1, 2007
 
Saggi    
 
Abstract


Guido Pedrojetta

Dai margini al centro: la poetica barocca
(ancora sulla Fischiata XXXIII di Giovan Battista Marino)


Il senso primo dell'argomento evocato nelle righe che seguono è insito nel titolo stesso che la presente rivista ha voluto darsi: esso trae infatti pertinenza dalla necessità di spostare da un lato della cornice al centro del quadro il dibattito nutrito indiziariamente dalla citazione di un celebre verso di Giovan Battista Marino («È del poeta il fin la meraviglia»), entro cui si è voluto veder compendiato il credo estetico dell'autore, se non anche concentrate le idealità di ogni poetica barocca. Diciamo subito che "margine" e "cornice" andranno qui intesi, in primo luogo, fisicamente, poiché i materiali che sostanziano quella formula famosa provengono proprio da un paratesto che accompagna un'opera presa a dileggio dal Marino. Per collocare la questione entro il contesto che le pertiene, sarà bene evocare innanzitutto i dati oggettivi essenziali di questo singolare paragrafo di storia letteraria, che ha avuto e continua ad avere strascichi importanti, anche ai nostri giorni.1 Nel 1608, Gaspare Murtola stampa a Venezia, presso Deuchino e Pulciani, La creazione del mondo, lunghissimo poema sacro in sedici canti e sette giorni, che illustra le meraviglie della natura ispirandosi, oltre che al Mondo creato del Tasso, alla famosa Sepmaine del francese Joachim Du Bartas. L'edizione è preceduta da una lettera dedicatoria di importanza capitale (ai nostri fini), su cui torneremo subito. Lo stesso anno, il Marino reagì alle goffaggini contenute nell'opera del Murtola - e forse anche ad alcune allusioni pungenti alla sua persona2 - con una serie di ottantun sonetti ferocemente sarcastici, intitolati La Murtoleide: fischiate, a cui l'interessato si affrettò a controbattere con altri caustici versi (riuniti sotto il titolo non meno polemico di La Marineide: risate che, dal 1619, andò a stampa sempre unita alla Murtoleide), prima di passare a più forti maniere: il 1 febbraio 1609, esasperato per essere stato nel frattempo allontanato dal servizio del duca, il Murtola sparò verso il Marino un'archibugiata che se non colse il bersaglio, colpì l'amico di lui, Ettore Braida, tanto da costringere l'attentatore a riparare precipitosamente nello Stato della Chiesa, per sottrarsi alla forca o alla galera. Nelle sue "fischiate" il Marino satirizza, ironizza, vitupera l'avversario, con abile spiegamento di mezzi dall'effetto quasi sempre devastante: come ogni polemista consumato, egli preleva dal testo dell'avversario temi, motivi isolati, interi versi, per piegarli a un senso ridicolo o grottesco, evidentemente diverso e non di rado contrario a quello perseguito dall'autore. Ciò vale anche per il sonetto recante la famosa 'dichiarazione di poetica', che è costruito mediante la rielaborazione della lettera dedicatoria della Creazione del mondo, nella quale si dichiara tra altro (corsivi nostri): E perché‚ in questo particolare sò, che alcuni gli hanno avuto a dire che non averiano posto nella creazione né cavoli, né bietole, né cipolle né agli, né rape, come nel canto delle erbe, e nel canto de' serpenti le zanzare, gli scorpioni le tarantole gli aragni i vermi e altre cose simili, le quali par più tosto che avviliscono la scrittura che altramente fo intender loro che questo è stato il suo fine, e che pretende da queste far nascer la meraviglia maggiore e dinotar maggiormente la Provvidenza di Dio. Fine e meraviglia, parole-cardine del verso eletto ad etichetta dell'estetica