4, 2010
 
Saggi    
 
 Abstract


Rodolfo Zucco

Dediche di Giorgio Caproni *


    C'è sempre una moria di nomi dentro di noi. Pochi si salvano e magari non sono neanche i migliori; magari si salvano per puro caso.
    (R. BILENCHI)


1. Qualche anno fa, trattando delle dediche di Sereni, dicevo di «un usus dedicandi dalle caratteristiche assai coerenti: la rarità della dedica stessa, la sua caducità nel corso del processo elaborativo, le forme peculiari di nominazione del dedicatario, una tendenziale obliquità di espressione, un'esistenza sotterranea che si sottrae all'esposizione editoriale».1 Assai diverso − addirittura opposto, potrei già dire anticipando le risultanze dello studio presente − lo stile della dedica di Giorgio Caproni. Già i dati numerici, confrontati alla risicata decina di dediche sereniane,2 sono significativi. È dedicata «a Rina» − Rosa (Rina) Rettagliata, moglie del poeta − la raccolta complessiva delle poesie, giacché la postuma Opera in versi assume − con una scelta filologicamente opinabile benché fedele alle intenzioni presumibili di Caproni − la dedica delle due precedenti sillogi autoriali.3 Dei libri raccolti nel «Meridiano» sono dedicati il Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee («ad Achille Millo»), Il muro della terra (aperto da due versi posti Quasi ad aulica dedica: «Ah rosa, quando ti colsi, / montana e quasi longobarda ancora...»),4 Il franco cacciatore («ai miei di casa»), Il Conte di Kevenhüller (che ha in esordio la quartina «Quest'Operetta a brani, / Lettor, non ti sia sgradita. / Accettala così com'è, / finita ed infinita», firmata dall'autore col proprio nome in Arcadia, Aleso Leucasio),5 i Versicoli del controcaproni (aperti da una «Dedica, / per amor di rima: / a Torquato Tasso, / con cordiale stima») ed Erba francese («a Silvana», la figlia). È ragionevole supporre una volontà dedicatoria anche per il postumo Res amissa:6 vi figura in incipit la sezione Complimento, composta dalla sola Per l'onomastico di Rina, battezzata Rosa e già intitolata Dedicatoria nelle carte di lavoro.7 Scendendo al livello delle sezioni, è dedicato il corpo centrale de Il seme del piangere, i Versi livornesi («a mia madre, Anna Picchi»), il Feuilleton de Il muro della terra («a Silvana, mia figlia»), Poesia per l'Adele | (in memoria) ne Il franco cacciatore (un trittico che ha al centro la poesia omonima della sezione) e Per Sezis all'ospizio ne Il Conte di Kevenhüller, che è da intendersi − tradotto l'argot − come dedica 'a sé stesso'.8 Quanto al livello delle singole poesie, dei 643 membri elencati dall'Indice dei titoli e dei capoversi 42 portano una dedica, 32 hanno titolo dedicatorio, uno è esplicitamente dedicato (ma già il titolo Atque in perpetuum, frater... è trasparente sull'intenzione) nelle Note a «Il franco cacciatore»: «Sono versi dedicati a mio fratello Pier Francesco, morto il 12 febbraio 1978 e sepolto in una gelida mattina di neve nel cimitero di San Siro, a Genova-Struppa».9 L'Indice reca poi un titolo, Su cartolina (PE), cui corrisponde una sequenza numerata di quattro poesie con titolo dedicatorio. Occorre anche considerare il caso in cui la volontà dedicatoria non si esprime nelle sedi peritestuali ma nel corpo del testo, sotto forma di apostrofe: a cominciare dalla poesia senza titolo di Res amissa che con Atque in perpetuum, frater... fa dittico: «... e anche a te, Marcella, / addio, amata mia sorella / sempre così lontana / e sempre a me così vicina... Una stella / nera è stata la tua guida...». Dediche per apostrofe si hanno dunque in «Di strane cose il mio cuore ha passione» (PDI, per Libero Bigiaretti, con apostrofe nominale − «o Libero» − al v. 6), in «O mio Carlo toscano, o mio italiano» (PDI; l'incipit è continuato in enjambement: «Carlo Betocchi, che bella giornata / inventi nella nostra poesia!»)10 e nelle poesie a sé stesso «Vogliti bene, Giorgio» (RA), In pieno trionfo (RA, con incipit «Giorgio, non ti esaltare») e «Giorgio, fa' presto a morire» (PDI). Alcuni casi particolari: si apre con la formula epistolare «Caro Pier Paolo» l'epigramma Dopo aver rifiutato un pubblico commento sulla morte di Pier Paolo Pasolini (RA); ha una sensibile intonazione vocativa il titolo-nominativo Pasolini (RA) continuato da un discorso rivolto all'amico («Quanto celeste, quanto / bianco, quanto / verdeazzurro vedo / nel tuo nome uno e trino»); e come verso-apostrofe si può leggere il «Rosa di maggio» che apre Lapalissade in forma di stornello (FC): «Rosa di maggio. / La morte non è un luogo. / Tantomeno un passaggio. // Vivremo, finché saremo vivi. // Siamo uccelli stativi» (tutto in corsivo nell'originale). La frequenza delle dediche e la loro distribuzione ai diversi livelli dell'organizzazione testuale creano le condizioni perché si verifichino insistenze e sovrapposizioni. Le prime toccano la persona della moglie. Dal momento che a lei è dedicato l'insieme, le tre poesie de Il muro della terra che portano variamente dediche a Rina/Rosa − Araldica («a R.»), Su un'eco (stravolta) della Traviata («per una R.») e Palo («a Sezis e Mézigue», cioè 'a lei e a me stesso')11 − sono, a rigore e di fatto, dedicate tre volte. Lo stesso vale per i due epigrammi A Rina, i e A Rina, ii di Res amissa, qualora si interpreti il Complimento iniziale come dedica del libro. Le sovrapposizioni con la dedica d'insieme sono patenti già al livello delle raccolte: ne vanno esenti solo Il muro della terra e, parzialmente, Il franco cacciatore, che allarga la dedica «a Rina» al cerchio familiare. Altre si riscontrano ai livelli inferiori. Il muro della terra − che è libro dedicato, come detto, alla moglie − raccoglie però poesie «a Ermando Nobilio, | maestro ebanista» (Finita l'opera), «a André Frénaud» (Lasciando Loco), «a Benedetto Marzullo» (Aristofane), «a Giuseppe Cauda» (Ottone), A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre, al padre, nella forma «e a chi?» (Il vetrone), e a Dio («Deo optimo maximo», L'Idalgo). Allo stesso modo, confliggono con la dedica «ad Achille Millo» del Congedo del viaggiatore cerimonioso quelle «à Mézigue» (Lamento (o boria) del preticello deriso), «a Rina» (Il gibbone) e «a Silvana, ad Attilio Mauro» (Toba); con la dedica «ai miei di casa» del Conte di Kevenhüller quelle «a Donato Valli» (Riandando, in negativo, a una pagina di Kierkegaard), «a Ugo Reale» (Geometria), «a Luigi Volpicelli» (Delizia (e saggezza) del bevitore); non però quella di Poesia per l'Adele, che seleziona il singolo nell'insieme. È una situazione ben individuata (e ironizzata) da Genette, che richiamava l'attenzione sulle «numerose raccolte di poesie, di novelle o di saggi in cui quasi ogni componente reca una sua dedica particolare, oltre, in alcuni casi, alla dedica generale della raccolta che tra l'altro non si capisce più bene a cosa si riferisca».12 Che Caproni non avverta la contraddizione tra dediche di diverso livello testuale è confermato da due episodi in cui la sovrapposizione si riscontra, in sincronia, al livello del singolo testo poetico. Sulla strada di Lucca fa parte, nell'assetto definitivo dell'opera, dei Versi livornesi, ed è dunque dedicata alla madre:
  Com'erano alberati
e freschi i suoi pensieri!

Dischiusa la camicetta,
volava, in bicicletta.

Spariva, la bocca commossa,
nel vento della sua rincorsa.
 
