amico Attilio Magri, che nel periodo della relazione tra Ippolito e Matilde era legato alla sorella di quest'ultima e al quale - non alla dedicataria, si noti - prima della pubblicazione del volume annuncia e invia «quel po' di dedica a M. F.»:12 «Né il pubblico saprà mai che è quel M. F., né M. F. leggerà mai quei versi, essendoché saranno stampati del libro solo cento esemplari».13 La poesia dedicatoria del resto è posteriore al termine della relazione con Matilde, circostanza forse ancora più inconsueta, soprattutto per essere apertamente dichiarata dalla dedica stessa:
     Ora e sempre divisi, anco una volta
L'ideal bacio del perdon sull'ali
Del pensier ci unisca, e qual di due
Giovani amici insiem percossi a morte
Là dov'erano sorti usbergo ai santi
Vecchi e alle patrie sedi, ultimo sia
Dolce solenne il vale - Ognun di noi
Indi si parta pella via che breve
L'Ordine Eterno e a vario fin c'indisse.14
 
Il testo, con il ripetuto ricorso a immagini che insieme al tema della separazione riescono a evocare quello della morte («Ora e sempre divisi», «anco una volta», «insiem percossi a morte», «ultimo sia / […] il vale», «Ognun di noi / Indi si parta»), sembra così presentarsi come un esempio particolare di una dedica in memoria, in ricordo di un amore concluso:15
  […] - Eppur arcano
Mi volge un sentimento alle memorie
Rosee d'un giorno, e ripensando il dolce
E comun sogno, ed i pentiti inganni,
(Oh, perché dai fatati orti d'Armida
Fuori ci trae legge d'amor più vasta!)
Parmi sciolta sentir dal torvo dubbio
Levarsi alle native aure del cielo
Quella che chiusi in sen fede immortale.16
 
Al contempo i versi, - «i […] meno cattivi ch'io mi abbia scritti - se questo non è un elogio ai versi è però un elogio al soggetto che ha saputo ispirarmeli»17 - rappresentano «una riparazione, una riparazione fra me e me», così Nievo scrive all'amico.18 Una riparazione diversa dall'atto reciproco dell'«ideal bacio del perdon» invocato nella poesia («ideal bacio del perdon sull'ali / Del pensier ci unisca»):19 una riparazione autoreferenziale per forza di cose se, come si è detto, la dedicataria non è al contempo considerata destinataria dei versi (come del resto è normale nel tipo delle dediche in memoria). Autoreferenziale però anche perché serve, forse, a controbilanciare un torto a lei non noto. Il tema del rimorso e della riparazione affiora anche in alcune lettere, sempre ad Attilio Magri, in cui l'autore cerca di trarre le somme dell'esperienza amorosa ormai conclusa: Non so s'io abbia amato Matilde […] - so peraltro che darei dieci anni della mia vita per poter cancellare dalla mia memoria quel momento ch'io feci a me stesso questa confessione - non l'amo più! - so peraltro che i sarcasmi con cui volli soffocare i miei rimorsi l'anno passato mi si son fitti nella testa come chiodi roventi.20 I sarcasmi, «fitti nella testa come chiodi roventi» sono quelli del precedente (e mai pubblicato) Antiafrodisiaco per l'amor platonico (1851), dettato proprio da quella «bile» e da quell'«ironico scherno»21 che l'autore nei versi della dedica ancora si attribuisce e che, tutt'altro che elogiare il «soggetto» ispiratore22 («simbolo di modesta intima pace»), attuava una totale decostruzione della figura di Morosina-Matilde.23 Una decostruzione che l'autore aveva cercato di relativizzare già nella Nota apposta all'Antiafrodisiaco più di un anno dopo averlo portato a termine e di cui, oltre alla presa di distanza dalle «rabbie puerili» e dal «rancore vendicativo», colpisce quel richiamo alla memoria di «qualche caro momento» che, come si è visto, segnerà la parte centrale della poesia a Matilde: Questa storiella fu condotta a termine nell'aprile 1851 sotto l'impressione di avvenimenti spiacevoli e di rabbie puerili - gli è perciò che ora, non avendo il coraggio civile di abbrucciare questo libro, come esso meriterebbe, perché pure ei serve a richiamarmi alla mente qualche caro momento, e vedendo d'altronde le cose come sono e come erano e non attraverso il prisma del rancore vendicativo dichiaro, false assolutamente tutte le proposizioni in cui intacco minimamente l'onore, o la delicatezza di quelle persone a cui alludo coi nomi immaginari. - E ciò a regola di coloro che travedessero il vero personaggio sotto il velo dell'incognito.
    16
  Padova - 52
    11 I.24
La dedicatoria a Matilde Ferrari rimane un caso unico tra i testi di dedica di Nievo. Nessuna delle dediche successive riprende, non dico la particolare autoreferenzialità, ma nemmeno il carattere così esclusivamente privato della poesia A M. F.. Essendo piuttosto volte alla presentazione della genesi dell'opera e delle condizioni di scrittura, tutte - pur nella diversità tipologica di cui si è detto - assumono una funzione più prefatoria.25 Ciò è vero già per la dedica della novella Il Varmo del 1856, l'unica (dopo la poesia a Matilde) a essere indirizzata a un personaggio reale, a cui l'autore del resto è legato da rapporti di tipo privato: A Francesco Verzegnassi Le immagini apprese all'anima in un'ora di pace e di bontà, moltiplicate dal sentimento, popolano di vaghi fantasmi il sacrario del cuore. Questo racconto pertanto inspirato dalle memorie d'una passeggiata assieme godutaci, fra noi due diversissimi d'opere e di studi resti, pegno d'amicizia e di morale concordia.26 «Pegno d'amicizia», la dedica indica al contempo l'occasione che ispira il racconto, una passeggiata fatta insieme al dedicatario: topos che riprende la più ampia tradizione rusticale, i racconti di George Sand per esempio, che proprio nelle prefazioni e note al testo spesso narrano di passeggiate che ispirano il racconto.27 Sempre attraverso il motivo della passeggiata, il racconto si ricollega inoltre alla prima delle novelle campagnole, La nostra famiglia di campagna (1855) dove la gita del narratore, che anche lì si svolge insieme a «un compagno»,28 è, come è stato notato, «elemento strutturalmente portante del racconto» e «funzionale al disegno ideologico dell'autore. Per il suo tramite si organizza in forma narrativa la rappresentazione del mondo campagnolo».29 Nel nostro caso, una funzione strutturante è data dalla ripresa del motivo nell'ultimo capitolo del racconto: Un mese fa, io passeggiava per quelle bande con un mio amicissimo, il cui solo difetto è di odiare il canto delle allodole; ma lo compensa poi rispetto a me, coll'essermi compagno in una passione veramente artistica pei passarini. […] una garzonetta ed un fanciullo, all'aspetto contadini, pensarono di unirsi al nostro spasso […]. La comunanza di piaceri ingenera simpatia; e la simpatia mena alla curiosità e la curiosità alle chiacchere, onde seppimo in breve che que' due ragazzetti si chiamavano la Favitta e lo Sgricciolo […] e non seppimo resistere alla tentazione di conoscerli. Dal conoscerli al farci contare la loro storia, e poi allo scriverla, la strada era tutta un pendio. […]. Del resto lo sa Iddio il perché da un sì privato e lecito trastullo dovesse nascere placidamente una pubblica generalissima noia!30 Insieme alla passeggiata - «passeggiava […] con un mio amicissimo» - l'io narrante, che fino a questo punto era rimasto esterno al racconto,31 rievoca il compagno di passeggiata, facilmente individuabile nel dedicatario. Si attua così, in questa sorta di epilogo, un singolare congiungimento tra testo e paratesto che