11, 2017
 
Wunderkammer  
 
 

Vincenzo da Filicaia

Canzoni in occasione dell'assedio e liberazione di Vienna. Dediche

a cura di Damiano D'Ascenzi



Serenissimo
GRANDUCA
mio unico signore
Tradirei la pietà delle proprie viscere, se con quanta negligenza sono stati questi miei Poetici Componimenti deformati, e guasti colle stampe in più luoghi d'Italia, con altrettanto studio non procurassi io di restituirgli alla primiera lor forma, e sembianza. Ma troppo più tradirei la giustizia dell'obbligo, che mi corre, se determinando ora d'esporgli alla pubblica luce in Firenze, io non gli consacrassi a V. A. S. a cui di propria ragion s'appartengono, e per la sovranità del dominio, che Dio Le ha dato sopra di me, e per quell'altro non men sovrano, che le di Lei Eroiche virtù Le hanno aggiunto. Oltre che, qual più splendida, ed amorevole protezione potre'io giammai procacciare a queste umilissime Poesie, che quella di V. A., la quale più, e più volte quasi scordatasi della propria Maestà, non pur le ha accolte con gradimento, ma eziandio ascoltatele con tenerezza, e, quel, ch'è più con incredibile umanità divolgatele per molte parti d'Europa? Eccomi dunque a' piedi dell'A. V. con questo non dirò dono, ma debito; rendendomi certo, che siccome è proprio di chi benefica, l'amar nel beneficato non tanto le di lui qualità, quanto i suoi medesimi beneficj, così la generosità di V. A. amerà nelle mie Rime non quel, ch'elle sono, ma quel, che le ha fatte peravventura parere la di Lei magnanima approvazione. Supplico intanto reverentemente l'A. V., che con lieta fronte si degni d'accoglier questa rozza sì, ma incontaminata, e vergine, Musa, la quale assai più intenta a maturar frutti d'eterna vita, che a procacciarsi fronde di caduchi applausi, altra dote non cerca, per isposarsi alla Fama, fuor che l'amore di Dio, e quello di V. A. S., a cui con profondo ossequio umilissimamente m'inchino.
Di V. A. Sereniss.ma

Umiliss. e Fedeliss. Servo, e
Suddito
Vincenzo da Filicaia



LEOPOLDO I
Romanorum Imperatori Invictissimo
Semper Augusto

vincentius a filicaia felicitatem
Triumphum vere admirabilem, & ante hanc diem inauditum, qui in summo Christiani Orbis discrimine res lapsas, ac pene profligatas divinitus restituit, instauravit, erexit, iniurius profecto sim, Invictissime Caesar, ac de tuae amplitudine felicitatis, & gloriae pessime meritus, si Caesareae tuae Maiestati pro dignitate non gratuler. Et gratulari quidem honestum est, cum Othomanicus ensis ab ipso periclitantis Austriae, Christianaeque Reipublicae iugulo sit depulsus. Verum in tanta celebritate, quantam superiora secula nunquam vidisse compertum est, Musas gratulationi testes, ac socias adhibere, multo honestissimum. Hanc igitur Odam Hetruscis vinctam numeris, quae mea est audacia, tibi Principum Maximo nedum scribere, sed & mittere non sum veritus. Et quanquam longe infra tuam magnitudinem sit quicquid non modo dici, verum etiam excogitari potest, incredibilis tamen humanitatis, quam tibi supra tam ardui Principatus fastigium vendicas, ne ad haec humilia pauxillum descendere dedigneris, nisi fallor, efficiet. Ad sacros itaque Caesareos pedes humillime provolutus dum, & audaciae veniam, & obsequij gratiam suppliciter peto, pro tuorum armorum non intermissa in Turcas prosperitate, pro Orthodoxae Fidei, pro Sacri Imperij, atque Augustissimae Domus incolumitate, propagatione, incremento iuges ad Deum Optimum Maximum preces effundo.


IOANNI III
Poloniae Regi Invictissimo

vincentius a filicaia felicitatem
Nullus profecto, Invictissime Rex, in toto Orbe Terrarum tam dissitus, atque a solis itinere tam seiunctus locus est, quo non incredibilis Victoriarum tuarum fama pervaserit. Cui ergo mirum sit, si ad tantam, ac tam plausibilem, neque unquam hactenus auditam. Triumphi celebritatem ipse quoque erectus, atque excitatus, & attonito similis vocem, atque oculos attollere ausim? Quod si hoc mei nominis obscuritati non satis congruere, nec longe abesse videtur a crimine temeritatis, scito, Rex, cum esse me, quo nemo fortasse alius in tui admirationem, tuasque pene divinas laudes concelebrandas, & in posterum usque, aevum traducendas pronior sit, aut esse possit, ac debeat. Hanc igitur qualiscunque ea sit, Hetruscis numeris alligatam Odam, quam ego nunc Sacrae, ac Regiae tuae Maiestati venerabundus offero, ac dico, patere, tuis oculis paulisper subijci. Id si, ut spero, feceris, quid tibi Christiana Respublica debeat, quid tu Deo, qui in te exornando, Regijsque virtutibus affatim cumulando totus propemodum fuisse visus est, & facile senties, & novas ingenio meo faces, novum calcar adijcies. Me interim ad Regios pedes humillime provolutum, ut qua soles humanitatem excipias, enixe obsecro, tibique Orthodoxae Fidei acerrimo Propugnatori a Deo Optimo Maximo inoffensum in Turcas Victoriarum cursum, ex animo precor, atque ominor.