Ma quando era apparsa la prima volta in volume, in CVC65, la poesia portava, insieme al sottotitolo «(altri versi per Annina)», la dedica «a Giovanni Scheiwiller», e senz'altro Versi per Giovanni Scheiwiller si intitolava in una precedente pubblicazione su rivista:13 una situazione sanabile, tuttavia, se si intende la dedica nel sottotitolo (secondo un meccanismo mentale su cui tornerò più avanti) nella funzione di complemento di argomento: come fosse, insomma, 'altri versi su Annina', Annina essendo il personaggio-antecedente cui rinviano le terze persone della lirica. Delizia (e saggezza) del bevitore presenta una situazione testuale diversa ma di significato convergente. Tutti i testimoni − compresi il dattiloscritto che apre la serie e tre delle quattro stampe che precedono la prima pubblicazione in volume (in UB) − hanno la dedica «a Luigi Volpicelli».14 Una sola delle stampe − in un libretto in cui i versi accompagnano una riproduzione di Capatina alle Giubbe Rosse di Rosai − non ha dedica; e Zuliani annota che «le due copie conservate in casa Caproni recano le seguenti dediche: "A Rina, | mia vita. | Giorgio | 19 ott. 1981" e "A Rina, mia rosa e | mia sposa, | compagna e colonna | di tutta la mia vita. | Giorgio | Roma, 19 ott. 1981"».15 Idealmente, la dedica al pedagogista Volpicelli non doveva essere venuta meno; ma Caproni approfitta del vuoto sulla pagina per introdurvi − ripetutamente! − le dediche di esemplare alla moglie. Non si ha qui, tuttavia, il singolare sovrapporsi di dedica di edizione e dedica di esemplare che si riscontra per Come un'allegoria.16 In origine, CA36 reca una dedica alla fidanzata morta: «All'umiltà sorridente | della mia piccola OLGA FRANZONI, | amata e disperatamente | perduta, | queste "sue" umili cose. | (7 marzo '36 − XIV)»; ma l'attribuzione di proprietà non impedisce di dedicare una copia della raccolta, con la stessa solennità, «A babbo e a mamma, | pensando commosso e riconoscente | al loro enorme sacrificio | Giorgio | Rovegno 29 maggio 1936».17

2. Altre osservazioni sorgono dalla perlustrazione dell'opera in diacronia sulla base dell'Apparato critico di Zuliani.18 Inizio, ancora, dal livello delle raccolte. Si è visto che non è tra quelle dedicate Il passaggio d'Enea. Il libro era però offerto «a Rina» nella prima edizione in volume, con dedica ripresa quando il Terzo libro di PE56 è pubblicato a sé.19 La dedica non appare più quando Il passaggio d'Enea viene ripubblicato entro il citato Tutte le poesie del 1983: ed è un episodio chiarissimo di dedica non eliminata bensì assunta al livello testuale superiore. Più problematica la vicenda della dedica ad Olga Franzoni di CA36: dedica che cade fin dalla ripresa delle poesie del libretto nella sezione Primo di F41.20 L'omissione fa parte di una strategia complessiva. Nei Sonetti dell'anniversario, del 1942-1943 la dedica è implicita nell'attacco del primo − «Poco più su d'adolescenza ahi mite / fidanzata così completamente / morta» −, ma il nome di Olga non compare mai;21 né si hanno più «riferimenti espliciti» ad Olga dopo Le biciclette (1946-1947), «nonostante − scrive Zuliani − che la figura della fidanzata scomparsa frequentasse ancora con insistenza» la poesia di Caproni.22 Il nome di Olga resta dunque affidato, nell'opera approvata, alla poesia che ha incipit «Questo che in madreperla»:23 poesia che compare col titolo Stasera ancora come primo di Due motivi ad Olga Franzoni | in memoria in chiusura di BF38 (l'altro 'motivo' è Immagine, ora in PDI), conserva la posizione finale nella sezione Secondo di F41 col titolo definitivo Ad Olga Franzoni | (in memoria), apre senza titolo ma con dedica in esergo la seconda sezione della parte intitolata Finzioni in C43, torna infine a chiudere la sezione intitolata Ballo a Fontanigorda di PE56, stabilendo qui (e dunque nell'assetto definitivo dell'opera) un eloquente rapporto di polarità con il dittico A Rina - Altri versi a Rina, in apertura. La caduta della dedica «ai genitori» del primo Ballo a Fontanigorda, che in qualche modo aveva reso pubblica la commossa dedica d'esemplare di Come un'allegoria, si spiega con la sua estraneità al dato tematico fondamentale. Nel secondo libretto «al ricordo di Olga si aggiunge la presenza di Rina, sposata poco dopo l'uscita del libro, e le due figure s'intrecciano sullo sfondo del paesaggio della Val Trebbia»:24 la strutturazione finale della raccolta, di cui ho appena detto, è ben chiara in proposito. Cade, la dedica di BF38, fin dalla sezione Secondo di F41, libro che tuttavia sembra compensare l'omissione presentando nella sezione Quarto una poesia intitolata Ai genitori. Già in C43, di lì a due anni, Ai genitori è espunta (ora è in PDI); ma il titolo passa al dittico di prose (dedicate, nell'ordine, alla madre e al padre) con cui Caproni sceglie di chiudere la parte del volume che ha il titolo dell'insieme.25 Anche questo è però un risarcimento momentaneo, perché le due prose non saranno mai più riprese; come non avrà sèguito l'inclusione in chiusura della seconda delle tre stesure complessive de Il seme del piangere (quella che Zuliani sigla StB) di una prosa al padre che vorrebbe in qualche modo bilanciare la dedica alla madre dei Versi livornesi.26 Basti il primo capoverso, dove Caproni riconosce nei versi perduti di Attilio Caproni alla moglie l'ascendente dei propri alla madre:      A te, babbo, non dedico poesie, anche se per te ho tanto scritto, venendomi da te tanto dolore come dal tuo umile mandolino (dov'è? chi lo suona?) m'è venuta l'allegria della musica, e dai tuoi «Versi per Annina» (li ho persi: sapessi come la mia mente comincia a confondersi) l'idea di queste paginette, quasi per rimediare il danno di quella perdita. Perché ci scommetto ch'erano gli unici versi scritti da te, che soltanto di nascosto amavi la poesia.27 In conclusione, l'esito di queste vicende è l'assenza nell'opera approvata di Caproni di una dedica che pensi congiuntamente le figure della madre e del padre, giacché anche la dedica «parentibus» di Bibbia nella pubblicazione in rivista cade con l'ingresso della poesia ne Il muro della terra. Un movimento tipico della dedica di Caproni in diacronia è il passaggio di livello: dal libro alla raccolta complessiva (come si è visto), dal testo all'insieme che venga a includerlo. È il caso delle dediche a Olga Franzoni di Sei ricordo d'estate e Dietro ai vetri, attestate dai manoscritti (rispettivamente nelle forme «a O.F.» e «ad Olga») e assorbite dalla dedica di CA36. Lo stesso, ma con dediche attestate dalle stampe, per quattro poesie poi nei Versi livornesi: Preghiera, La ricamatrice, Il seme del piangere e Urlo; e così per Il fischio (in rivista con la dedica «ad Achille Millo» che sarà del Congedo del viaggiatore cerimonioso), per Feuilleton (con dedica assunta poi dalla sezione omonima nel Muro della terra) e ancora per In corsa (con dedica trasferita ad Erba francese). È una forma di fedeltà ai primi ispiratori di uno spunto poetico di cui testimonia anche un passaggio nella direzione opposta: quello della dedica «ad Achille Millo» dal Congedo-libro al Congedo-poesia quando la 'prosopopea' entra nelle antologie PG e UB. In altri casi una dedica omessa resiste tuttavia nella forma dell'apostrofe interna al testo. Così ne L'ascensore (PE), titolato A Rina in un manoscritto (l'apostrofe ai vv. 61 sgg.: «Ruberò anche una rosa / che poi, dolce mia sposa, / ti muterò in veleno», ecc.), nella 'dispersa' In memoria, apparsa in rivista con titolo Breve fuoco sei stata e dedica «ad Olga Franzoni | in memoria» («Breve fuoco sei stata / Olga tu in questa ariosa / scena del mondo», ecc.) e nell'altra 'dispersa' Pastorale, che porta una dedica cassata «a Rina« in un testimone dattiloscritto («Tante n'ho viste d'occhi / ceruli, pure nessuna, / Rina, apre la luce / grande delle tue chiare / iridi», ecc.). In un caso isolato la persona cui viene sottratta una dedica viene risarcita dall'offerta di un altro testo: capita a Michele Pierri, dedicatario di Albania (PE) nella sola pubblicazione in rivista e poi (definitivamente) del decimo sonetto de I lamenti, nello stesso Passaggio.28 Più spesso cadono dediche indirizzate a figure che rimangono dedicatarie di altri testi. Così per la dedica «a Rina e Marcella» di Acacia (F) in rivista (dedica che forniva l'antecedente della seconda persona plurale: «Ora è tempo che s'apra / ilare ai vostri lini / un colore più fresco», ecc.), per quella alla moglie − nella forma interlocutoria «Rina, a te?» − che compare, cassata, in un manoscritto di Ad catacumbas sull'Appia (C), per quella «a mio figlio Attilio Mauro» de L'idrometra, presente in tutti i testimoni e omessa con l'ingresso della poesia in quel Muro della terra in cui compare il memorabile titolo A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre. Altre espunzioni determinano invece la cancellazione di nomi dall'opera approvata, e quindi una persistenza solo avantestuale. Scompare così il nome Adello Ciucci, «amico e compagno di lezioni di violino negli anni genovesi»,29 dedicatario di Fine di giorno (CA) in una redazione dattiloscritta e poi di Con che follia (F) nella pubblicazione in rivista; scompaiono i nomi di tre recensori di CA36 − Filippo Maria Pontani, Mino Morali e Giulio Alessi − dedicatari rispettivamente di Giovinezza (poi Alla giovinezza), Sagra del Santo (poi Sagra) e Nascita di Venere (poi Venere) in BF38;30 e scompare il nome di Ugo Betti, già dedicatario di Batticuore (F) in rivista. Meno pesanti le altre espunzioni: del titolo-dedica criptico A ....... a favore di Senza titolo (F), della dedica interrogativa «cui dono?» (prima, con forma arcaizzante, «quoi dono?») di Toponimi (MT), del titolo Al mio scheletro in un dattiloscritto della poesia che diventerà Epilogo (PE), della dedica «a Leurzigues» ('a Loro')31 di Oss'arsgian (MT). Due i mutamenti di dedicatario. Uno è in realtà uno scambio, e tocca i primi due testi della sequenza Su cartolina de Il passaggio d'Enea: infine titolati rispettivamente A Tullio e A Rosario, figurano con attribuzione invertita nei manoscritti. L'altro, ipotetico ma ben argomentato, è di maggiore rilievo psicologico e morale, ed è la presentazione come Altri versi a Rina del dittico che in rivista, in BF38 e in F41 ha titolo Due idilli:
  Nei tuoi occhi è il settembre
degli ulivi della tua cara
terra, la tua Liguria
di rupi e di dolcissimi
frutti.
 