non solo riesce ad aggiungere alla dedica una caratterizzazione del dedicatario più accurata e più personale rispetto a quella che lì ne veniva data («noi due diversissimi d'opere e di studi» - «il cui solo difetto è di odiare il canto delle allodole», «compagno in una passione veramente artistica pei passarini»), ma soprattutto si rivela operazione funzionale alla pretesa autenticità del racconto. Se in chiusura la voce narrante, secondo un procedimento variamente riscontrabile in Nievo,32 dà conto della sua "fonte" (la «storia» narrata dalla «garzonetta» e dal «fanciullo» incontrati durante la passeggiata) alludendo alla medesima occasione la dedica, dalla sua posizione paratestuale presupposta come esterna alle invenzioni del testo, contribuisce a sorreggere la finzione del racconto come testimonianza di un'esperienza vissuta dal narratore. Più che segno d'amicizia e più che semplice indicazione dell'occasione che ispira il racconto, la dedicatoria a Francesco Verzegnassi si mostra così strutturalmente connessa alla situazione narrativa della novella cui è premessa. La correlazione tra dedica e testo finisce per fare coincidere la figura dell'autore (e dedicante) con quella del narratore. E sarà forse interessante osservare che un'operazione simile, sebbene in senso inverso, ricorrerà in séguito nelle Confessioni d'un Italiano, dove il «proemio» (o «introduzione», secondo la definizione che ne dà la rubrica) è incluso nel primo capitolo del romanzo. Dalla posizione paratestuale, solitamente appartenente alla voce dell'autore, è dunque spostato all'interno del testo per essere attribuito alla voce del narratore-protagonista a cui vengono così assegnate le responsabilità dell'autore: «Volli con queste poche righe di proemio definire e sanzionar meglio quel pensier che a me già vecchio e non letterato cercò forse indarno insegnare la malagevole arte dello scrivere».33 E ancora: «Capitolo primo. Ovvero breve introduzione sui motivi di queste mie Confessioni»,34 dove si noterà inoltre che con la rubrica è attribuita alla voce del narratore un ulteriore elemento paratestuale a sostegno della finzione autobiografica del romanzo. Considerazioni di tipo narratologico potrebbero, per altri motivi, rivelarsi utili anche per la lettera dedicatoria «Ai giovinetti alunni delle scuole reali», scritta per la novella L'aratro e il telajo del 1857 e mai pubblicata. Si tratta di una dedicatoria che sembra rifarsi a una tipologia abbastanza diffusa della dedica risorgimentale, ossia quella rivolta a una collettività di giovani, con cui condivide del resto l'intento pedagogico:35 Ai giovinetti alunni delle scuole reali M'invitano a dedicarvi qualche scritto, le cui qualità si confacciano all'età vostra, agli studi, alla coltura, alla semplicità fanciullesca, alla vita cui Dio e il senno e il valor vostro vi dispongono. Scrivo questa novella per voi; e voi leggetela e mettetevela ben addentro nel cuore donde essa si ebbe la ingenuità di forma e il calore di affetto. Se mi chiedeste, come voi fanciulli di città chiamati a consuetudine cittadina io intendo ammaestrare colla sposizione di alcuni casi della vita paesana, abbiatevi questo come primo ammonimento, che ogni bene non è nella città, e che l'esservi nati deve indurre nell'animo più umiltà che superbia. Il che vi sciolga da ogni maraviglia. Del resto l'orgoglio non è vizio soltanto dei signori; e per me lo stimo tanto peggiormente nocivo, quanto meglio locato in chi per lo stato suo di fortuna dovrebbe esserne mondo. Né è più buona l'invidia, massime fra eguali e nella gente minuta. I quali due difetti, rispetto alle condizioni vostre, io intendo mettervi in odio oltreché cogli argomenti della morale anche con quelli del danno reale in questa mia novella.36 La dedica, quasi fosse una prefazione, indica l'occasione di scrittura ed espone gli insegnamenti morali da trarre dalla lettura del racconto, in accordo con il principio della tradizione rusticale dell'utilità dei «casi della vita paesana». Non è dato conoscere i motivi della mancata pubblicazione della dedicatoria: il fatto che la novella si fermi alla prima puntata (per la cessazione del mensile su cui era uscita)37 non spiega l'assenza della dedica, né si trovano nell'epistolario di Nievo riferimenti al riguardo. Dovendo pertanto formulare delle ipotesi, non mi sembra si debbano escludere motivi legati alla situazione narrativa del frammento, che appartiene al ciclo delle novelle di Carlone, di quella serie di racconti campagnoli cioè in cui la narrazione è affidata a un vecchio bifolco che, a un pubblico di ascoltatrici riunite in una stalla per la veglia, riferisce vicende di cui è stato testimone diretto o indiretto.38 Pare dunque lecito chiedersi se la finzione di un racconto orale, riferito dal personaggio della cornice, non risulterebbe disturbata dalla presenza di una dedica che esprime le intenzioni dello scrittore, che qui, contrariamente a quanto accade nella già ricordata novella Il Varmo, non cerca l'identificazione con la figura del narratore.39 Ciò che si può rilevare con certezza, è che nessuna delle cinque novelle del ciclo presenta dediche o prefazioni. Tutte si aprono bensì con il racconto di cornice. Così accade anche per il frammento L'aratro e il telajo, dove la cornice, del resto, chiama di nuovo in causa proprio quel pubblico di «giovinetti» per cui, come si legge nella dedica, la novella è stata scritta: Oh amici miei! Far il bucato dello spirito che non si sa come e dove pigliarlo!... Che operazione intricata!... […]. Perciò si studino i giovinetti a tenerlasi ben bianca, come il Signore l'ha soffiata, la loro bella animina!... di non adoperala in usi bassi e triviali come una pezza da cucina, di non cimentarla a vicinità di cose lorde o corrotte, e di farle prender aria, l'aria salubre dell'allegria della sincerità dell'amicizia!... Il chiuso rovina i panni in maniera che da un vestito alle volte non si cava di che rattoppare un altro.40 Si noterà subito, rispetto alla dedica, il tono più umoristico dei consigli impartiti ai giovani lettori. D'altro canto, il racconto di cornice sembra ricollegarsi ad alcuni concetti centrali della dedica non pubblicata, specialmente alla problematica delle differenze sociali, che qui risulta però adattata all'ambientazione della cornice e della novella stessa. Dall'opposizione città vs campagna, si passa così a un'opposizione interna alla società rurale, quella tra artigiani e contadini, telajo e aratro:41 sempre tuttavia all'insegna di quella critica alla «superbia» e all'«invidia», riprovevole, come si legge nella dedica, «massime fra eguali e nella gente minuta»:42 Uno di que' cionchi […] chiesegli con malgarbo se per avventura li guardasse in cagnesco per esser dessi maestri sartori, tessitori, ciabattini, e fornai, e lui invece campagnuolo schietto da vanga e da zappa.
   - Io!... - rispose Carlone, - io non mi tengo per questo né dappiù né dammeno di voi, onde non ci vedrei un perché di farvi il viso torto.43
E va segnalato che il tema sembra ulteriormente messo a fuoco rispetto a una prima versione dell'inizio del racconto, che si conserva insieme col manoscritto della dedica:44 Alcuni di quei giovani […] gli chiese con malgarbo se per avventura egli guardasseli in cagnesco per esser lui contadino ed essi maestri sartori o mugnai o ciabattini.