barocca, provengono dunque dai margini del libro del Murtola: è un'origine significativa, e per la posizione, e per la natura del testo d'origine, il cui senso primo non può dunque essere ascritto all'autore dell'Adone. Anche la menzione di vegetali e animali trova un riscontro puntuale entro il poema del Murtola, compresi i cavoli e carciofi sui quali Marino non esiterà a fischiare: «Da la terra spuntar tenero fuore / fu lo spinace oscuro indi veduto. / Di perle accolse il rugiadoso umore / fra le sue crespe il cavolo fronzuto. / Altri torzo divenne et altri fiore / altri ebbe il torzo rigido e gambuto, / altri picciolo e vago, altri ritondo / inviluppato di sue foglie un mondo» (Creazione, c. III, g. III, o. 22, p. 229); «Con la sua punta tenera odorata / lo sparace si vide altero alzarsi, / polpa nel torzo aver più delicata / e di rigide spine il cardo armarsi, / di chioma più profonda e più puntuta / il barbuto carciofo incoronarsi, / con teste grosse avanti e pie' sottili / cader da i muri i cappari gentili» (c. VIII, g. III, o. 29, p. 231).3 Manco a dirlo, nella Creazione del mondo le occorrenze di meraviglia dilagano sin dagli "argomenti" posti in capo ai canti: Del fulmine sue meraviglie (c. II); I laghi e lor maraviglie (c. III); Cesi e maraviglie delli condotti di vento (c. V); Lo cristallo e maraviglia degli specchi (c. VI); Il lino e sue meraviglie (c. VIII); La pupilla e sue meraviglie (c. XIV). In un caso, l'esigenza di variatio porta ad adottare la forma sinonima stupore (c. X: La torpedine e suo stupore), che il Marino declinerà nel detto aforistico chi non sa far stupir vada alla striglia. Si dà pure combinazione ravvicinata di meraviglia con stupore (come puntualmente nel Marino), in almeno un passo della Creazione: «Meraviglia signor ben era e tale / da far l'uomo stupir, e la natura / aver creato a ciaschedun mortale / veneno, il suo rimedio e la sua cura.... / Ma meraviglia bene assai maggiore...» (c. XIII, g. V, oo. 45-46, pp. 420-21). La fisionomia sentenziosa della formula mariniana spinge a indagare anche in direzione metrica, per vedere se il Murtola abbia potuto offrire, o meno, le parole-rima legate a meraviglia : ciglia e striglia. Diciamo subito che, lungo il poema, il lemma è sempre e soltanto in rima con vermiglia; in almeno tre casi, tuttavia (uno tutto al plurale), anche con ciglia, parola puntualmente ripresa dal Marino: meraviglie : ciglie : vermiglie (g. II, c. II, o. 83); vermiglia : meraviglia : ciglia (g. III, c. IV, o. 32); vermiglia : ciglia : meraviglia (g. V, c. VI, o. 2); meraviglia : ciglia : vermiglia (g. VI, c. XV, o. 51). Manca invece striglia. Si noti ancora (del resto, sarebbe strano se così non fosse) che le combinazioni meraviglia : ciglia sono frequenti in Dante (4 casi su 14: 9) e Petrarca (3 casi su 4: 4).4 Stupore e inarcar le ciglia, correlati, provengono invece da un gioco intrecciato con Ariosto, come si sa dalla fischiata xxxviii: «quando il tuo libro in man Murtola io piglio / e in leggerlo mi spolpo, e mi disosso / bisogna, ch'io stupisco, e far non posso / ch'el cul non stringa, e non inarch'il ciglio», per cui si veda Ariosto, OF X 4 7-8: «Io vi vo' dire, e far di maraviglia / Stringer le labra et inarcar le ciglia». Ecco ora il testo mariniano nella sua integralità:
  Vuo' dar una mentita per la gola
a qualunque uom ardisca d'affermare
che il Murtola non sa ben poetare,
e ch'ha bisogno di tornar a scuola.
 
  E mi viene una stizza mariola
quando sento ch'alcun lo vuol biasmare;
perché‚ nessuno fa meravigliare
come fa egli in ogni sua parola.