                            *  
  Sopra i monti spaziosi
le poche case disperse
invidiano il colore caldo
della tua pelle, all'ora
che fa nostra ancora per poco
la terra.
 
Scrive Zuliani: I due brevi componimenti [...] non sono mai datati, ma compaiono nelle carte inizialmente come a sé stanti, in serie recanti testi di Come un'allegoria in stesure senz'altro anteriori alla pubblicazione di tale volume nell'aprile del '36. Sembrerebbe quindi che i due testi fossero inizialmente dedicati a Olga Franzoni, che morì alcune settimane prima dell'uscita di Come un'allegoria (e certo queste poesie, in cui lei è viva e presente, non poterono trovarvi posto), mentre Rina fu conosciuta poco dopo. E infatti il nome di Rina come dedicataria fu introdotto solo a distanza di vent'anni, a partire da Il passaggio d'Enea (1956), e tale scambio rimanda alla «sotterranea complementarità» delle due figure a partire da Ballo a Fontanigorda, specie quando entrambe sono associate al paesaggio ligure.32 3. La caducità delle dediche sorte da un momentaneo impulso di gratitudine per i primi sostenitori di Come un'allegoria contribuisce a delineare l'area degli affetti in cui più radicatamente e insistentemente sorge l'offerta di testi in Caproni. È un'area che coincide con il cerchio familiare − l'insegna ne potrebbe essere la dedica «ai miei di casa» de Il franco cacciatore −,33 e che comprende anche la figura che di quell'area costituisce il centro, l'io stesso. La dedica a sé stesso avviene − et pour cause − con accorgimenti attenuativi o ironizzanti tanto linguisticamente che tematicamente: si hanno così le espressioni a Mézigue (dedica di Lamento (o boria) del preticello deriso, CVC), Per Sezis all'ospizio, le apostrofi «Vogliti bene, Giorgio» e «Giorgio, fa' presto a morire», e quindi la figurazione di sé accanto ad altri in «a Sezis e Mézigue» (dedica di Palo) e «all'amico pittore | Jean Bourillon, | alla mia infanzia, | in memoria» (dedica di Alla Foce, la sera..., CK); cosicché una dedica nudamente A me compare solo come titolo di un epigramma inedito prima dell'Opera in versi: «Forse so cosa sia / in cielo (soli) vivere: / dev'essere come scrivere / (la notte) una poesia». Accanto all'io è in primo luogo la moglie Rina/Rosa: che ha dedicati, oltre all'insieme e a Il muro della terra, ben tredici testi. A Rina sono intitolate cinque poesie rispettivamente di Ballo a FontanigordaNell'aria di settembre (aria»; seguono gli Altri versi a Rina), di FinzioniL'erba dove tu posi»), de Il Conte di KevenhüllerSenza di te un albero») e di Res amissaNiente più volontà» e «Se il mondo prende colore», accostate e distinte dal numero d'ordine romano). «A Rina» come dedica compare in Due appunti (SP), Il gibbone (CVC), Laudetta (CK). In altre forme, il nome della moglie è nel titolo Per l'onomastico di Rina, battezzata Rosa (RA) e, come iniziale puntata, nelle dediche «a R.» di Araldica e «per una R.» di Su un'eco (stravolta) della Traviata.34 Va aggiunta, naturalmente, la dedica implicita della citata Lapalissade in forma di stornello. Detto sopra della superstite dedica Ai genitori, la madre è dedicataria dei Versi livornesi e della 'dispersa' Folle vento (PDI); il padre figura nel titolo A mio padre (F) ed è (soprattutto) al centro dell'episodio raccontato ne Il vetrone. Accanto alla dedica al fratello di Atque in perpetuum, frater..., due riguardano la sorella Marcella: alla quale è offerta Metti il disco e ripeti (C) e, in anni tardi, il 'Tombeau' per Marcella e l'epigramma «... e anche a te, Marcella» (entrambi in RA). I due figli sono menzionati insieme nella dedica «a Silvana, ad Attilio Mauro» di Toba, e ricevono poi l'una Erba francese e il Feuilleton de Il muro della terra, l'altro la citata A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre, nel cui titolo Caproni chiude attorno a sé il cerchio delle generazioni. La dedica «per Paoletta» di AA BB (EF) accoglie ne L'opera in versi anche «la nipotina prediletta di Caproni».35 L'ambito familiare si completa con i cognati, destinatari di Poesia per l'Adele,36 Finita l'opera («a Ermando Nobilio, | maestro ebanista») e Ottone («a Giuseppe Cauda»). Ed ecco gli amici: per i quali, tuttavia, la qualificazione è esplicitata solo nella dedica, già citata, di Alla Foce, la sera...37 e in quella di In lode del «Singolo» (RA: «all'amico livornese | Folco D., vecchio canottiere»).38 Sfilano dunque come dedicatari Libero Bigiaretti (Le biciclette, PE), Tullio Cicciarelli, Rosario Assunto, Franco Riondino, Giannino Galloni (Su cartolina, PE), Achille Millo (Il congedo... come libro), André Frénaud (Lasciando Loco, MT), Ugo Reale (Geometria, FC), Giorgio Agamben (Di un luogo preciso, descritto per enumerazione, CK), Goffredo Petrassi (Tre improvvisi sul tema la mano e il volto, CK), Albino e Giulietta Barbieri (Guardando un orto in Liguria, RA), Clemente Fabiani (La voce, RA). Altri nomi di amici sono iscritti nei titoli: A Ferruccio Ulivi (SP), Per Franco Costabile, suicida (RA), A Vittorio Zanicchi (RA), A Giuliano Gramigna dopo aver letto i suoi «Esercizi di decomposizione» (RA). Metto qui anche la figura dell'infanzia cui è indirizzata A Cecco (CA).39 Quanto agli amici destinatari di testi per apostrofe (Pasolini, Betocchi e ancora Bigiaretti), si veda supra. Non è sempre facile, senza un'indagine biografica approfondita, distinguere le figure amicali da quelle di sodali e interlocutori occasionali; ma basti qui registrare i nomi dei poeti Michele Pierri (I lamenti, x, PE), Ettore Serra (A Ettore Serra, RA) e Greg Gatenby (Il delfino),40 dei critici Donato Valli (Riandando, in negativo, a una pagina di Kierkegaard, FC), Giuseppe Leonelli (Il serpente, CK), Stefano Coppini (Controcanto, CK) e Valerio Volpini (Dinanzi al Bambin Gesù..., PDI),41 degli artisti Erasmo Valente (All alone, PE), Mario Ceroli (Il mare come materiale, CK) e Rolando Monti (Su cartolina, PDI), e poi del grecista Benedetto Marzullo (Aristofane, MT), dell'editore Giorgio Devoto (Rifiuto dell'invitato, CK) e del pedagogista Luigi Volpicelli (Delizia (e saggezza) del bevitore, FC). Sembrano discendere da rapporti più estemporanei le dediche A una giovane sposa (BF), «Alla Signora | Bianca d'Amore» (Martina, CK)42 e «Per Antonio Debenedetti» (Versi didascalici, RA).43 Un caso a parte è la dedica all''esecutore' (secondo un'abitudine frequente nell'ambito musicale) rappresentata dall'offerta «ad Achille Millo» del Congedo del viaggiatore cerimonioso: offerta derivata dalla corrispondenza interpretativa che le «voci»44 del libro trovarono nella recitazione dell'attore. Del Congedo-poesia Caproni scrive a Betocchi il 9 marzo 1961 che esso «vuol esser soltanto il preludio 'recitato' (da un bravo attore, e con una certa lenta enfasi) di un poemetto dove mi piacerebbe descrivere una mia calata nel limbo e un mio incontro con i morti, divenuto loro concittadino e fratello».45 «L'interprete ideale − annota Zuliani − fu trovato in Achille Millo, che lesse le poesie di Caproni nella trasmissione radiofonica Piccola antologia poetica e le incise su disco»:46 una circostanza che trova eco nella nota in calce a CVC65, poi omessa: «Dedico queste pagine ad Achille Millo non soltanto in segno d'amicizia, ma anche perché molte di esse hanno trovato in lui la loro giusta voce, e perciò almeno in parte gli appartengono».47 Con un più limitato numero di dediche usciamo dagli ambiti familiare e delle relazioni sociali. Alcune potrebbero essere definite dediche culturali: sono quelle a Torquato Tasso dei Versicoli del controcaproni (trascritta sopra) e «a Luigi Mercantini, | in debito di una rima» di Determinazione (FC). Altre sono dediche di omaggio: quella di Batteva (MT), che è proposta esplicitamente, fra parentesi, come «Omaggio a Dino Campana», quella «a Giaime Pintor, | rileggendo il suo Rilke» di Determinazione (FC) e l'altra nel titolo A Eugenio Montale, in occasione del Nobel (PDI). Un più sparuto numero di dediche individua i destinatari di testi a carattere variamente epigrammatico: A certuni, Alla patria, A certi miei «ammiratori», Ai più «saputi» (tutti in RA) e Ad un vecchio (un testo giovanile ora in PDI). Altre dediche evocano entità astratte, geografiche e collettive. Sono quelle al lettore de Il Conte di Kevenhüller48 (si veda sopra), Alla giovinezza (BF), Alla Maremma (una 'dispersa' ora in PDI), Alle mondine (BF). Infine, l'interlocutore primo di Caproni a partire dagli anni Sessanta compare − distanziato ironicamente nella formula latina − nella dedica «Deo optimo maximo» de L'Idalgo.