   Io! Rispose Carlone - io ero un tempo ne dappiù ne dammeno di voi onde non ci vedrei il perché di farvi il viso torto.45
Se da un lato si accentua il contrasto tra Carlone e gli «artieri»46 (il «contadino» diventa «campagnuolo schietto da vanga e da zappa»), dall'altro è proprio il senso di uguaglianza, espresso da Carlone ad essere rafforzato («io ero un tempo ne dappiù ne dammeno», volto al presente «io non mi tengo per questo né dappiù né dammeno»). La cosa che però forse più colpisce, è che nella cornice l'autore sembra ironizzare sul senso di «prediche» e preliminari moraleggianti, che non solo sembrano poco durevoli,    - […]. C'era un parrocco in diebus illis il quale diceva che d'una buona predica si conosce il frutto un anno dopo… ed è per questo che in generale le prediche sono più giovevoli alle panche della chiesa che ai cristiani che vi seggono sopra; poiché esse entrano da un orecchio ed escono dall'altro, e nonché un anno, ma un minuto dopo non ne resta nulla nel capo e meno che nulla nel cuore. Ora, voi […] ascoltatemi bene, acciocché di qui ad un anno vi si possa domandar conto del giovamento datovi da questa storia e voi rispondermi con buone parole...,47 ma anche meno efficaci di «quattro parole in croce»:    Carlone tacque e si raschiò in gola, ma nessuno si mosse. Lo credereste?... L'intemerata del bifolco aveva fatto colpo sulla comitiva più d'un esordio del Segneri recitato con molte zoppe varianti da qualche curato garfagnino. Una tirata contro l'ubbriachezza avrebbe finito di addormentarli, e invece quattro parole in croce ebbero la virtù di dar loro la sveglia, e di spalancare venti paia d'occhi d'ogni colore.48 Anche in questo senso non sorprende forse allora che egli rinunci alla dedica di tipo prefatorio, per integrare le "prediche di esordio" nella cornice, dove risultano più conformi al racconto e meno moraleggianti, anche laddove, come nel passo rivolto ai «giovinetti», è il narratore di primo grado a riprendere la parola. Soffermiamoci ancora sul carattere prefatorio del testo di dedica. Nonostante la differenza formale rispetto agli esempi in prosa analizzati sopra e sebbene in essa siano accentuati ben altri aspetti, a una funzione non troppo dissimile potrebbe rifarsi infatti anche la poesia dedicatoria premessa al Canzoniere, Le Lucciole del 1858. Ed è del resto con il termine di «Prologo» che Nievo ad essa si riferisce, in una lettera al redattore del giornale «Il Caffè», che nel 1855 pubblica la poesia con il titolo che in séguito passerà alla raccolta.49 Nella raccolta, la poesia Alle mie figlie si inserisce in un vero e proprio sistema di paratesti liminari: il canzoniere si apre infatti con un Preludio (in tre parti) e si chiude con un Commiato, sempre in versi e tutti costruiti intorno alla metafora delle lucciole.50 Nel rivolgersi direttamente a esse, la dedicatoria rappresenta una sorta di invio dell'opera:
     Lucciolette che ronzate
Pei crepuscoli ideali,
Care stelle forviate
Da vostr'orbite immortali
[…]
   Io vi sciolgo l'ali al volo,
Lucciolette cattivelle;
[…]
   Lucciolette, anco un momento,
Ed il pugno che vi accoglie
Vi darà libere al vento.
Vinto han già le vostre doglie
Il ritroso animo mio.
Lucciolette, addio, addio!...51
 
L'invio sarà ripreso nel Commiato, perfettamente speculare alla poesia dedicatoria per metro e schema di rime: «Ite pur - l'augel pennuto / Scorda il nido ov'è cresciuto».52 La forma dell'invio tornerà in séguito in una prefazione, quella del romanzo Il Conte pecorajo. Storia del nostro secolo (1857), dove del resto si può notare il ricorso allo stesso tipo di metafore familiari: «figliuol» è il romanzo, «fratello maggiore» il suo predecessore Angelo di bontà. Storia del secolo passato (1856), e «padre» l'autore: O librattolo, figliuol mio, assai ti ebbe la balia; esci e predica al deserto. Il fratello maggiore, colla mano piena d'anella e di chicche, ti fa motto di affrettarti a mantenere la promessa del padre; e tu non ti schermisci, benché di poca reverenza ti assicurino e lo zotico parlare, e la scomposta andatura, e la giubba villanesca.53 Torniamo però ancora al testo della dedicatoria Alle mie figlie, che a sua volta, non solo nell'immagine del «pugno» che trattiene le lucciole («Lucciolette, anco un momento, / Ed il pugno che vi accoglie / Vi darà libere al vento»), risponde al Preludio, anch'esso, nella seconda parte, direttamente rivolto a una delle lucciole:
     O pensier cattivello! alfin t'ho colto
D'infra i mille guizzanti e fuggitivi.
Nella prigion di questo pugno accolto
Non avverrà che il mio voler tu schivi:
O il vero parlerai,
Oppur dispera di fuggirmi mai.54
 
Alla richiesta di esprimersi in modo veritiero, la lucciola però si ritrae («- Apro il pugno - O egli è spento, o ch'io son cieco!») e così risponde al poeta nella terza parte del Preludio:
     Datti conforto, o padre, e fa' cervello!
Non io son morto, né tu cieco sei.
Pari han virtù d'Angelica l'anello
E l'orgoglio che ammuta i color miei;
E pari hanno disdegno
Di chiedere lor gloria a un giogo indegno.
   Il rattratto abitin delle tue rime
Come acconciarlo a me libero e forte?55
 
Di fronte ai condizionamenti di un «giogo indegno», la lucciola si rende invisibile, il pensiero «ammuta». L'«abitin» delle rime, «rattratto» dai limiti imposti al poeta, non sembra confarsi al pensiero «libero e forte». Meglio allora rimanere coperti dal «velo» dei misteri:
  Or perché taci? speri
Forse il velo sgombrar de' miei misteri?
   No, poetuccio! Mostruosa prole
Daria la penna di sgorbi plebei,
Di vuoti versi, d'ibride parole.
 
In questo senso, il Preludio, come è stato notato da Marcella Gorra, «vuol essere una giustificazione alla poetica che l'autore ha deciso di adottare nelle condizioni di mancanza di libertà in cui è costretto ad esprimersi: poetica di parabole, fondamentalmente di ripiego […], di cui le lucciole - che non possono apparire se non nel buio perché il sole è per loro vietata stella (I, v. 18) - sono la cifra generale».56 La dedicatoria Alle mie figlie - che nel manoscritto è collocata in apertura della prima sezione della raccolta,57 Apologhi, dove la poetica appena delineata «trova la sua più spiccata applicazione»58 - sembra recepire l'idea di un necessario velamento della parola, espressa in chiusura al Preludio, se all'atto dell'invio si consiglia alle lucciole di andare «lambendo il suolo», «giacché i cieli a voi contese / Legge improvvida e scortese»,59 e di non palesarsi troppo:
     Ai romiti casolari
Nel silenzio dei villaggi
Pei giardini solitari
Seminate i vostri raggi,
Fra le tenebre dei chiostri
Seminate i raggi vostri.