 
  È del poeta il fin la meraviglia
(parlo de l'eccellente, non del goffo):
chi non sa far stupir, vada a la striglia.
 
  Io mai non leggo il cavolo e 'l carcioffo,
che non inarchi per stupor le ciglia,
com'esser possa un uom tanto gaglioffo.
 
Il contesto, pur fortissimamante polemico, non bastò mai a mettere in guardia tutti i lettori, neppure quelli di professione, tanto che in uno dei suoi primi interventi innovatori sul barocco letterario (1954), padre Pozzi si decise a castigarne risolutamente le intemperanze, con una delle sue formule lapidarie: «è certo che la promozione ad emblema dei due famosi versi del Marino appare un sopruso a chiunque li legga nel contesto».5 Ed è vero che una volta ricondotte al loro quadro genetico, le parole del poeta possono leggersi soltanto come un velenoso travestimento della frase dello stampatore (questo è stato il suo fine), puntualmente applicata alle prodezze poetiche del Murtola. Volendo esplicitarne il senso primo dell'aforisma contestualizzato, si dovrebbe perciò ottenere: "il fine del poeta eccellente è tutt'altro che la meraviglia; chi sa soltanto far stupire (con questo tipo di prodigi) è un poeta da strapazzo". Tanto avrebbe dovuto evitare una cieca generalizzazione del verso alla definizione della poetica del Marino, o dell'intero Seicento, quasi si trattasse davvero di formula esegetica onnicomprensiva. Scrive Giorgio Fulco: «quel verso: "È del poeta il fin la meraviglia" [...] è stato a lungo fonte di equivoci», postillando fiducioso «ormai finalmente archiviati».6 Ma l'equivoco dura e imperversa, se è vero che entro l'incontrollabile bacino di internet, a cui si abbeverano sempre più abbondantemente le generazioni giovani, le etichette di "Marino poeta della meraviglia" e "Barocco come estetica fondata sullo straniamento stupefacente" non si contano. Neanche la più recente puntualizzazione di Marziano Guglielminetti, contro coloro che continuano a scambiare il famoso verso della Murtoleide «per un principio estetico assoluto e sottraendolo quindi a una polemica contingente contro un poetastro genovese»7 è bastata a far piazza pulita del pregiudizio. Speriamo che ora, grazie anche alla circolazione di «Margini» nelle cosiddette autostrade dell'informazione, il malinteso possa davvero cessare per sempre.
Tuttavia, le "meraviglie barocche" sono troppo note e troppo evidenti (si pensi alle varie raccolte di mirabilia, così intitolate) per essere evacuate dagli scacchieri della storia e della critica, mediante una semplice mossa di esplicitazione di intenti burleschi. Oltretutto, invece di parlare genericamente di meraviglia e di stupore, occorrerebbe tener sempre presente che vi sono almeno due tipi di prodigi: verbali e fattuali; e che le meraviglie evocate nella Creazione del mondo, costituite per lo più da fenomeni naturali mirabili o mirabolanti, degni delle Wunderkammern dell'epoca, coincidono quasi sempre e soltanto con i secondi, mentre il nodo critico sta piuttosto nel gran teatro delle 'meraviglie verbali', animato da poeti e prosatori di calibro ben superiore a quello del Murtola. È un discorso molto spinoso e complesso nel quale, tuttavia, la celebre insofferenza di Manzoni per le metafore del proprio Anonimo continua ad apparire come una moderna e risolutiva meditazione sulla retorica dello straniamento: com'è dozzinale! Com'è sguaiato! Com'è scorretto!... e poi, ch'è peggio, ne' luoghi più terribili o più pietosi della storia, a ogni occasione d'eccitar maraviglia, o di far pensare, a tutti que' passi insomma che richiedono bensì un po' di retorica, ma retorica discreta, fine, di buon gusto, costui non manca mai di metterci di quella sua così fatta del premio. E allora, accozzando con un'abilità mirabile, le qualità più opposte, trova la maniera di riuscir rozzo insieme e affettato, nella stessa pagina, nello steso periodo, nello stesso vocabolo. Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese.8 Sulla scorta della nuova edizione critica del primo getto del romanzo, oggi sappiamo anche che questa dettagliata descrizione dello stile secentesco è il risultato di una distillazione laboriosissima: nella seconda stesura dell'Introduzione, Manzoni ha lungamente cesellato attorno alla "meraviglia", come testimonia la complessità degli interventi sulla pagina, tale da richiedere agli editori una trascrizione franta su vari paragrafi. Basterà selezionare qui i passi decisivi (in parentesi le varianti alternative), relativi al carattere che «nella seconda metà del secolo decimo settimo [...] dominava in tutta la letteratura italiana»: un "carattere" (o "maniera") che ha conservato una celebrità infame (o "turpe") sotto il nome di secentismo e il cui «carattere più generale era, se non m'inganno una ricerca continua del meraviglioso», con conseguente «affettazione di sagacità raffinata» e «una esagerazione impetuosa d'idee, di sentimenti e d'immagini».9 Il Manzoni, insomma, individua il tratto distintivo del barocco nella meraviglia dei tropi, anticipando quella che oltre un secolo dopo diventerà la più radicale e condensata definizione di barocco che mai sia stata espressa da un critico letterario: «macchine ritmico-sintattiche dell'illusionismo verbale, prescindenti in tutto dalla verità (o almeno da una verità che non sia quella formale)».10 Per Contini dunque, e a scanso di equivoci, la "meraviglia" è sostituita dall'"illusionismo verbale" in quanto distintivo del barocco più spettacolare. Se per esempio si prende a campione una delle immagini meglio rappresentative del secentismo, la novità della proposta apparirà subito in tutta la sua evidenza: «Sudate, o fochi, a preparar metalli» è il verso famoso dell'Achillini, citato anche da Manzoni. Il paradosso prodotto da una prima lettura si scioglie rapidamente nell'immagine metonimica che non presenta altra meraviglia, se non quella data dal suo proprio sfruttamento: i fuochi non sudano, ma fanno sudare, tanto che il supposto prodigio si esaurisce entro questo semplice scambio delle parti. In altro passo ugualmente e meritatamente famoso, invece, lo stupore è esibito e poi ribadito nei termini «stupefatto il fattor di sua fattura»: è il notissimo sonetto della Maddalena che asciuga i piedi a Cristo piangendo le lacrime del pentimento «ché il crin s'è un Tago e son duo soli i lumi / prodigio tal non rimirò natura: / bagnar coi soli e rasciugar coi fiumi». Maddalena bellissima ha effettivamente occhi solari e capelli fluenti, il che basta a produrre un paradosso di fronte al quale, anche lettori scaltriti come Umberto Eco si fermano a denunciare uno sfruttamento retorico delle risorse linguistiche, volte a costruire vacui paralogismi: Sapere di Maddalena che i suoi occhi sono soli e i suoi capelli fiumi, non ci aiuta affatto a comprendere meglio la personalità di questa donna, così che l'artificio espressivo che ci ha indotto a scoprire relazioni metaforiche a livello semantico, ci appare sprecato, ingannevole… L'effetto poetico viene riconosciuto come nullo perché in quel caso la poesia pare non servire a nulla.11 Certo, una lettura razionalizzante sul tipo di quella proposta da Eco non potrà mai dare conto di prodotti siffatti, fondati su verità verbali (o formali, come dice Contini). Del resto, attenendosi al criterio dell'artificio eccessivo, il giudizio su versi del genere non potrebbe essere che negativo. Invece, riflettendo che in un secolo di grandi incertezze (la stessa collocazione del sole e della terra) ci si potesse volgere alla verità delle parole, piuttosto che a quella delle cose, potrebbe farci ricredere proprio sul senso ingannevole di questa poesia: se la verità verbale si fosse davvero offerta alle menti dell'epoca come unica verità sicura, a cui appigliarsi, allora, anche l'esibizione dei barocchismi più giocosi potrebbe assumere una ben più pregnante valenza conoscitiva.12