4. In Sereni − osservavo − «con l'esclusione di quelle di Belgrado ["a Giosue Bonfanti"] e della sezione Diario d'Algeria ["a Remo Valianti"], tutte le dediche delle poesie approvate presentano il solo nome o le iniziali puntate».49 Caproni ricorre all'iniziale puntata per il nome di Rina/Rosa in Araldica e Su un'eco (stravolta) della Traviata. È una scelta di discrezione dovuta al fatto che alla stessa Rina è dedicato l'intero e − nella seconda delle due poesie − un modo per suggerire, insieme, l'innesco del gioco allitterativo-paronomastico (con ripresa dell'iniziale maiuscola in «Ritorneremo» e «Rimoriremo»).50 Il solo altro caso (parziale) è nella tarda «all'amico livornese | Folco D., vecchio canottiere». L'uso del solo nome è la modalità normalmente impiegata per i membri del cerchio familiare, quando non vengano indicati con la qualificazione relazionale (nel caso dei figli le due modalità possono sommarsi: «a Silvana, mia figlia», A mio figlio Attilio Mauro...). Ma l'amore − così bisogna definirlo − di Caproni per la nominazione completa risalta già in quest'area, se pensiamo alla dedica «a mia madre, Anna Picchi» dei Versi livornesi e al titolo Ad Olga Franzoni | (in memoria), o se recuperiamo nell'Apparato critico l'originaria dedica «a Rina Rettagliata» della poesia di BF38 che ha titolo Aria d'innocenza e che diventerà la prima delle cinque A Rina nell'assetto definitivo de L'opera in versi. Mostra segni di espansione, insomma, nell'ambito familiare il tipo Nome Cognome, che per la relazione amicale conosce le sole eccezioni dei quattro testi della sequenza Su cartolina: A Tullio, A Rosario, A Franco, A Giannino. Se, con Genette, «c'è sempre un'ambiguità nella destinazione di una dedica d'opera, che contempla sempre almeno due destinatari: il dedicatario, ovviamente, ma anche il lettore, poiché si tratta di un atto pubblico verso il quale il lettore è in qualche modo chiamato a testimoniare»,51 la scelta a favore della forma Nome Cognome indica palesemente il prevalere del valore pubblico insito nell'atto di dedica caproniano. Vi si manifesta una sorta di volontà di conservazione epigrafica e testimoniale:52 come se l'iscrizione con forma pubblicamente riconosciuta potesse rendere il nome meno effimero, difenderlo più a lungo dal suo inoppugnabile destino di oblio. È un impulso di salvaguardia da considerare e valutare nell'ambito di una scrittura, quella di Caproni, di cui sono emblemi le «figure che [...] imprigionano il transito dall'ora all'oltre, incastrano l'attimo dello spegnimento, l'asparizione (secondo una sua invenzione), lo sfinimento del suono». Così Raffaella Scarpa, che continua notando come assai spesso questo «transito tra esserci e sparire» sia «catturato» proprio nell'estinguersi della parola, del nome; ed elenca: «La rosa / del tuo nome è bruciata / nella memoria» (F, E ancora); «Era un debole vento / che portava lontano / il tuo nome» (C, Quale debole odore...); «Farai sera corale / di lacrime, quando il tuo nome / ripeterò: una vana / vampa che si consuma / in cenere al tuo davanzale» (C, Nella sera bruciata...); «− l'aria di sangue e il nome / bruciato nei giorni irrotti?» (C, Finita la stagione...); «il tuo franco / verbo distrutto in quel chiuso rumore» (C, Sonetti dell'anniversario, viii); «e il tuo nome / più non resisterà, già dissipato / col sospiro del giorno» (C, Sonetti dell'anniversario, xii); «Ora un cavallo / selvatico, sull'erba fugge come / sopra la terra è fuggito il tuo nome» (C, Sonetti dell'anniversario, xvi); «io sento / la tua voce distrutta − odo le trame / in rovina» (PE, Strascico); «Unico frutto, / oh i nomi senza palpito − oh il lamento» (PE, I lamenti, i); «l'infinito / caos dei nomi ormai vacui e la guerra» (PE, I lamenti, iii).53 Non ripeterò tutti i nomi già registrati, per notare invece come il tipo Nome Cognome sia impiegato senza eccezioni anche nel caso di personaggi per i quali è corrente la nominazione col solo cognome: dico Torquato Tasso, Luigi Mercantini, Dino Campana, Eugenio Montale. Il binomio può essere accompagnato dalla menzione dell'ambito dell'operosità − «a Ermando Nobilio, | maestro ebanista», «a Erasmo Valente, musicista», «allo scultore | Mario Ceroli» (con le implicazioni che si vedranno) −, da una qualificazione affettiva − «al giovane | Stefano Coppini» − o da entrambe: «all'amico pittore | Jean Bourillon [...]», «all'amico livornese | Folco D., vecchio canottiere». Né manca (ancora, contro la sola «a Giansiro che va in Algeria» di Sereni per Il male d'Africa) la puntuale annotazione circostanziale: A Giuliano Gramigna dopo aver letto i suoi «Esercizi di decomposizione», «a Clemente Fabiani, | per le sue nozze» (La voce), «a Giaime Pintor, | rileggendo il suo Rilke» (Imitazione), A Eugenio Montale, in occasione del Nobel.