 
Il rapporto tra scrittura e condizionamento politico che qui è tematizzato in modo sempre allusivo, si espliciterà ulteriormente nella successiva dedica, «Alla mia prima amica», del frammento Il pescatore di anime, iniziato a Milano nel dicembre 1859.60 Come nella poesia dedicatoria Alle mie figlie, attraverso una metafora umana che suggerisce un rapporto di stretta confidenza, la dedica si rivolge a un'entità legata al campo della scrittura, la «penna dei famigliari racconti e delle poetiche novelle»61, che a sua volta mi pare possa essere intesa come immagine del genere campagnolo scelto per Il pescatore di anime. Il carattere didascalico e pedagogico della dedica «Ai giovinetti alunni delle scuole reali», che è quasi una guida alla lettura, è sostituito qui da una riflessione sulla scrittura stessa: Qual è la rugiada celeste che sdegna di arrugginirsi sulle tue umili punte? Quale la rosea tinta dell'aurora che rifiuta di essere ombreggiata da' tuoi infantili arabeschi? Quale la bell'opera di Dio che non s'acqueta paziente alle tue inesperte sbozzature? Tutto ti sarà perdonato, perché molto tu ami. I conforti che mi vennero da te indarno li ho chiesti a parecchie tue sorelline che mi schricchiolarono all'orecchio le loro astiose confidenze.62 Si afferma qui la predilezione per la «penna dei famigliari racconti e delle poetiche novelle», all'insegna di una certa ingenuità, ma anche di una maggiore autenticità rispetto ad altri generi di scrittura, cosicché l'autore può chiamarla «interprete delle più soavi fantasie, degli affetti più sani, e dei più nascosti dolori».63 Al contempo si esplicitano le finalità, civili, della propria scrittura: Se tu avrai cooperato ad accendere in qualche giovane cuore l'amore della famiglia, della patria, dell'umanità e di quanto vi ha di più grande nell'umano intelletto, che si riassume nel nome di Dio, allora avrai tu pure la tua piccola medaglia di Pescatrice di anime.64 Vengono inoltre fatte rientrare nel testo di dedica le condizioni esterne che incidono direttamente sul lavoro dell'autore: Dopo una lunga ma memore separazione, dopo molti giorni di ozio trepidante e di generoso lavoro ci rivediamo finalmente, mia semplice fida e compassionevole amica! Così più lunga fosse la mia assenza, che forse con meno incerte speranze t'avrei ribaciata.65 La «lunga ma memore separazione» dalla scrittura coincide con la partecipazione alla campagna della Seconda guerra d'indipendenza, con il suo alternarsi di «generoso lavoro» e di «ozio trepidante», nell'attesa dello sviluppo degli avvenimenti;66 ozio che si protrarrà anche durante il periodo passato nel «Limbo» di Fossato, dove Nievo si ritira dopo l'armistizio di Villafranca, tra la fine di settembre e l'inizio di novembre del 1859. Così scrive in una lettera da Fossato a Bice Gobio Melzi: «Si respira in questo Limbo [il «piccolo Limbo di questi quattro Distretti che circondano Mantova»] una tal aria d'istupidimento e di noja, che io mi sento imbecillito addirittura. Non ho voglia né di pensare, né di prevedere, né di scrivere».67 La separazione dalla scrittura sembra dunque prolungarsi oltre i mesi del diretto coinvolgimento nelle vicende belliche. Ma, se Nievo in questo periodo compone i versi degli Amori garibaldini,68 essa sembra riguardare in modo particolare proprio quella «penna dei famigliari racconti e delle poetiche novelle» evocata nella dedica «Alla mia prima amica», come si desume ancora da una lettera a Bice: «Oh beato il tempo quando scriveva novelle campagnuole! Ora di campagna sono satollo fin fuori degli occhi. Ma verrà il tempo che tornerò ad innamorarmene».69 E non sarà forse un caso se Il pescatore di anime sarà ambientato tra il Veneto e il Friuli e non nel Mantovano, che pure aveva fatto da sfondo ad alcune delle novelle precedenti.70 Nella dedica, l'autore, che inizialmente sperava in una rapida ripresa della guerra,71 allude anche alla speranza che un ulteriore prolungamento della campagna (e dunque una più lunga «assenza» dalla scrittura) avrebbe potuto ottenere risultati «meno incert[i]»: meno incerti rispetto all'armistizio di Villafranca e il successivo trattato di Zurigo che sanciscono il dominio austriaco sul Veneto e che l'autore condanna sia in alcune poesie degli Amori garibaldini, sia negli scritti politici dello stesso anno: La guerra fu breve, troppo breve forse, perché interrotta da quell'improvviso armistizio, dall'annunzio di que' misteriosi preliminari di pace che tanta parte sfrondarono delle nostre speranze e per poco non rivolsero in disperazione la gioja delle vittorie ottenute. […] una sola fu la parola che trafisse il cuore, che amareggiò la gioja di ogni buon italiano: l'Austria conserva Venezia!72 Per Nievo ciò significava l'impossibilità di tornare nei territori rimasti all'Austria (non solo in quello veneto, ma anche in Friuli, dove, come si è detto, ambienterà il Pescatore di anime). E allora la penna a cui si rivolge nella dedica diventa anche «compagna di dolore e d'esiglio»: Vieni pure con me, o compagna di dolore e d'esiglio! Ricordiamoci del luogo ove abbiamo scarabocchiato insieme la prima parola; quando vi torneremo?... Tu non lo sai, povera ignorantella ed io pure lo ignoro. Ma non sospirare troppo sovente per non dar noia a coloro che assaporano in convito fraterno le primizie della libertà.73 D'altro canto, il passaggio della Lombardia - e quindi di Milano, dove Nievo comincia a scrivere Il pescatore di anime - al Piemonte, determina la fine della censura austriaca e dunque una "liberazione" per la sua scrittura: «E adesso che ti appresti a sgambettar sulla carta non più aspra d'intoppi servili, non bollata, non adocchiata avidamente da un imperiale castrapensieri, adesso che puoi aguzzare liberamente le tue sottili linguette d'acciaio […]».74 È una liberazione tanto più sentita, in quanto ancora è ben presente nella dedica il ricordo del processo subito tra il 1856 e il 1857 per L'Avvocatino - la novella campagnola accusata di contenere offese contro il Corpo dell'I. R. Gendarmeria - che aveva determinato una prima separazione dalla «penna dei famigliari racconti»: «Quando per soverchio affetto alla tua compagnia io mi vidi tratto inesorabilmente da Erode a Pilato non cessai perciò dal credere all'ispirata parola che santifica i perseguitati».75 La dedica «Alla mia prima amica», rivolta alla scrittura stessa, si presenta dunque quasi come uno scritto programmatico: tanto più in quanto è redatta per un'opera che rimane incompiuta e quindi, in maniera anomala, prima della stesura del testo.76 Facendo il bilancio delle condizioni che nel recente passato hanno inciso sulla sua attività di scrittore, Nievo sembra voler indicare il ritorno al genere rusticale, da cui egli si era allontanato, prima per il processo dell'Avvocatino, poi per la guerra, quando, se non si astiene del tutto dalla scrittura, privilegia però, come si è detto, il genere poetico. Penso che proprio in tal senso vada letto uno dei primi componimenti della raccolta, la Confessione di bigamia, in cui l'autore confessa di tradire la «prima amica» con una «sposa interinale»:
  Or son molt'anni un voto aveva fatto
Di dar l'anello alla mia prima amica.
   E poiché schiava ell'era, il suo riscatto
Per ottenere, non trascurai fatica.
Ma, la forza tentassi od il baratto,
Sempre fortuna all'uopo ebbi nemica:
   Alla coscienza il caso tal e quale
Esposi, e questa femmina di conio
Mi permise una sposa interinale.