La "meraviglia" occupa un posto centrale anche in alcune tra le più memorabili poesie del nostro Novecento, dopo che l'arte in quanto generatrice di stupore era stata teorizzata dai futuristi, come un caposaldo della loro estetica nuova: il cavalier Marino, il quale, come tutti i Barocchi, fu un creatore di forme nuove, un pioniere della modernità - e questo sia detto contro gli incompetenti che in quella scuola vedono una decadenza anziché una coraggiosa e feconda rinascita - il Cavalier Marino scrisse quel verso che per noi acquista oggi il valore di verità fondamentale: È del poeta il fin la meraviglia.13 A tali idealità si collega saldamente, per esempio (1916) la "limpida meraviglia" di Ungaretti, tanto decisiva per la comprensione del suo modo di poetare:14 «Gentile / Ettore Serra / poesia / è il mondo l'umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / [è] la limpida meraviglia / di un delirante fermento / Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso».15 Il testo, appeso al titolo Commiato, era originariamente (e ancor più significativamente) intitolato Poesia.16 Il nodo semantico decisivo è rappresentato dalle giunzioni "limpida meraviglia", a contatto di "delirante fermento", che, secondo la glossa di Montale viene a costituire un "ossimoro permanente", tra delirio della ragione e fermento dei sensi.17 Per Carlo Ossola, la nuova "meraviglia", quella del Porto sepolto, sta nella trasparenza del suo dettato, della sua lingua "cristallina eco", "dove il mondo / si specchia", sempre, in cerca di origini.18 In quegli stessi mesi, Montale intraprenderà il proprio cammino poetico con la "triste meraviglia" di Meriggiare (1916), «E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia»,19 dove il dato rilevantissimo è costituito dal rovesciamento di valenza, indotto dall'aggettivo triste e dal cotesto negativo (cocci aguzzi di bottiglia); ma, soprattutto, dall'inedita rima meraviglia : bottiglia (implicata con le circostanti abbaglia, travaglio, muraglia).20 E la parola meraviglia, tanto suggestiva, non cesserà di sollecitarlo: si veda ancora Fine dell'infanzia (1924), vv. 45-50: «Uno ne penso ancora con meraviglia / dove ogni umano impulso / appare seppellito / in aura millenaria. / Rara diroccia qualche bava d'aria / sino a quell'orlo di mondo che ne strabilia».21 Né si dimentichi che la Bufera si apre pure sotto il segno della meraviglia, con la citazione inquietante di Agrippa d'Aubigné: «Les princes n'ont point d'yeux pour voir ces grand's merveilles / Leurs mains ne servent plus qu'à nous persécuter» (A dieu). Più tardi, un solitario come Rebora riuscirà ancora a cavare nuove armoniche dai versi mariniani (più precisamente dalle parole rima), lavorandoli in senso metaforico e mantenendo però la negatività montaliana, concentrata nell'aggettivo: «Ma in oscura meraviglia / fra un terror di profezia / tu, per la tenebra nuda / della cruda grondante tua striglia / rodi chi visse di baratto e scoria».22 Per finire, Alda Merini ridà nuova linfa al circuito semantico-rimico: «Dimmi almeno che oscura meraviglia / già ti prende di me, che trovi bella / questa sommessa ed umile giunchiglia»; e anche: «ho conosciuto in te le meraviglie / meraviglie d'amore sì scoperte / che parevano a me delle conchiglie» (p. 25).23 «Oscura meraviglia» riprende Rebora alla lettera, ma la giunzione meraviglie : conchiglie (come meraviglia : giunchiglia) dà nuova e sostanziosa risonanza al discorso d'amore. Così, e per fortuna, la "meraviglia" continua a parlarci riccamente per bocca dei poeti più attenti, prima che dei critici, presi a volte nel vortice di un'insostenibile leggerezza di lettura.