5. Sono tendenze, quelle descritte, che anche l'apparato variantistico contribuisce a delineare. La dedica «a Ermando Nobilio, | maestro ebanista» di Finita l'opera si impone su «fabro cuidam tignario» (anche a stampa); in Ottone la prima nominazione aggiunge al nome e al cognome il soprannome, si riduce al solo soprannome («a Pinin»), si assesta infine sul definitivo «a Giuseppe Cauda»; il titolo A Ferruccio Ulivi ha partita vinta sulle forme Cartolina a Ferruccio e A Ferruccio attestate dai dattiloscritti; e interviene a specificare la forma «a Mario Ceroli» del primo dattiloscritto la qualificazione del dedicatario come «scultore» ne Il mare come materiale. Sempre l'Apparato critico rafforza l'impressione di una pulsione dedicatoria già manifesta nei dati numerici. La storia del testo che ha avuto infine come titolo Al primo galletto mi pare assai significativa. Dapprima il titolo è Primo galletto (così in BF38 e in F41); quindi il nominativo (o piuttosto vocativo, dato lo svolgimento del testo alla seconda persona: «Aguzza diana incrini / il ghiaccio della prim'alba / frigida», ecc.) si fa dativo e si posiziona in esergo (C43),54 per conquistare infine (in PE56) il ruolo di titolo. È un chiaro esempio del caso − ben descritto da Mengaldo richiamando l'ascendente leopardiano di A Silvia − in cui dedica e soggetto coincidono, «se addirittura la (pseudo-) dedica non maschera, o colora affettivamente, l'indicazione tematica».55 Il passaggio dal nominativo/vocativo al dativo in sede di titolo si ritrova nella storia editoriale della poesia che in BF38 continua il titolo Giovinezza con un'apostrofe rivolta all'entità evocata: «Giorno di meravigliose / essenze e di ricchi aromi / adorno, sei tu che sciogli / i canti delle giovinette / chine sull'ago», ecc. Il titolo segue l'iter già visto: confermato in F41 (dove viene omessa la dedica «a Filippo Maria Pontani»), diventa dativo in esergo con C43, e in questa forma risale alla sede del titolo in PE56.56 La forza della pulsione dedicatoria in Caproni si può valutare anche dalle vicende variantistiche in cui si manifesta la dialettica tra peritesti. In due casi l'originaria iscrizione dedicatoria soppianta il titolo. Quello della poesia che leggiamo (da PE56) come A Cecco era in CA36 Dalla pianura ventosa..., e «− a Cecco −» vi era apposto come dedica. Lo stesso per la poesia A Rina di Ballo a Fontanigorda, che in BF38 vedeva la dedica affiancata (e subordinata) al titolo Aria d'innocenza. Per la poesia A Rina di Finzioni («L'erba dove tu posi») i primi due testimoni (rispettivamente un dattiloscritto e un manoscritto) hanno titolo L'ora che signoreggi; nel terzo (un dattiloscritto) il titolo manca, e compare come dedica «a Rina»; titolo e dedica si affiancano nella prima pubblicazione, su rivista; infine, con F41, la dedica è promossa in sede di titolo. Per A mio padre, poesia che precede A Rina in Finzioni, la vicenda è simile: il titolo che sarà definitivo compare sul primo testimone (un manoscritto); manca sul secondo (un dattiloscritto), viene sostituito da Sottoripa in F41; ma con C43 «a mio padre» ricompare come dedica, ed è infine acquisito da PE56.57

6. Un'altra serie di fatti dichiara il carattere fondamentalmente non appositivo ma invece congenito di dedica e testo poetico. Ancora l'Apparato critico ci mostra come la dedica di Caproni sia stata concepita nella maggior parte dei casi a un tempo stesso con i versi che essa apre o accompagna, testimoniata com'è nella parte 'alta' dell'elenco dei testimoni, e molto spesso nel primo. Da questa identità o prossimità genetica discende una relazione stringente, un rapporto organico, secondo la casistica che segue: a) La dedica anticipa il carattere apostrofico dei versi, ed è dunque ripresa nel corpo del testo poetico. Così, per fare solo qualche esempio, ne Le biciclette, dove la dedica «a Libero Bigiaretti» annuncia l'apostrofe della quarta lassa: «Io non so come, / o Libero, in quest'alba veda il sole / frantumarsi per sempre», ecc.; o in Poesia per l'Adele, che al v. 7 isola tra due spazi strofici «Adelina, mi senti?». L'apostrofe può darsi naturalmente in forma variata: in Araldica e A Rina, ii (RA) la forma vocativa è «amore» (rispettivamente in incipit ed explicit: «Amore, com'è ferito / il secolo, e come siamo soli / − tu, io − nel grigiore / che non ha nome», ecc.; «Se il mondo prende colore / e vita, lo devo a te, amore...»). Ulteriore variazione del modulo è la finzione epistolare: «Ferruccio mio, ti scrivo / perché in petto ho ancor vivo / un ago. E chi potrebbe / a voce dirti ch'ebbe / in te un vino il dolore?» (A Ferruccio Ulivi, vv. 5-9); mentre nel caso dei due versi d'attacco di Su cartolina, «a Rolando Monti», il valore di apostrofe, pur sfumato, sembra comunque prevalere su quello di apposizione al nome del dedicatario: «Pittore di parole / bianche − d'aria di mare. / Le case così chiare / nel tuo giorno, hanno il sale / d'iride che in me consuma / una patria di spuma», ecc. Molte volte, va da sé, l'apostrofe che ripete la dedica non è esplicitamente nominale ma vive nella deissi pronominale, aggettivale e verbale: «Dalla pianura ventosa / della tua terra ho avuto / quest'aspra volontà», ecc. (A Cecco); «Picchi il sole le vostre / tènere carni − vi chini / il lavoro sull'alidore / dell'acque», ecc. (Alle mondine); «Dammi la mano. Vieni. / Guida la tua guida. Tremo», ecc. (Su un'eco (stravolta) della Traviata, «per una R.»); «Portami con te lontano \ ... lontano... / nel tuo futuro», ecc. (A mio figlio Attilio Mauro...). b) La dedica esplicita la fondamentale inclinazione transitiva del testo, individuando un tu che − pur assente nei versi − viene a costituire il primo destinatario del discorso gestito dall'io nelle forme della confessione −
  No, non è questo il mio
paese. Qua
− fra tanta gente che viene,
tanta gente che va −
io sono lontano e solo
(straniero) come
l'angelo in chiesa dove
non c'è Dio. Come,
allo zoo, il gibbone
(Il gibbone, «a Rina») −,
 
del racconto −
  Sono stato là
dove non si può tornare.
Tutto è come fu. C'è il mare
ancora, che par penetrare
l'asfalto (par trasparire
− nel nero − dalle rose
delle facciate), e ancora
verde c'è l'Orologio, fermo
− con Giano − sulla stessa ora
(Toba, «a Silvana, ad Attilio Mauro») −
 
o della conclusione gnomica:
  L'importante è colpire
alle spalle.
                    Così si forma un cerchio
dove l'inseguito insegue
il suo inseguitore.
Dove non si può più dire
(figure concomitanti
fra loro, e equidistanti)
chi sia il perseguitato
e chi il persecutore
(Geometria, «a Ugo Reale»).
 