Io scelsi te. […].77
 
L'intenzione, espressa nella dedica, di tornare alla «prima amica», pare tuttavia smentita, perché la via della scrittura campagnola in séguito sembra di fatto abbandonata.78 E forse ne è segno l'interruzione stessa del Pescatore di anime, per dei lavori sentiti come più pressanti, a cui, solo poco tempo dopo aver iniziato il racconto, dice di «dedic[arsi] anima e corpo».79 Nella dedica «Alla mia prima amica» - in cui, come si è detto, Nievo sottolinea proprio la funzione civile della propria scrittura - sono però ben presenti gli interessi, politici, che segnano la parte maggiore degli scritti appartenenti al periodo tra il 1859 e il 1860:80 dagli Amori garibaldini che, «quasi un giornale di versi»,81 ripercorrono le esperienze della guerra, alla Storia filosofica dei secoli futuri, satira storica che prende il suo avvio dalla pace di Zurigo, ai saggi politici Venezia e la libertà d'Italia, condanna anonima delle conseguenze dei trattati82 e l'inedito Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, che, all'interno di più ampie considerazioni sul necessario sviluppo della popolazione rurale per l'unità nazionale, dedica varie pagine alla funzione del clero rurale, già protagonista del Pescatore di anime.83
Dagli esempi analizzati emerge con chiarezza che le dediche di Nievo, anche quando abbiano uno sfondo privato, non sono mai un semplice omaggio al dedicatario, ma partecipano a meccanismi più complessi e fra loro diversi: così come diversificate risultano anche sul piano tipologico. Nel caso della poesia A M. F., dove la dedicatoria alla donna amata è trasformata in dedica in memoria di un amore concluso, la sua funzione è di affrancamento personale e di riparazione, non ultimo rispetto a un'opera ignota sia alla dedicataria, sia al pubblico: un omaggio dunque fortemente autoreferenziale. Una funzione di sostegno alla situazione narrativa e alla finzione di autenticità del testo è assunta invece dalla dedica del Varmo, intitolato all'amico Francesco Verzegnassi, dove il dedicatario varca le soglie del paratesto per essere rievocato nel testo stesso. Al contrario sembra che alla dedica Nievo possa rinunciare, quando questa rischia di intaccare la finzione narrativa del racconto, come accade nel caso della novella L'aratro e il telajo e della dedica «Ai giovinetti alunni delle scuole reali», vera e propria guida alla lettura. Pare allora privilegiata la cornice, che meglio riesce a rendere consoni al racconto di Carlone alcune indicazioni contenute nella dedica. Proprio a partire dalla dedicatoria «Ai giovinetti alunni» gli ultimi esempi attestano poi l'avvicinarsi della dedica alla prefazione, anche in versi, e allo scritto programmatico, legato alle condizioni di scrittura e agli interessi che caratterizzano anche altre parti della produzione nieviana. Nel valore prefatorio di questi dediche sembra del resto riflesso un più ampio sviluppo del genere nell'Ottocento, già rilevato da Gérard Genette: «A partir du XIX siècle, l'épître dédicatoire ne se maintient plus guère que par sa fonction préfacielle, et du coup le destinataire en sera plus volontiers un confrère ou un maître capable d'en apprécier le message».84 Ma nel caso di Nievo, eccettuata quella «Ai giovinetti alunni» (peraltro non pubblicata), le dediche "prefatorie" addirittura fanno a meno del dedicatario reale, per rivolgersi direttamente a entità legate alla scrittura: qui l'esibito rapporto di confidenza sembra giustificare il ricorso a un'allusività - più forte nella poesia Alle mie figlie, ma presente anche nella dedica «Alla mia prima amica» - che solo il lettore più avvertito sarà davvero in grado di intendere e di apprezzare.

S. G.





Note

1 Cfr. la poesia dedicatoria A M. F. premessa ai Versi del 1854 in I. Nievo, Poesie, a cura di M. Gorra, Milano, Mondadori, 1970, pp. 1-111, in particolare p. 3, e quella Alle mie figlie in I. Nievo, Le Lucciole. Canzoniere, ivi, pp. 261-487, in particolare 263-64.torna su
2 Cfr. I. Nievo, Il Varmo. Novella paesana, in Id., Novelliere campagnuolo e altri racconti, a cura di I. De Luca, Torino, Einaudi, 1956, pp. 157-214: la dedica «A Francesco Verzegnassi» (p. 157); I. Nievo, L'aratro e il telajo, ivi, pp. 663-74: la dedica «Ai giovinetti alunni delle scuole reali» (pp. lxxviii-lxxix); I. Nievo, Il pescatore di anime, ivi, pp. 675-97: la dedica «Alla mia prima amica» (pp. 675-77).torna su
3 Il sistema dei testi liminari nelle raccolte poetiche di Nievo meriterebbe un'analisi a parte: cfr. Preludio e Commiato, in Nievo, Le Lucciole cit., pp. 261-62 e 487; Proemio ed Epilogo, in I. Nievo, Gli amori garibaldini, in Id., Poesie cit., pp. 489-593, in particolare pp. 491 e 592. Presentano inoltre prologhi e/o epiloghi in versi anche singole sezioni delle raccolte: cfr. Poesia d'un anima. Brani del giornale d'un poeta, in I. Nievo, Versi [1855], ivi, pp. 169-257, in particolare pp. 169-72 e 257; Bozzetti veneziani e Gli amori in servitù nelle Lucciole cit., pp. 321-54 e 439-51, in particolare pp. 321, 354 e 451. Per i testi prefatori delle opere in prosa cfr. i romanzi Angelo di bontà e Il Conte pecorajo, in I. Nievo, Tutte le opere narrative, vol. i, Romanzi, racconti e novelle, a cura di F. Portinari, Milano, Mursia, 1967, pp. 89-304 e 305-509, in particolare pp. 91 e 307-8. Inoltre la Nota, in I. Nievo, Antiafrodisiaco per l'amor platonico, a cura di S. Romagnoli, Napoli, Guida, 1983, p. 23; la premessa del dramma Gli ultimi anni di Galileo Galilei, in I. Nievo, Drammi giovanili. Emanuele, Gli ultimi anni di Galileo Galilei, a cura di M. Bertolotti, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 189-295, in particolare p. 190; Introduzione ed Epilogo, in I. Nievo, Storia filosofica dei secoli futuri (e altri scritti umoristici del 1860), a cura di E. Russo, Roma, Salerno, 2003, in particolare pp. 45-46 e 74-75; e il cappello introduttivo in I. Nievo, Venezia e la libertà d'Italia, in id., Due scritti politici, a cura di M. Gorra, Padova, Liviana, 1988, pp. 87-106, in particolare p. 87.torna su
4 Nievo, Alle mie figlie cit., v. 1.torna su
5 Nievo, Il pescatore di anime cit., pp. 675-77. Cfr. inoltre la nota al testo in Id., Novelliere campagnuolo cit., pp. lxxix-lxxxii, in particolare pp. lxxix-lxxx. La citazione è a p. 675.torna su
6 Cfr. I. Nievo, Emanuele, in Id., Drammi giovanili cit., pp. 97-188, in particolare p. 98: «Porti in fronte il tuo nome / o Emanuele Ottolenghi / questo mio primo saggio drammatico / che tu mi inspiravi / nella solitudine di Colloredo. / I. N. / Aprile 1852». Il dramma prende spunto dalle polemiche antisemite apparse su «La Sferza» di Brescia: da qui la dedica all'amico ebreo Emanuele Salomon Ottolenghi. In proposito cfr. P. Vescovo, «Fra un atto e l'altro del gran dramma politico»: Una prima ricognizione sul teatro di Ippolito Nievo, in Ippolito Nievo e il Mantovano, Atti del Convegno nazionale, a cura di G. Grimaldi, introduzione di P. V. Mengaldo, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 155-77, in particolare p. 159; e R. Salvadori, Ippolito Nievo e l'ebraismo mantovano, ivi, pp. 261-74, in particolare (sulla dedica) pp. 266-68.torna su