G. P.





Note

1 Proprio per questo, non ci sembra inutile riprendere l'argomento, a cui avevamo dedicato attenzione in anni già lontani cfr. G. Pedrojetta, Marino e la meraviglia, in Interpretazione e meraviglia, XIV Colloquio sulla interpretazione, a cura di G. Galli, Pisa, Giardini, 1994, pp. 95-105.torna su
2 C. X g. V: «il vecchio Marino addormentato»; e soprattutto, o. 24: «l'empio caval Marino».torna su
3 Su queste due verdure esiste un'altra divertente fischiata mariniana, Le erbette del Murtola (Fischiata XXXVI): «Onor de l'insalata inclite, erbette / rose, borace, cavoli fronzuti, / lupin, popponi, baccelli gusciuti, / finocchi forti / ed acetose agrette, // rustiche e grosse rape, alme zucchette, / porri ritorti, carcioffi barbuti, / agli spicchiuti, torti e ben gambuti, / e carotte vermiglie e ritondette, // tartuffi incitativi e signorili, / radici lunghe, bianche e tenerelle, / spinacci oscuri e cappari gentili, // melon a volta, malve e mercorelle, / ceci, baccelli, e voi cicerchie umìli,/ e tremule e crinite pimpinelle, // voi, saporite e belle, / mente, scalogne, cipolle scorzute, / voi crespe indivie e lattughe costute // e voi zucche panciute / tessete voi la laurea trionfale / onde si faccia il Murtola immortale».torna su
4 Verifica agevolmente condotta su concordanze dotate anche di rimario: cfr. Concordanza della 'Commedia' di Dante Alighieri, a cura di L. Lovera, R. Bettarini, A. Mazzarillo, Torino Einaudi, 1975; Concordanza delle 'Rime' di Francesco Petrarca, compilata da K. Mc Kenzie, Oxford, Nella Stamperia dell'Università, 1912. Un'interessante rete di rinvii attorno a ciglia, maraviglia, famiglia, vermiglia, tra Dante, Monti e Manzoni, è ricostruita da Franco Gavazzeni in una delle sue mirabili note alle poesie giovanili del Manzoni: cfr. Del trionfo della libertà, in A. Manzoni, Poesie prima della conversione, a cura di F. Gavazzeni, Torino, Einaudi, 1992, p. 32.torna su
5 P. Giovanni da Locarno, Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento esemplificata sul p. Emanuele Orchi, Roma 1954; con «i due versi» padre Pozzi intende «è del poeta il fin la meraviglia / e chi non sa far stupir vada alla striglia», che incorniciano la prima terzina del sonetto. A conclusioni simili giunge, diversi anni dopo, A. Franceschetti, Il concetto di meraviglia nelle poetiche della prima Arcadia, in «Lettere italiane», xxi, 1969, pp. 62-88.torna su
6 Cfr. G. Fulco, Giovan Battista Marino, Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. v, La fine del Cinquecento e il Seicento, pp. 597-652 (la cit. a p. 616); vedi anche, nello stesso volume, il capitolo successivo di G. Jori, Poesia lirica marinista e antimarinista tra Classicismo e Barocco, p. 657.torna su
7 M. Guglielminetti, Marino e i marinisti in Storia generale della letteratura italiana, diretta da N. Borsellino e W. Pedullà, vol. vi, Il secolo barocco. Arte e scienza nel Seicento, Milano, Motta, 1999, p. 127.torna su
8 A. Manzoni, Tutte le opere, a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1954, vol. ii, t. i, I promessi sposi. Testo critico dell'edizione definitiva del 1840, p. 4.torna su
