13, 2019
 
Saggi    
 
Abstract

Muriel M. S. Barbero

Vittoria Colonna ‘dedicata’:
sulle dediche delle Rime di Vittoria Colonna tra XVI e XIX secolo



1. Introduzione
Un discorso su Vittoria Colonna e le dediche può seguire tre diversi percorsi tra loro intimamente connessi: il primo, che verte sulle dediche di Vittoria Colonna, si rivela ben presto privo di sbocchi, non essendo giunto a noi alcun testo di dedica di mano della poetessa, né a stampa né manoscritto. Il secondo, che porta all’analisi delle dedicatorie a lei indirizzate, è stato esplorato nei contributi di Concetta Ranieri e Mirella Scala1 e, sebbene possa meritare ulteriori approfondimenti, non rappresenta il centro di interesse di questo intervento. Qui mi concentrerò piuttosto su un terzo possibile approccio, fornendo un’analisi delle lettere dedicatorie poste in apertura di opere della Colonna da altri autori, che si appropriano così dell’immagine e del successo della poetessa, sfruttandolo per i propri fini.
Le Rime di Vittoria Colonna ebbero da subito una complessa e ricca vicenda editoriale che, come è noto, fu totalmente (o quasi) estranea alla loro autrice. Durante tutta la sua vita, infatti, la poetessa esibì un ostentato disinteresse nei confronti delle molteplici, più o meno corrette e autorizzate edizioni che si susseguirono a partire dalla princeps del 1538, lasciando di fatto la propria produzione letteraria in balìa del mercato librario. Data l’avversione elitaria della poetessa per il mezzo di diffusione massiva della stampa,2 e la sua reticenza a occuparsi di «vane cose» − come comunicò a Bembo dopo la pubblicazione illecita della princeps3 e quindi ad assumere pubblicamente il ruolo di auctor, non sorprende constatare la totale assenza di lettere dedicatorie a suo carico. La Colonna, del resto, non poteva essere più estranea alla logica di mercato che il ricorso alla prassi dedicatoria comunemente sottendeva. In quanto nobile e influente personalità di spicco del mondo politico e culturale contemporaneo, era infatti molto più atta a occupare il ruolo di dedicataria − come di fatto fece, ricevendo e accettando dediche di opere di vario genere e argomento −4 che non quello di dedicante. Anche se il progetto di un’edizione delle Rime rivista e approvata dall’autrice, fortemente caldeggiato da Pietro Bembo e Carlo Gualteruzzi nel 1538,5 fosse andato a buon fine, dunque, è più che probabile che anche quest’edizione sarebbe uscita priva del patrocinio di un potente dedicatario, e che, qualora la Colonna avesse deciso di consacrare a qualcuno la sua opera, avrebbe piuttosto optato per una dedica amicale o religiosa, estranea dunque ai meccanismi venali del sistema dedicatorio.6 Tutt’altra sorte toccò però alla sua opera, che venne invece pubblicata spesso e volentieri sotto il patrocinio di grandi personalità, permettendo agli editori e ai curatori che ne firmavano la dedica di sfruttare il vasto consenso e seguito di cui godeva la poetessa per ottenere favori e remunerazioni, protezione e fama. Nel seguito di questo articolo si procederà a un’analisi diacronica delle dedicatorie presenti nelle varie edizioni delle Rime, prendendo in considerazione, oltre a quelle cinquecentesche, anche due esempi seicenteschi e uno ottocentesco, con lo scopo di mettere in evidenza il ripetersi e l’evolversi delle modalità di presentazione e promozione dell’immagine e dell’opera della poetessa, e di trarre alcune conclusioni sulla complessa costellazione che in queste si viene a creare tra dedicante, autore e dedicatario.7
2. Le prime edizioni cinquecentesche: Pirogallo e Zoppino
La lunga storia di appropriazioni indebite del diritto di dedica che ha coinvolto le Rime di Vittoria Colonna comincia già con l’editio princeps, pubblicata come già detto senza il consenso dell’autrice a Parma nel 1538. Qui, dopo un frontespizio essenziale e disadorno (Fig. 1), è infatti presente una dedica intitolata «AL DOTTISSIMO MESSER / Alessandro Vercelli Philippo / Pirogallo». Curiosamente l’autore dell’epistola, il poco noto accademico milanese Filippo Pirogallo,8 non fa mistero dell’usurpazione rappresentata dall’edizione oggetto della dedica, ma ne fa anzi quasi il leitmotiv del testo, dichiarando apertamente la contrarietà dell’autrice prima, e sottolineando poi la scorrettezza e l’inaffidabilità dei componimenti presentati, tutt’altro che di prima mano:
ho preso ardire di mettegli in istampa, anchora che contradicessi al voler d’una si gran Signora; stimando meno errore dispiacere a una sola Donna (benche rara, e grande) che a tanti huomini desiderosi di cio. Pero V. S. gli legga tali quali essi sono, che per venire da un si nobile, e divino ingegno non ponno essere se non perfetti, e pieni di dottrina, e de inventione. Ma forse le scorrettioni che in essi si troveranno, per non havergli io cavati dal proprio originale, ve gli faranno parere men belli, e meno vaghi. Pure, il vostro accorto giuditio emendarà da se / gli errori commessi da la diversità de le penne de chi prìma gli scrisse.9 Se da un lato l’autore della dedica si giustifica e cerca di sgravarsi della responsabilità esclusiva dell’edizione non autorizzata, attribuendone l’ideazione e la richiesta al dedicatario e ad «alcuni altri gioveni» («hor vi mando per havermegli voi, insieme con alcuni altri gioveni richiesti, a i quali per l’amicitia che sempre ho hauta seco non potea disdire di non servirgline»),10 e presentandosi così come portavoce ed esecutore di una volontà collettiva, dall’altro non sembra però farsi molte remore, arrivando persino, nel finale, a suggerire alla poetessa di allestire lei stessa una nuova edizione per emendare gli errori occorsi in quella appena presentata: la qual, e da per se gli potrà rivedere di nuovo, e mandargli in luce, piu per giovare a gli intelletti, che ne l’età nostra si trovano, che per acquistar fama; Percio, che essi havendo un si gran mezzo di studiare, potranno meglio pervenire a l’estremo de la perfettio{n}e. Onde gli fiano sempre obligati.11 Si noti come, nell’avanzare questo suggerimento alla poetessa, il Pirogallo si affretti a specificare le motivazioni nobili e altruistiche alla base di una tale impresa (il «giovare a gli intelletti»), quasi volesse rassicurarla e incoraggiarla a intraprenderla, salvaguardandone al contempo l’immagine di disinteressata e ascetica cultrice delle lettere, che a quest’altezza cronologica si era evidentemente già ben affermata. Ed è interessante che Pietro Bembo, perseguendo lo stesso fine nella già citata lettera di reazione a quest’edizione pirata, faccia leva proprio sulla legittimità della gloria acquistata con le «buone opere» per convincere la poetessa alla pubblicazione, contraddicendo così l’accezione negativa attribuita nella dedicatoria di Pirogallo all’«acquistar fama»: «Né bisogna dire: “Io non curo la gloria del mondo”, ché queste son parole. La gloria, che può venirne dalle buone opere, non è da essere sprezzata, anzi, amata e tenuta cara da ogni santissima anima».12 L’autrice delle Rime è dunque fortemente implicata nel discorso dedicatorio anteposto alla princeps, che si configura come un dialogo a tre tra il dedicante, il dedicatario e la poetessa. Al dedicatario, di cui non si sa praticamente nulla,13 è anzi concesso ben poco spazio nell’economia del testo: se ne esalta a malapena l’«accorto giuditio», l’ingegno («piu fervido de gli ingegni d’hoggidi») e la cultura («dottissimo»).14 Per quanto riguarda l’autrice, invece, si assiste a un vero e proprio dispiegamento della retorica della lode: la Colonna è definita «Divina», «gran Signora», «rara, e grande», «immortalissima» e dotata di «miracoloso sapere»; il suo ingegno «nobile» e «divino»; i suoi componimenti «perfetti, e pieni di dottrina, e de inventione».15 Inoltre, alcuni termini ed elementi caratteristici della dedica di antico regime sono qui utilizzati in modo inconsueto:16 il tema dell’arditezza nel dedicare è reimpiegato in relazione alla pubblicazione dell’opera, e quindi riferito più alla Colonna che non al dedicatario («ho preso ardire di mettegli in istampa»).17 Anche il motivo dell’obbligo nei confronti del dedicatario, solitamente utilizzato per giustificare la sua scelta,18 è ricontestualizzato come obbligo intellettuale nei confronti dell’autrice («Onde gli fiano sempre obligati»).19 La dedica appare dunque molto più finalizzata alla trasmissione di un messaggio sulla e alla poetessa, che non all’ottenimento di favori o remunerazioni da parte del dedicatario − il cui rapporto con il dedicante, del resto, appare di