7 Nievo, Il Varmo cit., p. 157. Cfr. inoltre le dediche all'amico Arnaldo Fusinato: Poeta e prossimo. Ad Arnaldo Fusinato (Nievo, Versi [1855] cit., pp. 115-18) e Ad Arnaldo Fusinato. Elegia sulla sorte dei poveri poeti che hanno un'oncia di cervello e due di coscienza (Nievo, Le Lucciole cit., pp. 379-83).torna su
8 Cfr. Nievo, Versi [1854] cit., pp. 18-21, 67-70 e 80-85. Non si sono presi in considerazione invece i titoli dedicatori di singole poesie. Per alcune definizioni tipologiche del genere della dedica cfr. il Glossario della dedica su http://www.margini.unibas.ch/web/it/index.html (diretto da M. A. Terzoli).torna su
9 Cfr. Nievo, Lettere cit., in particolare pp. 37-119, le oltre settanta lettere scritte a Matilde tra febbraio e ottobre del 1850. In proposito cfr. C. Bozzetti, Le lettere a Matilde e la formazione della poetica nieviana, in Id., La formazione del Nievo, Padova, Liviana, 1959, pp. 43-125.torna su
10 Tra le poesie di Nievo vi sono anche casi di dediche anonime. Cfr. La Bellezza. A… (Nievo, Versi [1855] cit., p. 198) e I due Amori. Ad… (Nievo, Le Lucciole cit., p. 402).torna su
11 Nievo, A M. F. cit., vv. 1-10.torna su
12 Lettera ad Attilio Magri, del 2 maggio 1854, cui sono acclusi anche i versi A M. F. (Nievo, Lettere cit., pp. 281-85, in particolare p. 283).torna su
13 Lettera ad Attilio Magri, del 26 aprile 1854 (ivi, pp. 279-81, in particolare p. 280).torna su
14 Nievo, A M. F. cit., vv. 23-31.torna su
15 «Lapide funeraria» la dedica è definita da G. Botturi, Nuove luci sul Nievo, in «Rivista letteraria», iv, 1932, 6, pp. 12-16, in particolare p. 13.torna su
16 Nievo, A M. F. cit., vv. 14-22.torna su
17 Lettera del 2 maggio 1854 cit., p. 283.torna su
18 Lettera del 26 aprile 1854 cit., p. 280. Mio il corsivo: così nel séguito, salvo indicazione contraria.torna su
19 Nievo, A M. F. cit., vv. 24-25. Il tema del perdono è centrale anche nella poesia che probabilmente rappresenta la prima dedica dei Versi, sostituita poi da quella A M. F., dove si risolve però in una richiesta di perdono alla donna: «E incolpo me, non l'amor tuo, né il caso / Se l'una ad oriente e l'altra a occaso / Vedovo or volge e sospiroso il flutto / Verso il gran mar del tutto. // Or mi perdona! Se pietà t'ispira / Fin del nemico l'implacabil ira, / Dêi sulla colpa di chi pianse tanto / Stender pietoso un manto» (I. Nievo, [A Matilde], in Poesie cit., pp. 661-63, in particolare, p. 662, vv. 57-64).torna su
20 Lettera ad Attilio Magri, del 30 giugno 1852 (Nievo, Lettere cit., pp. 229-35, in particolare p. 232); corsivo dell'autore. Che il tema sia ancora attuale al momento della stesura della poesia A M. F. è attestato da un'altra lettera al Magri, del 26 maggio 1854 (il 2 maggio Nievo gli aveva inviato la dedica; cfr. qui nota 12): «Non ho ancora le idee così chiare in testa da poterne tessere una storia vera ed imparziale - Da galantuomo non potrei darti un giudizio coscienzioso né di lei né di me: giudizii avventati ne abbiamo fatto abbastanza - cerchiamo di riparare al mal fatto facendo meglio per avvenire» (ivi, pp. 285-86, in particolare p. 286).torna su
21 Nievo, A M. F. cit., vv. 3 e 13. E cfr. l'«implacabil ira» della prima versione della dedica (Nievo, [A Matilde] cit., v. 62).torna su
22 Lettera del 2 maggio 1854 cit., p. 283. Per la successiva, cfr. A M. F. cit., v. 4.torna su
23 Sulla funzione riconciliatrice della dedica rispetto all'Antiafrodisiaco cfr. anche il commento di Marcella Gorra (Nievo, Poesie cit., p. 896). Inoltre G. Maffei, Matilde e gli oltremondi di Nievo, in Ippolito Nievo e il Mantovano cit., pp. 275-304, in particolare p. 282.torna su
24 Nievo, Antiafrodisiaco cit., p. 23. La data va sciolta naturalmente in 16.11.1852. Sulla Nota cfr. E. Russo, Note nieviane. (I). I due gonzi, in «Filologia e critica», xxix, settembre-dicembre 2004, 3, pp. 448-63, in particolare pp. 451-52.torna su
25 Sulle funzioni dei testi di tipo prefatorio cfr. G. Genette, Seuils, Paris, Seuil, 1987, in particolare pp. 182-218.torna su
26 Nievo, Il Varmo cit., p. 157.torna su
27 Cfr. per esempio G. Sand, François le Champi, in Ead., La Mare au Diable. François le Champi, textes présentés, établis et annotés par P. Salomon et J. Mallion, Paris, Garnier, 1981, pp. 201-403, in particolare pp. 201-4; inoltre G. Sand, La Petite Fadette, texte présenté, établi et annoté par P. Salomon et J. Mallion, Paris, Garnier, 1958, pp. 3-13. In proposito cfr. M. A. Cortini, Narrazione e racconto nel 'Novelliere campagnuolo' di Ippolito Nievo, in Dalla novella rusticale al racconto neorealista, a cura di S. Maxia e G. Pirodda, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 1-55, in particolare pp. 7 e 40 (note 24-27). Sul rapporto con i testi di George Sand cfr. N. Jonard, Ippolito Nievo e George Sand, in «Rivista di letterature moderne e comparate», xxvi, dicembre 1973, 4, pp. 266-84.torna su
28 I. Nievo, La nostra famiglia di campagna. Dipinture morali, in Id., Novelliere campagnuolo cit., pp. 3-61, in particolare pp. 5-6.torna su
29 Cfr. Cortini, Narrazione e racconto nel 'Novelliere campagnuolo' cit., pp. 6-7.torna su
30 Nievo, Il Varmo cit., pp. 213-14; corsivo dell'autore.torna su
31 Solo nella già citata parte finale il narratore comincia ad appellarsi al lettore. In quasi tutte le novelle - eccetto nella Santa di Arra, in cui addirittura la conclusione che esprime la morale del racconto è affidata alla lettera di uno dei personaggi - gli appelli al lettore sono invece molto frequenti. Cfr. I. Nievo, La Santa di Arra, in Id., Novelliere campagnuolo cit., pp. 62-107, in particolare pp. 106-07. Per le diverse figure di narratore nel Novelliere cfr. L. Morbiato, La figura del narratore nel 'Novelliere campagnuolo', in Ippolito Nievo, Atti del Convegno di Udine del 24-25 maggio 2005, a cura di A. Daniele, Padova, Esedra, 2006, pp. 27-38, in particolare lo schema a p. 36.torna su
32 Cfr. P. V. Mengaldo, Appunti di lettura sulle 'Confessioni' di Nievo, in «Rivista di letteratura italiana», 1984, ii, 3, pp. 465-518, in particolare p. 480.torna su
33 I. Nievo, Le Confessioni d'un Italiano, ed. critica a cura di S. Casini, Parma, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 1999, pp. 3-10, in particolare p. 9.torna su
34 Ivi, p. 3. Sulle rubriche delle Confessioni cfr. S. Romagnoli, Annotazioni preliminari sulle rubriche del Nievo, in Scrittura e società. Studi in onore di Gaetano Mariani, Roma, Herder, 1985, pp. 349-60.torna su
35 In proposito cfr. G. Balducci, Epigrafi e dediche in scrittori moderati del Risorgimento, in I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Basilea, 21-23 novembre 2002, a cura di M. A. Terzoli, Roma-Padova, Antenore, 2004, pp. 317-44, in particolare pp. 323-26.torna su