c) La dedica individua il tema dei versi. Così in Alla Foce, la sera | (Frammento su un ricordo d'infanzia), dove la seconda parte della dedica − «alla mia infanzia, | in memoria» − replica l'indicazione tematica del sottotitolo; e così anche nella Laudetta, dove il dativo «a Rina» dà un nome al soggetto (anche in senso grammaticale) dei verbi alla terza persona − «Ha fatto tutto da sola. // Ha costruito una casa / e l'ha confortata. \\ Giorno / per giorno. \\ Stanza / per stanza \\ Ha eretto / i figli. \\ Ha detto / la sola giusta parola, / e nessun'altra. \\ Insiste / nell'affermarla, senza / ripeterla...» −, prima di costituire l'antecedente del pronome dei versi conclusivi: «Per lei, / e solo grazie a lei, esiste / dunque uno spiraglio ancora / di qua d'ogni inerte speranza?...». Naturalmente, la funzione di annuncio tematico (per il quale si può ritornare a quanto detto sopra sui passaggi variantistici dal nominativo/vocativo al dativo) può convivere con l'atteggiamento apostrofico. In Cronistoria, «Metti il disco e ripeti», «a Marcella», ha costruzione simile a Laudetta, ma i verbi sono ora alla seconda persona: «Metti il disco e ripeti / della tua età i sospiri / nella stanza d'inverno. \\ Nei giri / di quelle note, dai vetri / un mare freddo t'insidia / senza toccarti − alla caccia / latrano i cani: una muta / nell'arazzo, e la piazza / con gli aranceti. \\ Al gennaio / porgi ancora innocente / la tua giovane faccia». Nei versi Per Franco Costabile, suicida la scelta specificata nel titolo trova riscontro nella chiusa dell'epigramma: «Si muore d'asfissia, / è noto, per difetto / d'ossigeno. Lo si può anche, / e forse più dolorosamente, / per mancanza d'affetto».58 Un caso particolare è dato da Il vetrone, dove è il tema del racconto − l'apparizione del padre morto nelle vesti di «un poveraccio» che chiede la carità − che conduce all'identificazione del destinatario della dedica «e a chi?» con il protagonista: una sorta (o così almeno mi pare si possa interpretare) di ça va sans dire. d) La dedica si giustifica sulla base della relazione tra il dedicatario e uno spunto tematico accessorio: il che fa del tipo in oggetto un sottotipo del precedente. Il legame si stabilisce perlopiù tra un luogo del testo e l'ambito dell'operosità del dedicatario: per cui rivela la propria funzionalità la qualificazione che può accompagnare il dativo. È dunque dedicata «a Ermando Nobilio | maestro ebanista» Finita l'opera, che inizia con i versi «Quello che è fatto, amici, / è fatto. Possiamo / riporre i ferri». La dedica «a Erasmo Valente, musicista» di All alone trova appoggio sui vv. 8-15 della prima parte, Didascalia: «Dal vicolo, all'oscillare / d'una lampada (bianca / ed in salita fino / a strappare il cantino / al cuore), ahi se suonava / il lungo corno il vento / (lungo come un casamento) / nell'andito buio e salino»; quella al compositore Goffredo Petrassi continua il titolo Tre improvvisi sul tema la mano e il volto. È dedicata «allo scultore | Mario Ceroli» Il mare come materiale, che con il destinatario dialoga fin dall'incipit: «Scolpire il mare... // Le sue musiche... \\ Lunghe, / le mobili sue cordigliere / crestate di neve... \\ Scolpire / − bluastre − le schegge / delle sue ire...», ecc.; e una trafila simile presenta In lode del «Singolo» ('sottile e leggera imbarcazione da regata, condotta da un solo vogatore' nella definizione del gdli), «all'amico livornese | Folco D., vecchio canottiere», poesia che altri tecnicismi sfoggia nei primi versi: «Sul campo di regata / (sull'acqua lionata) / è lui (il Singolo, / lo skiff: l'affilatissimo / ago alato) il signore / d'ogni outrigger. \\ Niente / che lo batta in prestezza / e leggerezza». Risponde ai modi dello scherzo conviviale il legame che stringe il nome della dedicataria Bianca d'Amore ai versi di Martina: «Tutto a Martina Franca è bianco. / Anche il rosso dei tetti. \\ Anche / − nella luce bianca − il sangue / del marratano stanco».59 Infine, è l'Apparato critico che si incarica di chiarire che Guardando un orto in Liguria, «per Albino e Giulietta Barbieri», «è dedicata a due amici di Rovegno, in Valtrebbia, proprietari dell'orto descritto».60 e) La dedica è implicata con la funzione allusiva attivata nel testo.61 È il caso della dedica di Determinazione «a Luigi Mercantini, | in debito di una rima», che affida il riconoscimento del testo alluso (La spigolatrice di Sapri, cui rinvia la rima forti : morti in chiusa) alla memoria scolastica del lettore.62 In qualche caso Caproni chiarisce l'allusione in nota. Per Il serpente, «a Giuseppe Leonelli», una delle Note a «Il Conte di Kevenhüller» spiega che il primo verso − «"Lo scatto d'una serratura"» − è «frase tratta da una recensione di Giuseppe Leonelli a Giorni Aperti, apparsa su "Paragone/Letteratura", n. 412, giugno 1984».63 Nelle stesse Note, per Di un luogo preciso, descritto per enumerazione, «a Giorgio Agamben», Caproni richiama il lettore al rapporto tra i versi finali − «Il luogo / è salvo dal fruscìo / della bestia in fuga, che sempre / − è detto − è nella parola» − e un luogo del filosofo: «La bestia in fuga, che ci pare di sentir frusciare via nelle parole, è − ci è stato detto − la nostra voce» (segue l'indicazione bibliografica e il ricordo delle vive parole dell'autore, ascoltato in una «lettura fiorentina»).64 A Eugenio Montale, in occasione del Nobel attacca riprendendo i due versi («Non partita di boxe / o di ramino», incipit di una poesia del Diario del '71 e '72) citati in epigrafe: «Ha vinto la partita. / Potrebbe, soddisfatto / lanciare il mazzo − alzare / il grido di vittoria», ecc. Per Aristofane, «a Benedetto Marzullo», soccorre l'Apparato critico. I versi dicono: «... e anch'io mi domandavo come, / in tanto sole nero, / ancora non si vedesse, / dal muro, nessun messaggero...»; e Zuliani trascrive dal dattiloscritto le note che rinviano a un passo da Gli uccelli nella traduzione del dedicatario.65 Per altre poesie dovrà intervenire il commento. Mi pare probabile che Batteva, «Omaggio a Dino Campana», «centrato sulla polivalenza del vocabolo, sul potere evocativo della ripetizione»,66 voglia alludere puntualmente a Batte botte.67 Quanto a Imitazione, «a Giaime Pintor, | rileggendo il suo Rilke», credo che la pagina che ha suscitato il nuovo testo sia quella che reca uno dei Sonetti a Orfeo (i.3):
  Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
all'incrociarsi di due vie del cuore.

Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?

Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire

nell'impeto d'amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è altro respiro.
È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.68
 
Di qui l'Imitazione:
  Fu un vento chiaro.
Illuminò, quasi, la stanza.
Ma chi quella parola disse
è lontano − e perduta
è la parola stessa
nella sua stessa distanza.
 
Torniamo così a quel tema dell'evanescenza del nome che trova la sua icona nella scrittura sul vetro appannato di una finestra. Caproni vi insiste negli abbozzi del sonetto «Il tuo nome che debole rossore» (Sonetti dell'anniversario, xvii):
  Sul vetro che ha appannato nell'inverno
il mio alito, con un dito scrivo il tuo nome
che mi lascia scorgere il sangue delle foglie
e le fumate infantili di foglie
secche: il dicembre.69
 
Quell'evanescenza è la realtà contro cui ostinatamente si batte, come antagonistica affermazione testimoniale, la volontà di nominazione che si esprime nell'impiego della dedica entro quest'opera mirabile. La mise en abîme che se ne ha nell'attacco di Scalo dei fiorentini potrebbe già bastare a chiarirne il significato profondo:
  Li ho visti tutti. Sedevano
(le gambe penzoloni)
sulla spalletta. C'era
Otello, il Decio, il Rosso,
l'Olandese. Il Vigevano.
C'erano altri... I nomi
li ha con sé il vento.70
 