serenissimo principi
CAROLO V
Lotharingiae Duci
VINCENTIUS A FILICAIA FELICITATEM
Quod in magna Triumphorum celebritate plerunque contingit, ut infimae quoque fortis homines una cum Primatibus unanimi acclamatione, indiscretisque prae gaudio vocibus Triumphatori festivissime plaudant, id mihi, Serenissime Princeps, in istoc Victoriarum tibi subinde renascentium inoffenso, atque admirabili cursu evenisse sentio. Nam cum disertissimus quisque ad hunc diem pro sua facultate grandia tibi, & magnifica honoris causa sit modulatus, ego quoque, etsi tenuitatis meae conscius, proletario carmine obstrepere non dubitavi, maluique, ne officio deessem, indiserti, quam inofficiosi hominis notam subire. At vero quis tacere citra piaculum possit, cum & Urbs Austriae Princeps obsidione soluta, & Sacri Imperij Maiestas in libertatem asserta, & profligati toties Turcarum Exercitus, & Arces captae, incensaeque, & munitissima Oppida qua expugnata, qua in deditionem redacta ad te miris in Caelum laudibus extollendum unumquenque compellant? Hanc igitur Hetruscam Odam, quam ego nunc Serenissimae tuae Celsitudini venerabundus nuncupo, ac sisto, ut in obsequij erga te mei perenne monumentum accipias, etiam, atque etiam rogo. Magnus profecto rebus a te gloriose gestis accedet cumulus, si exteras Musas tui admiratione plenissimas, & in sinum tuum confugientes non modo benigne excipiendi, sed etiam humaniter fovendi cupido incesserit. Quod si te fecisse cognovero, prout armorum aeque, ac literarum gloria florentissimum Principem decet, nec te fortasse collati beneficij poenitebit, neque ego, ita me Deus adiuvet, abutar accepto. Vale interim, Serenissime Princeps, ad Sacri Imperij internecionem; & si quid amplius a te flagitare fas est, patere, ut Serenissimae tuae Celsitudini perpetuum obsequium, famulatumque devoveam.