36 Cfr. Nievo, Novelliere campagnuolo cit., pp. lxxviii-lxxix. La dedica si legge anche in L. Ciceri, Frammenti di novelle inedite di Ippolito Nievo, in «Ce fastu?», xxix, 1953, nn. 1-6, pp. 64-71, in particolare pp. 69-70, dove si riproduce anche una versione precedente della parte iniziale del frammento, che si trova sul verso della cartina volante con la dedica manoscritta (Biblioteca comunale di Udine, ms. 3943).torna su
37 Nievo, Novelliere campagnuolo cit., p. lxxviii. La prima parte della novella uscì su «La Lucciola. Gazzettino del contado, e di cose scientifiche e letterarie» del 21 aprile 1857 (s. ii, iii, 1, pp. 47-59).torna su
38 Cfr. Nievo, Novelliere campagnuolo cit., pp. 215-45, 247-311 e 313-47. Si tratta delle novelle Il milione del bifolco, L'Avvocatino e La viola di San Bastiano [prima versione] a cui, oltre al frammento L'aratro e il telajo, si può associare anche quello dei Fondatori di Treppo (ivi, pp. 653-58). Sulle tecniche narrative nel Novelliere cfr. ancora Cortini, Narrazione e racconto nel 'Novelliere campagnuolo' cit.; inoltre E. Testa, Nella stalla di Carlone. Lingua e tecnica narrativa nelle novelle mantovane di Nievo, in Ippolito Nievo e il Mantovano cit., pp. 305-20; e A. Vallone, La tecnica del racconto, in Ippolito Nievo nella cultura e nella storia del territorio: dall'Illuminismo al Romanticismo, Atti del convegno nazionale (Udine, Università degli Studi, 1-3 dicembre 1988), Udine, "Settecento Veneziano e Settecento Friulano", 1988, vol. i, pp. 55-63.torna su
39 Nelle didascalie e in alcuni commenti rimane tuttavia presente la figura del narratore onnisciente. Cfr. Cortini, Narrazione e racconto nel 'Novelliere campagnuolo' cit., p. 20, e Testa, Nella stalla di Carlone cit., pp. 314-15.torna su
40 Nievo, L'aratro e il telajo cit., pp. 666-67.torna su
41 Cfr. inoltre ivi, p. 673: «il paese si trovò diviso in due partiti […] quello degli artieri […] e l'altro dei contadini».torna su
42 Nievo, Novelliere campagnuolo cit., pp. lxxviii e lxxix. Cfr. inoltre L'aratro e il telajo cit., p. 670: «l'appassimento d'ogni invidia e d'ogni superbia, di queste due male erbacce venefiche che isteriliscono la vigna del Signore quando ognuno si ficca in testa di coltivarla per proprio conto».torna su
43 Ivi, p. 663. Cfr. inoltre ivi, p. 665: «perché noi non siamo come voi alle prese col badile, ma sibbene coll'ago, colla lesina, o colla cazzuola!...».torna su
44 Per il rinvio si veda la nota 36.torna su
45 Ciceri, Frammenti di novelle inedite cit., p. 70.torna su
46 Nievo, L'aratro e il telajo cit., p. 663.torna su
47 Ivi, p. 666. Nella dedica si legge: «voi leggete[…] [la novella] e mettetevela ben addentro nel cuore» (Nievo, Novelliere campagnuolo cit., p. lxxviii).torna su
48 Nievo, L'aratro e il telajo cit., p. 666. Già nella prima delle novelle campagnole il narratore pretende di rinunciare ai preliminari: «Ti parrà scandalo sulle prime, o paziente lettore, che del colloquio io mi prenda la parte del leone, e me la tiri innanzi con questo piglio spaventevole, senza una cerimoniuzza d'entratura e senza dar campo alle tue sensate risposte» (Nievo, La nostra famiglia di campagna cit., p. 4).torna su
49 Cfr. la lettera a Giovanni De Castro, del 2 febbraio 1855 (Nievo, Lettere cit., pp. 323-24, in particolare p. 323): «La ringrazio dell'inserzione del Prologo e della prima delle Lucciole». La poesia uscì sul numero del 23 gennaio 1855 (cfr. Nievo, Poesie cit., p. 945).torna su
50 Nel commento, Marcella Gorra identifica le lucciole con i pensieri del poeta (Nievo, Poesie cit., p. 945). Nel Preludio infatti egli si rivolge alla lucciola con l'appellativo «pensier cattivello» (p. 261, ii, v. 1). Penso tuttavia che l'invio contenuto nella poesia Alle mie figlie permetta al contempo di vedere nelle lucciole una metafora delle poesie della raccolta. In tal senso cfr. anche la lettera a Giovanni De Castro, del 13 marzo 1855, in I. Nievo, Lettere, a cura di M. Gorra, Milano, Mondadori, 1981, pp. 334-35, in particolare p. 334: «Le mando in tutta fretta queste due Lucciolette», con chiaro riferimento a due componimenti appartenenti alla serie delle Lucciole.torna su
51 Nievo, Alle mie figlie cit., vv. 1-4, 7-8 e 31-36.torna su
52 Cfr. Nievo, Commiato cit., vv. 11-12. Si tratta di sestine di ottonari a schema ababcc. Il Preludio consiste di sestine di endecasillabi e settenario sullo stesso schema di rime (ABABcC).torna su
53 Nievo, Il Conte pecorajo cit., p. 307. La promessa del "padre" si trova in chiusura alla prefazione di Angelo di bontà: «Il presente schizzo del secolo passato, mi parve ottimo tentare come transizione al secolo presente; e di questo t'intratterrò un'altra volta, se Iddio e la tua buona grazia m'aiutino. - Amen» (Nievo, Angelo di bontà cit., p. 91).torna su
54 Nievo, Preludio cit., p. 261, ii, vv. 1-6; la successiva v. 12.torna su
55 Ivi, iii, vv. 1-8; la successiva vv. 17-21.torna su
56 Cfr. Nievo, Poesie cit., p. 944. Sullo «stile enigmatico» delle Lucciole si veda la lettera ad Arnaldo Fusinato, del 1 febbraio 1855 (Nievo, Lettere cit., pp. 321-22): «[al] giornaletto di Milano, il Caffè […] ho mandato qualche cosa, e altre fantasie ci manderò di stile enigmatico, le quali se non piaceranno per forma, incontreranno certamente per l'intenzione e lo scopo»; corsivo dell'autore. Inoltre si vedano le lettere ad Andrea Cassa, del 2 febbraio 1855, e ad Arnaldo Fusinato, del 9 marzo 1855 (ivi, pp. 322-23 e 330-32). In proposito cfr. anche M. Gorra, Introduzione, in Poesie cit., pp. xi-lxxxi, in particolare pp. lv-lvi e lx-lxi; inoltre M. Gorra, Nieviana (I). Il Nievo e la censura, in GSLI, lxxix, vol. cxxxix, 1962, 428, pp. 546-53; Ead., Nieviana (VI). Crittografie nieviane, in GSLI, lxxxv, vol. cxlv, 1968, 449, pp. 100-10.torna su
57 Cfr. la nota al testo in Nievo, Poesie cit., p. 941. Nel manoscritto la poesia è senza titolo.torna su
58 Cfr. ivi, p. 944, il commento di Marcella Gorra: «poetica di parabole […] la quale […] trova la sua più spiccata applicazione nei componimenti che vengono subito dopo la dedicatoria Alle mie figlie e costituiscono il gruppo che il poeta intitola appunto Apologhi, indicando così la necessità in cui si trova di procedere per aenigmata».torna su
59 Nievo, Alle mie figlie cit., vv. 9 e 11-12, con un eco della «vietata stella» del Preludio (p. 261, I, v. 18); la successiva vv. 13-18.torna su
60 Cfr. la lettera alla madre, Adele Nievo Marin, del 10 dicembre 1859: «stasera comincierò alla fine il Pescatore di Anime» (Nievo, Lettere cit., p. 624).torna su
61 Nievo, Il pescatore di anime cit., p. 675. Nella metafora della «prima amica» è però forse possibile cogliere anche un ricordo della Vita nuova di Dante, che al «mio primo amico», Guido Cavalcanti, indirizza il suo scritto (cfr. D. Alighieri, Vita nova, a cura di G. Gorni, Torino, Einaudi, 1996, p. 174). Sul rapporto con Dante cfr. V. Giannetti, Nievo e la 'religione dantesca', in «Lettere italiane», liv, 3, luglio-settembre 2002, pp. 343-62. torna su