tipo amicale,20 come si deduce dall’allusione all’«amicitia»21 nella parte iniziale della dedica − o alla promozione dell’edizione presso il pubblico, vista l’aperta dichiarazione dell’inesattezza dei testi. Alla luce di questa lettura della dedica, l’edizione appare dunque un deliberato atto provocatorio, finalizzato a suscitare una reazione da parte della Colonna e dei suoi congiunti, come di fatto accadde, seppur non conducendo agli esiti auspicati. Nel testo, l’autore della dedica fornisce in effetti alla poetessa due validi pretesti per procedere alla pubblicazione della propria opera: l’emendamento degli errori dell’attuale edizione e l’adempimento di un importante ruolo pedagogico, attraverso l’altruistica offerta della propria opera come modello di scrittura alle nuove generazioni di poeti. Su quest’ultimo punto, come si vedrà, continueranno a insistere anche le dedicatorie proposte nelle successive edizioni dell’opera della poetessa.22 La dedica di Pirogallo a Vercelli, benché illecita, venne ripresentata, con lievissime variazioni nella punteggiatura dell’intestazione, nientemeno che in quattro riedizioni delle Rime, tutte datate 1539.23 Di queste, le prime tre sono anonime e ripropongono esattamente, oltre alla dedica, i testi e l’ordinamento della princeps, con l’aggiunta di alcune stanze di Veronica Gambara, erroneamente attribuite alla Colonna; l’ultima (Firenze, Zoppino) presenta invece per la prima volta, annunciandoli astutamente sul frontespizio, alcuni nuovi sonetti spirituali della poetessa:24 RIME DE LA DIVA
VETTORIA COLONNA, DE
Pescara inclita Marchesana, Nuo-
vamente aggiuntovi. XVI.
Sonetti Spirituali, {et} le
sue stanze.

Con massima Diligentia revisti,
ne in luogo alcune, per
l’adrieto Stam-
pati.25
Come acutamente notato da Dionisotti, l’editore della stampa, Nicolò d’Aristotele detto lo Zoppino, «che era una vecchia volpe dell’editoria, aveva fiutato il titolo che in quel momento allettava i lettori».26 Quest’edizione marcherà infatti un’importante svolta nella storia editoriale delle Rime di Vittoria Colonna,27 dando inizio a un nuovo trend che vede slittare progressivamente l’accento sulla produzione spirituale della poetessa, d’ora in poi frequentemente anteposta a quella amorosa e arricchita via via di nuovi testi, annunciati con enfasi sui frontespizi.28 Ed è proprio sui frontespizi che, in questa fase, si concentrano maggiormente le attenzioni degli editori, primo fra tutti lo Zoppino stesso che, cavalcando l’onda del successo riscosso dalla prima, nel 1540 pubblica, questa volta a Venezia, una nuova edizione, ulteriormente ampliata, delle Rime, dove il numero di sonetti spirituali annunciati nel titolo sale a ventiquattro, mentre si presenta per la prima volta anche il «triompho de la croce di Christo», una composizione religiosa in terza rima ispirata ai Trionfi petrarcheschi.29 In quest’edizione per la prima volta cade la dedica di Pirogallo: un chiaro segnale del fatto che Zoppino percepisce come ormai avvenuta l’emancipazione dalla princeps ed è cosciente di presentare al pubblico un prodotto totalmente nuovo. L’editore preferisce però non arrischiarsi a dedicare lui stesso l’opera, puntando invece tutto su altre tipologie paratestuali, nella fattispecie figurative. L’edizione presenta infatti sul frontespizio l’immagine di un’anziana suora inginocchiata davanti a un crocifisso con aria estatica, una mano sul cuore e l’altra su un libricino aperto davanti a sé (Fig. 2). Sul verso è inoltre raffigurata una crocifissione con Maria e Giovanni ai piedi della croce (Fig. 3). Entrambe le immagini, che richiamano il contenuto della nuova composizione annunciata sul frontespizio, il Trionfo della croce di Cristo, e sottolineano ulteriormente la componente ‘spirituale’ della raccolta, fanno parte di una precisa strategia di marketing volta, come nota Luigi Severi, ad attirare soprattutto il pubblico femminile, «particolarmente attratto da opere devozionali».30 L’idea dello Zoppino fu vincente, come dimostrano le tre riedizioni pubblicate tra il 1540 e il 1542, le quali mantennero invariato l’assetto complessivo del testo da lui proposto, riprendendone anche la veste grafica (con qualche modifica delle immagini).31 Nessuna di queste edizioni presenta però una dedica.