9 Cfr. la recente edizione A. Manzoni, I promessi sposi, Edizione critica diretta da D. Isella, vol. i, Prima minuta (1821-23). Fermo e Lucia, t. ii a cura di B. Colli, P. Italia e G. Raboni, Milano, Casa del Manzoni, 2006, pp. 15-16. In precedenza (primissimo getto) Manzoni aveva parlato di «carattere generale d'arguzia e d'iperbole che dominava in tutta la letteratura italiana, e che consisteva in uno sforzo per trovare il meraviglioso» (p. 14); con effetti di «affettazione di finezza pensata» e di «esagerazione impetuosa» (p. 14).torna su
10 G. Contini, Longhi prosatore, in Id., Altri esercizî (1941-1971), Torino, Einaudi, 19782 (il saggio è del 1955; la 1a ed. del 1972), p. 121.torna su
11 U. Eco, Le forme del contenuto, Milano, Bompiani 19722 (1a ed. 1971), p. 116.torna su
12 Anche su questo aspetto, il magistero di padre Pozzi non ha mai cessato di insistere: mi è grato ricordarlo con l'animo riconoscente del discepolo che ha avuto la fortuna di cominciare a seguire i suoi corsi, proprio negli anni in cui si stava concludendo la fatica del commento all'Adone.torna su
13 Cfr. A. Soffici, L'arte come generatrice del meraviglioso: è uno dei Primi principi di una estetica futurista (1920), in Id., Opere, vol. i, 1959, pp. 696-97.torna su
14 Cfr. Metrica e meraviglia, di Carlo Ossola, in G. Ungaretti, Il porto sepolto, a cura di C. Ossola, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 23-27, in cui si parla della «nuova meraviglia» del Porto sepolto.torna su
15 Si cita da G. Ungaretti, L'allegria, Edizione critica a cura di C. Maggi Romano, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1982, pp. 164-65.torna su
16 Una diversa versione di Poesia (cioè un testo con quel titolo, contenente una dichiarazione di poetica) è stata fatta conoscere da Cristina Maggi Romano e Maria Antonietta Terzoli in G. Ungaretti, Poesie e prose liriche, a cura di C. M. Romano e M. A. Terzoli, Introduzione di D. De Robertis, Milano, Mondadori, 1989, p. 58: «Nello sforzo / volubile / di un sogno / si concentra / e tenta / di liberarsi / un poco / la mia / umanità // La frivola immortale / vicenda / d' un attimo / di mondo / coincisa / nella mia vita / di randagio // E ne nasce / la parola / illuminata / che si chiama / poesia».torna su
17 Cfr. Ungaretti, Il porto sepolto cit., p. 242.torna su
18 C. Ossola, Introduzione, in Ungaretti, Il porto sepolto cit., p. 27.torna su
19 E. Montale, L'opera in versi, Edizione critica a cura di R. Bettarini e G. Contini, Torino, Einaudi, 1980, p. 28.torna su
20 Siamo lontani dagli automatismi meraviglia : ciglia che ancora avevano nutrito i versi del melodramma. Cfr. G. Verdi, Un giorno di regno [su libretto di Felice Romani], I, ii: «Sire, a voi siamo intorno / Pieni di meraviglia: / In quell'auguste ciglia / L'anima bella appar».torna su
21 Ivi, p. 66.torna su
22 Da C. Rebora, Frammenti lirici (1913), lxix: O pioggia feroce che lavi ai selciati. La metafora della grondante striglia è motivata per l'appunto dal tema della pioggia. Cfr. C. Rebora, Le poesie (1913-1957), a cura di G. Mussini e V. Scheiwiller, Milano, Garzanti, 1988, p. 116. Per questo e per gli altri rinvii, si è rivelato di utilità determinante il Vocabolario della poesia italiana del Novecento. Le concordanze delle poesie di Govoni, Corazzini, Gozzano, Moretti, Palazzeschi, Sbarbaro, Rebora, Ungaretti, Campana, Cardarelli, Saba, Montale, Pavese, Quasimodo, Pasolini, Turoldo, di G. Savoca, Bologna, Zanichelli, 1995.torna su
23 A. Merini, Folle, folle, folle di amore per te. Poesie per giovani innamorati, a cura di D. Gamba, Milano, Salani, 20052 (1a ed. 2002), p. 27.torna su