62 Ivi, pp. 675-76. Si noti la ripresa da Luca 7 47 («le sono perdonati i suoi molto peccati, poiché ha molto amato»), mentre il titolo del frammento si rifà a un altro luogo del Nuovo Testamento (cfr. Marco 1 17: «"seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini"»).torna su
63 Ivi, p. 676.torna su
64 Ivi, p. 677; corsivo dell'autore.torna su
65 Ivi, p. 675.torna su
66 Cfr. in proposito le lettere scritte tra il maggio e il luglio 1859 (Nievo, Lettere cit., pp. 574-85).torna su
67 Lettera a Bice Gobio Melzi, dell'11 ottobre 1859 (ivi, pp. 609-12, in particolare p. 610).torna su
68 Cfr. per esempio la lettera a Luisa Sassi de Lavizzari, dell'8 ottobre 1859 (ivi, pp. 607-09, in particolare p. 609): «Ho ripreso a scrivere versi. Così va ora fruttificando un buon seme che deggio al pari alla Valtellina, e il seme è diventato a quest'ora un covone di versi che, battuto, ventilato e vagliato, sarà offerto al pubblico sullo scorcio dell'anno col titolo Gli Amori Garibaldini». Sulla gestazione e la vicenda editoriale della raccolta cfr. Nievo, Poesie cit., pp. 1010-16.torna su
69 Lettera a Bice Gobio Melzi, del 12 ottobre 1859 (Nievo, Lettere cit., pp. 612-13, in particolare p. 612).torna su
70 Si tratta in particolare delle già citate La nostra famiglia di campagna, Il milione del bifolco, L'Avvocatino e L'aratro e il telajo.torna su
71 Cfr. per esempio le lettere a Luisa Sassi de Lavizzari, del 20 luglio e dell'8 ottobre 1859 (ivi, pp. 587-89 e 607-09, in particolare pp. 588 e 608): «Intanto prima di riprendere la guerra con le ciliegie, spero che si riprenderà quella coi Tedeschi»; «Ma la guerra? Ohimè: la guerra non l'avremo che in questa primavera. Per quanto un inverno passato in questo Limbo mi sia spaventevole soltanto ad immaginarlo, pure questo è il mio parere e mi vo' adattando come posso».torna su
72 Nievo, Venezia e la libertà d'Italia cit., p. 99; corsivo dell'autore. Cfr. inoltre la poesia Villafranca (Nievo, Gli amori garibaldini cit., pp. 561-64). Sul trattato di Zurigo cfr. Nievo, Storia filosofica dei secoli futuri cit., pp. 47-48: «Era memoria nelle antiche carte d'una pace di Zurigo che fu combinata tra alcuni uomini nell'anno 1859 […]. Quella pace non contentò, a quanto sembra, neppure gli uomini che l'avevano fatta. Perché mai quegli uomini avrebbero finito di terminare un litigio che a loro confessione doveva essere giudicato in diversa maniera?».torna su
73 Nievo, Il pescatore di anime cit., p. 676. Gli era preclusa inoltre Mantova, dove risiedeva la madre, poiché il trattato di Villafranca tagliò in due la provincia di Mantova. La zona di Fossato dove Nievo si ritirò, andò al Piemonte, Mantova all'Austria (cfr. Nievo, Poesie cit., p. 1011). Anche il tema dell'«esiglio» è già trattato negli Amori garibaldini, sempre legato alla speranza di riprendere la guerra (I. Nievo, A casa!, in Id., Gli amori garibaldini cit., p. 582, vv. 5-15): «Il perpetuo ministro in malo arnese / A casa ci rimanda; / Io mi rassegno a far come comanda, / Ma la casa non ho dov'ei s'intese. // Non ho più casa ove i parenti miei, / Ov'è la mamma mia, / Non ho più casa, o fior di leggiadria, / Ove framezzo a' miei pensier tu sei. // A Modena, a Firenze od a Bologna / L'Italia è la mia casa; / Dove speme di guerra è a noi rimasa».torna su
74 Nievo, Il pescatore di anime cit., p. 676.torna su
75 Ivi, p. 675. E cfr. la lettera a Livia di Colloredo Altieri, dell'aprile 1857 con riferimento al processo (Nievo, Lettere cit., pp. 424-25, in particolare p. 425): «Se la dizione proverbiale, andare da Erode a Pilato, può applicarsi ad alcuno, io sono per me certo quello, ché in una ventina di giorni mi toccò visitare tutti gli Erodi e tutti i Pilati di Lombardia»; corsivo dell'autore. Sul processo cfr. I. De Luca, Notizia, in Nievo, Novelliere campagnuolo cit., pp. 407-11 e i relativi documenti (ivi, pp. 413-69).torna su
76 Sul momento di stesura di testi prefatori solitamente successivo a quello dell'opera, si veda per esempio Genette, Seuils cit., pp. 161-62: «C'est un lieu commun que d'observer que les préfaces, aussi bien que les postfaces, sont généralement écrites après le texte qu'elles concernent (il existe peut-être des exceptions à cette norme de bon sens, mais je n'en connais aucune qui soit formellement attestée)».torna su
77 I. Nievo, Confessione di bigamia, in Id., Gli amori garibaldini cit., p. 502, vv. 3-12. «Sposa» la poesia è definita anche in un altro componimento della raccolta (I. Nievo, La controdote, ivi, pp. 543-44, in particolare vv. 17-18 e 29-40): «Qual è la controdote / Che assicuri alla sposa? / […] / Altri tesor desia / La Poesia. // Porger le devi un petto / Di temerari intenti, / Un braccio che rispetto / Non abbia dei potenti, / Un labbro che il pensiero / Per pigro umor non torca, / Un piè che segua il vero / In carcere e alla forca; / Se no ti manda via / La Poesia», dove a una funzione puramente esornativa viene contrapposta la forza morale della poesia.torna su
78 Dei racconti pubblicati nel 1860, San Marco, La vigilia delle nozze (in Nievo, Novelliere campagnuolo cit., pp. 611-21 e 601-10) e La viola di San Bastiano [prima versione] cit., solo l'ultimo appartiene alla serie di novelle campagnole, ma è composto già nel 1856.torna su
79 Lettera ad Adele Nievo Marin, del 29 dicembre 1859 (Nievo, Lettere cit., p. 625).torna su
80 In proposito cfr. M. Gorra, Introduzione, in Nievo, Due scritti politici cit., pp. 1-60, in particolare p. 55: «Dopo Villafranca, la produzione di Nievo è […] interamente dominata da considerazioni e da assunti politici».torna su
81 Lettera a Livia di Colloredo Altieri, dell'8 ottobre 1859 (Nievo, Lettere cit., p. 605).torna su
82 Cfr. il cappello introduttivo del saggio, quasi un proemio: «Quod Deus coniunxit homo non separet. Le scritture politiche d'occasione appaiono di solito anonime perché vogliono considerarsi dettate da quel puro buon senso popolare e da quell'assoluto criterio di moralità che dovrebbero essere universali in una nazione e dominare l'espressione storica della sua vita. Buon senso e moralità popolare sono i due autori dello scritto che ora viene in luce» (Nievo, Venezia e la libertà d'Italia cit., p. 87).torna su
83 I. Nievo, Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, in Id., Due scritti politici cit., pp. 63-85, in particolare pp. 72-75 e 82-83. Sulla questione del clero di campagna, con riferimento al Pescatore di anime e al saggio appena citato, cfr. F. Della Paruta, Nievo "politico" e la questione contadina, in Ippolito Nievo e il Mantovano cit., pp. 361-406, in particolare pp. 381 sgg.torna su
84 Genette, Seuils cit., p. 117. Sui cambiamenti del genere della dedica in Italia tra Sette e Ottocento cfr. M. A. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des lumières et invention romantique, Actes du colloque de Genève, 24-25 novembre 2000, réunis par G. Bardazzi et A. Grosrichard, Genève, Droz, 2003, pp. 161-92.torna su





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