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Nota

Quelle riprodotte sono le quattro dediche accorpate al polittico celebrante la disfatta della poliorcetica ottomana in Austria firmato da Vincenzo da Filicaia (Canzoni in occasione dell'Assedio, e liberazione di Vienna, Firenze, Per Piero Matini, mdclxxxiv, pp. 21-22, 33-34, 51-53), senatore fiorentino, accademico della Crusca e arcade, che fu in vita “amico di penna” di Cristina di Svezia (cfr. Geddes da Filicaia 2005, pp. 331-42), e che avrebbe trovato in Alfieri un ammiratore postumo (Vita, Epoca quarta, ix: «composi d'un fiato le quattro prime odi dell'America libera. A queste m'indusse la lettura di alcune bellissime e nobili odi del Filicaja, che altamente mi piacquero»), mentre in Foscolo un più circospetto recensore (Foscolo 1896, p. 353: «conserviamo pure [...] i due volumi delle poesie del Filicaja; ma conserviamoli nulla più che come indizi [...] di un gusto migliorantesi certo, ma non ancora perfezionato, non ancora liberatosi affatto dalla inclinazione alle amplificazioni rettoriche, alle antitesi ricercate e frequenti, alle metafore petulanti, ai concetti iperbolici»). Tutte le dedicatorie si presentano «in un unico paragrafo [...] senza data» (Terzoli 2009, p. 166) e con «intestazione [...] in forma epigrafica» (ivi, p. 159), sebbene solo l'epistola distribuita lungo le prime quattro pagine fuori numerazione sia «scritta nella stessa lingua dell'opera» (ivi, p. 166). Nella lettera italiana l'autore non si perita di ripercorrere alcuni passaggi caratterizzanti la vigilia dell'ufficiale uscita in stampa, ovvero la pregressa diffusione dei suoi versi in regime di editoria pirata («con [...] negligenza sono stati [...] deformati, e guasti [...] in più luoghi d'Italia») e la preventiva lettura a palazzo degli stessi («V. A. [...] non pur le ha accolte con gradimento, ma eziandio ascoltatele con tenerezza»); l'omaggio dell'opera (o meglio la sua restituzione, stando all'epanortosi «questo non dirò dono, ma debito») si dipana, con esuberanza di elativi e deferente prossemica, tra plateale adulazione del destinatario e sminuimento tutt'altro che velato del mittente. Quanto alle epistole indirizzate ai reali mitteleuropei a capo delle armate cristiane, l'ordine di progressione non combacia con quello di redazione: la priorità cronologica è detenuta da quella a Giovanni III, slittata in penultima posizione ma vergata, come si apprende dal carteggio con Francesco Redi, nell'ottobre 1683 (Da Filicaia 1864, pp. 331-32: «Eccomi a V. S. illustrissima colla canzone per le lodi del Re di Polonia. [...]. Le mando anche la lettera latina diretta ad esso re. V. S. illustrissima la corregga e la riduca a dovere. L'ho fatta latina, parendomi che convenga scrivere a questo re in quella lingua in cui egli scrive agli altri»), un mese prima che si intraprendesse la stesura di quella diretta a Leopoldo I (cfr. ivi, p. 334). Il Filicaia, sempre rivolgendosi al Redi, in relazione al diglottico apparato prosastico da allegare alla collana lirica sembra operare un distinguo per niente ozioso: «le tre lettere latine scritte all'Imperatore, al re di Polonia e al Duca di Lorena [...] la qui acclusa dedicatoria al serenissimo Granduca nostro signore, a cui penso di dedicar queste poesie» (ivi, p. 359). Solo la missiva a ridosso del frontespizio, pertanto, è promossa ad atto di intitolazione dell'intero libro: invero in essa soltanto si fa espresso assegnamento sulla «protezione» mecenatesca − parola-chiave, lo sappiamo, del codice dedicatorio – di cui latita un qualsivoglia corrispettivo lessicale nelle altre tre. E tornando proprio al testo in volgare, dopo che l'encomio di Cosimo III arriva perfino a scomodare antiquate concezioni cesaropapiste («per la sovranità del dominio, che Dio Le ha dato sopra di me»), ricche di interesse si rivelano, quanto meno per lo scenario intertestuale che sembrano schiudere, le righe di congedo. La completiva «che con lieta fronte si degni d'accoglier questa rozza [...] Musa» lascia trasparire, a veder bene, Gerusalemme liberata I 29 («queste mie carte in lieta fronte accogli»), oltre a trovarsi circondata da due aggettivi qualificativi, «magnanima approvazione» e «caduchi applausi», schierati anch'essi a pochi passi da quello stesso endecasillabo (Ger. lib. I 9-10, 25: «O Musa, tu che di caduchi allori / non circondi la fronte in Elicona, / [...]. / Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli»). Peraltro, un ulteriore prelievo dal medesimo locus proemiale (Ger. lib. i 4: «molto soffrì nel glorioso acquisto») balugina nella stanza finale della prima canzone (Sopra l'assedio di Vienna, x, vv. 2-7: «...Udite, udite, / forti campion, che l'arme / per Dio cingete, al Tribunal di Cristo / già decisa a pro vostro è la gran lite: / al glorioso acquisto / su su pronti movete»). Le ottave prolusive della Liberata potevano certo esser state assunte dal Filicaia in qualità di pregiata falsariga su cui edificare il proprio panegiristico discorso di offerta, fornendo a questo prefabbricate formule di pronto utilizzo, ma non deve sfuggire l'analogia probabilmente all'origine di una tale interferenza mnemonica: il capolavoro tassiano, in fin dei conti, si ergeva all'epoca come il più noto e recente precedente di rappresentazione poetica dello scontro di civiltà tra un Islam sub specie Diaboli e Occidente cristiano, vale a dire l'argomento che il Nostro, ispirato dalla cronaca coeva, con le Canzoni viennesi si era prefisso di rinverdire e integrare. Una duplice finalità, dunque, sarebbe sottesa alla dedica al leader mediceo: rinsaldare i rapporti clientelari con i vertici granducali, ma anche influenzare la fruizione dei lettori più colti suggerendo loro un nobilitante apparentamento con un caposaldo indiscusso della tradizione letteraria.

D. D.




Bibliografia

Alfieri 2007
V. Alfieri, Vita, a cura di M. Cerruti, Milano, Rizzoli, 2007.

Da Filicaia 1864
V. da Filicaia, Poesie e lettere, Prefazione di U.A. Amico, Firenze, G. Barbèra Editore, 1864.

Foscolo 1896
U. Foscolo, Filicaja, in Id., Prose scelte critiche e letterarie, Prefazione di R. Fornaciari, Firenze, G. Barbèra Editore, 1896, pp. 346-61.

Geddes Da Filicaia 2005
C. Geddes da Filicaia, “Regum maxima, grandiorque regno”. Vincenzo da Filicaia cantore di Cristina di Svezia, in Cristina di Svezia e la cultura delle accademie. Atti del Convegno internazionale (Macerata-Fermo, 22-23 maggio 2003), a cura di D. Poli, Roma, il Calamo, 2005, pp. 331-42.

Terzoli 2009
M. A. Terzoli, Esercizio di commento sopra un testo di dedica: Giacomo Leopardi al conte Leonardo Trissino in «Per leggere», 17, 2009, pp. 157-70.