R. Z.






Note

* L'edizione di riferimento è quella nei «Meridiani»: G. Caproni, L'opera in versi, edizione critica a cura di L. Zuliani, introduzione di P. V. Mengaldo, cronologia e bibliografia a cura di A. Dei, Milano, Mondadori, 1998, che citerò nella sigla OV. Per le raccolte qui riunite userò le sigle seguenti: CA = Come un'allegoria; BF = Ballo a Fontanigorda; F = Finzioni; C = Cronistoria; PE = Il passaggio d'Enea; SP = Il seme del piangere; CVC = Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee; MT = Il muro della terra; FC = Il franco cacciatore; CK = Il Conte di Kevenhüller; VC = Versicoli del controcaproni; EF = Erba francese; RA = Res amissa; PDI = Poesie disperse e inedite; e citerò nella sigla ACZ l'Apparato critico di Luca Zuliani. Trascrivo qui, una volta per tutte, i dati bibliografici delle prime edizioni dei volumi (in ordine cronologico), preceduti dalle relative sigle: CA36 = Come un'allegoria (1932-1935), prefazione di A. Capasso, Genova, Emiliano degli Orfini, 1936; BF38 = Ballo a Fontanigorda, ibid., 1938; F41 = Finzioni, Roma, Istituto Grafico Tiberino, 1941; C43 = Cronistoria, Firenze, Vallecchi, 1943; PE56 = Il passaggio d'Enea. Prime e nuove poesie raccolte, Firenze, Vallecchi, 1956; SP59 = Il seme del piangere, Milano, Garzanti, 1959; CVC65 = Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Milano, Garzanti, 1965; TL68 = Il "Terzo libro" e altre cose, Torino, Einaudi, 1968; MT75 = Il muro della terra, Milano, Garzanti, 1975; PG = Poesie, ibid., 1976; EF79 = Erba francese, Luxembourg, Origine, 1979; UB = L'ultimo borgo. Poesie (1932-1978), a cura di G. Raboni, Milano, Rizzoli, 1980; FC82 = Il franco cacciatore, Milano, Garzanti, 1982; CK86 = Il Conte di Kevenhüller, ibid., 1986; RA91 = Res amissa, a cura di G. Agamben, ibid., 1991. Altre avvertenze: citerò naturalmente i titoli in corsivo, ma volgerò le dediche − in corsivo nel testo − nel tondo tra virgolette basse; segno con «/» l'a-capo versale («//» per le strofe), con «\» la spezzatura del verso 'a gradino' («\\» quando vi sia anche spaziatura strofica), con «|» l'a-capo non versale (nella trascrizione delle dediche e di brani prosastici). Quanto alle parole in epigrafe, le ho incontrate in M. Corti, Ombre dal fondo, Torino, Einaudi, 1997, p. 11.torna su
1 R. Zucco, Dediche di Vittorio Sereni, in I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Basilea, 21-23 novembre 2002, a cura di M. A. Terzoli, Roma-Padova, Antenore, 2004, pp. 365-91, a p. 389. Il saggio è citato per una descrizione contrastiva della dedica anche da F. Magro, Titoli poetici, in Id., «Un ritmo per l'esistenza e per il verso». Metrica e stile nella poesia di Attilio Bertolucci, Padova, Esedra, 2005, pp. 233-66, alle pp. 236-40.torna su
2 Cfr. Zucco, Dediche di Vittorio Sereni cit., p. 374.torna su
3 G. Caproni, Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1983; Id., Poesie 1932-1986, ibid., 1989.torna su
4 «Rosa è il vero nome di Rina, mia moglie, nata in Val Trebbia, già dominio longobardo», si legge in un appunto trascritto nell'ACZ, p. 1539.torna su
5 Cfr. A. Dei, Cronologia, in OV, p. lxvi, e ACZ, pp. 1628-29.torna su
6 Cfr., per la vicenda testuale, ACZ, pp. 1686-92.torna su
7 Cfr. ACZ, p. 1694.torna su
8 Cfr. ACZ, p. 1656.torna su
9 OV, p. 529.torna su
10 Sono versi per i quali una dedica «avantestuale» (cfr. Zucco, Dediche di Vittorio Sereni cit., p. 380) è testimoniata da ACZ, pp. 1824-25, che cita una lettera a Betocchi del 14 luglio 1953 ora in G. Caproni − C. Betocchi, Una poesia indimenticabile. Lettere 1936-1986, a cura di D. Santero, prefazione di G. Ficara, Lucca, Pacini Fazzi, 2007, pp. 86-87. Per parte sua, Betocchi dedica a Caproni Per Pasqua: auguri a un poeta, seconda poesia nella sezione Dediche de L'estate di San Martino (cfr. C. Betocchi, Tutte le poesie, a cura di L. Stefani, prefazione di G. Raboni, Milano, Garzanti, 1996, pp. 200-1).torna su
11 Cfr. ACZ, p. 1567.torna su
12 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. Cederna (Seuils, Paris, Éditions du Seuil, 1987), Torino, Einaudi, 1989, p. 125.torna su
13 Il sottotitolo cade, naturalmente, quando la poesia viene accolta, a cominciare dall'antologia PG, nei Versi livornesi (cfr. ACZ, pp. 1346-47). Giovanni Scheiwiller, spiega Caproni in un nota al libro, è «l'editore che doveva in origine stampare Il seme del piangere» (OV, p. 235).torna su
14 Cfr. ACZ, pp. 1610-11. La dedica manca però nel dattiloscritto inviato a Betocchi con la lettera del 30 agosto 1978 (in Caproni − Betocchi, Una poesia indimenticabile cit., pp. 329-31).torna su
15 ACZ, pp. 1610-11.torna su
16 Le notizie riportate di seguito da ACZ, pp. 1055-58.torna su
17 Cfr. Genette, Soglie cit., p. 134.torna su
18 Apparato al quale eviterò di rinviare sistematicamente in nota, rimandando il lettore all'Indice dei titoli e dei capoversi dell'OV.torna su
19 Cfr. ACZ, pp. 1124-27.torna su
20 Cfr. ACZ, p. 1682.torna su
21 Proprio sul nome, tuttavia, i Sonetti ritornano con significativa insistenza: «O fu / anche il tuo nome una paglia in estate / strinata fra i papaveri» (i, vv. 10-12), «Basterà un soffio d'erba, un agitato / moto dell'aria serale, e il tuo nome / più non resisterà, già dissipato / col sospiro del giorno» (xii, vv. 1-4), «Ora un cavallo / selvatico, sull'erba fugge come / sopra la terra è fuggito il tuo nome» (xvi, vv. 12-14), «Il tuo nome che debole rossore / fu sulla terra!» (xvii, vv. 1-2), «Giunta all'ultimo carro, una canzone / umanamente chiusa assorda il sole / nel silenzio fluviale − accorda al nome / velato dalla brezza il tenue afrore / d'acqua che i prati scolora e depone / nel più tenero lutto» (xviii, vv. 2-7). Noto che la nominazione della fidanzata manca anche nelle facili forme anagrammatiche lago e gola: la seconda delle quali compare tuttavia sul manoscritto con il sonetto xiv («Un giorno, un giorno ancora avrò il tuo aspetto»), nell'abbozzo dei vv. 10-11 (cfr. ACZ, p. 1112).torna su
22 ACZ, p. 1114. Tale decisione ha conseguenze sulla retrodatazione del sonetto xvii («Il tuo nome che debole rossore») e (probabilmente) xvi («Era l'odore dell'aglio dai gigli») nella redazione definitiva: cfr. ACZ, pp. 1113-14. Sull'argomento Zuliani torna nel saggio Due inediti di Giorgio Caproni, in Stilistica, metrica e storia della lingua. Studi offerti dagli allievi a Pier Vincenzo Mengaldo, a cura di T. Matarrese, M. Praloran e P. Trovato, Padova, Antenore, 1997, pp. 387-99, a p. 396, dove si richiama l'attenzione sulla mancata ripresa in volume di «un sonetto dal titolo In memoria, apparso su rivista nel 1951, che significativamente iniziava "Perdonami se torno alla tua morte"» (lo si legge ora nelle Poesie disperse e inedite di OV, p. 956).torna su
23 Cfr., per il percorso variantistico che vado a descrivere, ACZ, p. 1080.torna su
24 ACZ, p. 1071.torna su
25 ACZ, p. 1098, con trascrizione delle due prose.torna su
26 Cfr. ACZ, pp. 1311 sgg.torna su
27 Ivi, p. 1319.torna su
28 La figura di Pierri è ricordata spesso, e sempre affettuosamente, nelle lettere di Caproni a Betocchi: cfr. Caproni − Betocchi, Una poesia indimenticabile cit., ad indicem.torna su
29 ACZ, p. 1064.torna su
30 Anna Marra - che ringrazio per il contributo - mi segnala che nel poscritto di una lettera a Giuseppe De Robertis del 18 ottobre 1956 (Firenze, Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux, Archivio Contemporaneo "Alessandro Bonsanti", Fondo Giuseppe De Robertis) Caproni, annunciando all'amico l'invio di Ballo a Fontanigorda (con, presumibilmente, Come un'allegoria e Cronistoria), fa cenno a un mutamento nel proprio giudizio sul Morali intervenuto dopo la pubblicazione della seconda plaquette: mutamento a cui forse si deve la caduta della dedica. Ed è possibile ipotizzare che la volontà di estromissione puntuale del nome di Mino Morali sia stata mascherata dall'omissione di tutte le dediche di BF38 (cfr., per un comportamento analogo, Zucco, Dediche di Vittorio Sereni cit., pp. 375-77).torna su
31 Cfr. ACZ, p. 1568.torna su
32 ACZ, pp. 1072-73. Zuliani continua rinviando ad A. Dei, Giorgio Caproni, Milano, Mursia, 1992, p. 16: «Se Olga è lo struggimento dell'oblio, del passato che continua a morire, la nuova figura di Rina, che si affaccia con chiare promesse di idillio, è garanzia di nascita, di futuro; le due immagini non si elidono, ma si legano, tendono a una sotterranea complementarità». Pur mancando attestazioni di un'originaria presenza del nome di Olga, siamo nei paraggi del caso di «eliminazione + addizione ulteriore» per cui cfr. Genette, Soglie cit., p. 126.torna su
33 Interessante, in proposito, un passo dalla lettera del 19 novembre 1957 con cui Caproni invia ad Antonio Seccareccia la presentazione per il suo Viaggio nel Sud (a stampa l'anno successivo: Padova, Amicucci): «Non voglio che nel tuo libro figurino poesie dedicate a me: sarebbe ridicolo con la mia presentazione. Quindi, via le dediche a Giorgio C. (Già, io le dediche le leverei tutte, meno quelle alla Mamma e ai Bambini etc.)». La lettera è riprodotta in Viaggio sotto la luna. Dieci anni di poesia e incisione, a cura di Evelina De Signoribus, scritti di R. Zucco, B. Ceci, [s.l.], Associazione Culturale La Luna, 2007, p. 273.torna su
34 Per le interessanti implicazioni variantistiche con il titolo cfr. ACZ, p. 1554.torna su
35 ACZ, p. 1680.torna su
36 Alla sorella della moglie Caproni dedica, a commento del titolo, una nota a FC che si legge ora a p. 530 dell'OV.torna su
37 Si veda, per la figura di Jean Bourillon, la testimonianza di Caproni riportata in ACZ, pp. 1662-63.torna su
38 Per il carattere amicale del rapporto con i diversi dedicatari cfr. ACZ (negli apparati ai singoli testi) e la Cronologia di Adele Dei in OV (passim).torna su
39 Cfr. Dei, Cronologia cit., pp. xlviii-xlix.torna su
40 Si veda, per l'occasione e la dedica di questa poesia, la nota di Caproni in chiusura del Conte di Kevenhüller (OV, p. 702).torna su
41 Zuliani (ACZ, p. 1794) precisa che la poesia «comparve, meno di un mese prima della morte dell'autore, su "Famiglia Cristiana" [nel numero del 27 dicembre 1989] in una serie intitolata Sei poeti per Natale, e fu scritta poco prima, se il curatore inizia la sua nota scrivendo "'Faccio ancora in tempo?', mi ha telefonato Caproni. 'Come sai io scrivo poesie brevissime ma questa mi viene lunga!'"».torna su
42 ACZ, p. 1654: «Come ricorda Silvana Caproni, la signora Bianca d'Amore era una poetessa dilettante, moglie del proprietario di un'enoteca che imbottigliò un vino in onore di Caproni». Lo stesso Apparato continua segnalando che un dattiloscritto «reca segnato "da mettere in | Versi di circostanza"».torna su
43 ACZ, p. 1767, cita la seguente annotazione su un dattiloscritto: «"La scrissi quando Antonio faceva le elementari e io gli davo ripetizioni"», e continua: «Caproni infatti preparò il figlio di Giacomo Debenedetti agli esami di ammissione alle medie: cfr. la Cronologia, anni 1946-1947» (segue una testimonianza dello stesso dedicatario).torna su
44 Inizia così la Nota al «Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee» (ora in OV, pp. 271-72): «Forse questo Congedo è ancora incompiuto, se il brusio che sento nella mente è quello non di un solo altro mézigue che, nelle brevi pause in cui m'è concesso di dare ascolto alle "voci" (ci son tante cose da fare, nel mondo), sta preparandosi per entrare in iscena. Può darsi che un giorno io trovi il tempo di portare il libro a compimento. Ma chi si fida della speranza? Per questo mi son deciso, intanto, a licenziarlo com'è».torna su
45 ACZ, pp. 1499-500. La lettera si legge anche in Caproni − Betocchi, Una poesia indimenticabile cit., pp. 210-11.torna su
46 ACZ, p. 1497.torna su
47 Ibid.torna su
48 Cfr. Genette, Soglie cit., pp. 130-31.torna su
49 Zucco, Dediche di Vittorio Sereni cit., p. 374.torna su
50 La dedica si fa carico, dunque, anche della funzione di indicazioni come sulla Erre e sulla lettera R che compaiono durante il processo elaborativo del titolo sul primo testimone dattiloscritto: cfr. ACZ, p. 1554.torna su
51 Genette, Soglie cit., p. 132. Cfr., per il diverso atteggiamento di Sereni, Zucco, Dediche di Vittorio Sereni cit., pp. 389-91.torna su
52 Con la quale è forse implicato un certo gusto, attestato soprattutto dalle redazioni superate delle poesie, per la dedica in latino: «Deo optimo maximo» (L'Idalgo), «parentibus» (Bibbia, variante superata), «fabro cuidam tignario» (Finita l'opera, variante superata), oltre al titolo Atque in perpetuum, frater....torna su
53 R. Scarpa, Tecniche reticenti nella poesia di Giorgio Caproni, in «Lingua e stile», xxxvi, 2001, pp. 189-202, alle pp. 196-97.torna su
54 Cfr. ACZ, p. 1098, a proposito dell'assetto di C43: «Tutte le poesie di C sono senza titolo, e non sono precedute neppure da marche seriali; alcune recano una dedica, che nella seconda parte [quella che riunisce le poesie già in CA36, BF38, F41] talvolta riprende il titolo che la poesia aveva in precedenza».torna su
55 P. V. Mengaldo, Titoli poetici novecenteschi, in Id., La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1989, pp. 3-26, a p. 5.torna su
56 Qualcosa di simile avviene in Su un'eco (stravolta) della Traviata, per la quale uno dei dattiloscritti mostra l'incertezza tra «per una R.» e «una R», risolta infine con l'imporsi della prima forma cfr. ACZ, p. 1554.torna su
57 Altre oscillazioni del dativo tra le sedi titolatoria ed epigrafica risolte a favore della prima si hanno in Alle mondine (BF; cfr. ACZ, p. 1078), nelle due 'cartoline' A Tullio e A Rosario (PE; cfr. ACZ, pp. 1275-78), in A Ferruccio Ulivi (SP; cfr. ACZ, pp. 1467-68). Esito opposto in Due appunti (SP; cfr. ACZ, pp. 1455-58) e in Palo (MT; cfr. ACZ, pp. 1566-67).torna su
58 Spiega ACZ, p. 1759: «Franco Costabile era un poeta calabrese, amico di Caproni fin dagli anni '50».torna su
59 Non sono in grado di dire, effettuata qualche ricerca, che cosa sia il marratano del verso finale.torna su
60 ACZ, p. 1768.torna su
61 Per il citazionismo caproniano cfr. A. Dei, I brindisi letterari di Caproni, in «Filologia e critica», xvi, 1991, pp. 444-58; Ead., Le parole degli altri: citazioni, proverbi, aforismi, in Per Giorgio Caproni, a cura di G. Devoto e S. Verdino, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1997, pp. 55-67; Ead., L'allusione rovesciata: note sulla citazione in poesia, in Il libro invisibile. Forme della citazione nel Novecento, Atti del convegno di studi, Firenze, 25-26 ottobre 2001, a cura di A. Dei e R. Guerricchio, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 105-21, alle pp. 108-9; S. Longhi, Il dire e disdire di Giorgio Caproni, in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, vol. iii, pp. 2177-92.torna su
62 Cfr. ACZ, p. 1582torna su
63 OV, p. 701. La nota continua: «Ho dedicato i pochi versi al Leonelli in segno di gratitudine per l'acutezza e novità del suo Appunto». Il riferimento è a G. Caproni, Giorni aperti. Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini orientali, Roma, Lettere d'oggi, 1942.torna su
64 OV, p. 702.torna su
65 ACZ, p. 1564. Trascrivo a mia volta la seconda (e più completa) delle note: «Aristofane. Vedi le commedie di Aristofane a cura di Benedetto Marzullo, pag. 390 (Laterza, 1968) ([nella commedia Gli] Uccelli). Pisitero (entrando): Il sacrificio, o uccelli, è riuscito. Ma com'è che dal muro non si vede nessun messaggero, ecc.».torna su
66 Dei, Giorgio Caproni cit., p. 164.torna su
67 Noto però (cfr. ACZ, p. 1546) che l'epigrafe manca nei due dattiloscritti e nella pubblicazione in rivista, e compare dunque solo in MT75.torna su
68 R. M. Rilke, Poesie, tradotte da G. Pintor, con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl, prefazione di F. Fortini, Torino, Einaudi, 2000 (1a ed. 1955), p. 41.torna su
69 ACZ, pp. 1113-21 (ho trascritto, da p. 1117, i versi del manoscritto che Zuliani sigla Ms11). Si veda anche l'intervista a Caproni in F. Camon, Il mestiere di poeta, Milano, Lerici, 1965, pp. 125-36, a p. 128. All'intervistatore che suggerisce l'origine della sua poesia nella figura della madre («forse la donna più amata nella sua vita, e che più ha influito nel suo destino») Caproni risponde con un'affermazione forse estensibile dalla fase giovanile (cui strettamente si riferisce) all'esperienza della scrittura in versi nel suo complesso: «All'origine dei miei versi, più che una donna, direi che c'è la giovinezza e il gusto quasi fisico della vita, ombreggiato da un vivo senso della labilità delle cose, della loro fuggevolezza: coup de cloche, come dicono i francesi, o continuo avvertimento della presenza, in tutto, della morte».torna su
70 Mi piace trascrivere qui l'altro memorabile elenco di nomi, quello ai vv. 19 sgg. di Eppure... (SP): «C'erano Genì e Guglielmina, / Maria la Coscera, Chitì; / Ada con lo zio Arduino / e, con lo zio Alceste, il Ciucci; / c'era Decio, il Guarducci, / Mentana con l'Angiolino / (quello della Fiaschetteria / Toscana, al Cavalcavia), / e c'erano Pilade e Italia, / Fedora con la Zicarola: / tutti per lei dal Pallone / (da Sant'Jacopo, dal Casone, / dal Gigante e − anche! − / da Torre del Boccale) / venuti a Sant'Andrea a portare, / coi fiori, quell'animazione».torna su