3. L’edizione commentata di Rinaldo Corso (1542 e 1543)
Di nuovo al pubblico femminile, questa volta in modo del tutto esplicito, si rivolge la Dichiaratione fatta sopra la seconda parte delle Rime della divina Vittoria Colonna Marchesa di Pescara di Rinaldo Corso. Quest’edizione occupa un posto di grande rilievo nella storia editoriale delle Rime della Colonna per essere la prima a presentare separatamente i soli testi spirituali della poetessa;32 ma essa costituisce un traguardo importante anche per la storia della critica letteraria, rappresentando il primo caso di edizione commentata di un’opera contemporanea, il cui autore era ancora in vita.33 Edita nel 1542 (s.l.), e poi ripubblicata l’anno successivo (Bologna, Faelli) con non poche modifiche sia nel contenuto che nell’organizzazione complessiva,34 quest’edizione presenta sul frontespizio il seguente titolo dedicatorio:
DA RINALDO CORSO
Alla molto Illust. Mad. VERONICA Gambara
da Correggio. Et alle Donne
gentili dedicata.
Questa dedica ‘doppia’, sinteticamente annunciata sul frontespizio, viene sviluppata nelle pagine seguenti in tre distinti peritesti35 titolati rispettivamente «Alle Amorose Donne Proemio / di Rinaldo Corso»; «Nuovo Proemio»; e «Alla molto Illust. {et} Valorosa Mad. VERONICA / Gambara da Correggio / Rinaldo Corso».36 Sebbene soltanto il terzo di questi peritesti possa essere definito in senso stretto una dedica, vale la pena di prenderli tutti in considerazione. I primi due, detti impropriamente ‘proemi’, si rivolgono infatti entrambi alle destinatarie privilegiate dell’opera, quelle «Donne gentili» cui si allude sul frontespizio, e costituiscono entrambi, come si vedrà, una sorta di dedica collettiva. Nel primo di questi (Alle Amorose Donne Proemio di Rinaldo Corso), il Corso, giovane accademico al servizio della corte di Correggio, rappresenta come ormai conclusa, grazie proprio al sostegno delle suddette Donne, l’impresa del commento alla prima parte delle Rime (vale a dire le amorose) e racconta la sua iniziale titubanza ad affrontare la seconda, ovvero quella delle Rime spirituali, oggetto appunto dell’edizione presentata: «Harei volentieri lasciato, Belliss. Donne, poscia che col vostro favore del primo pelago era ad assai buon porto uscito, di entrar nel secondo».37 La ragione di tale titubanza è spiegata nelle righe successive con il ricorso al topos della modestia: l’autore del commento, infatti, dichiara la sua scarsa conoscenza delle cose spirituali e l’inettitudine del suo intelletto a comprenderle («si perche io non mi veggio nelle cose divine molto bene instrutto, si perche il mio intelletto n{on} è così di questi concetti capevole»). Nondimeno Corso afferma di non aver voluto sottrarsi al compito: «(quantunque insofficiente mi veggia) in alcuna parte l’opera mia negarvi, dove habbia pensato dovervi ritornare in qualche utile, ò consolatione». Il testo si conclude quindi con la richiesta di accettazione e di gradimento dell’opera: Sì che, quale che si sia, pigliate da me con lieto viso questa sec{on}da Parte, et se punto le mie fatiche vi son care, in premio di quelle concedetemi sol, ch’io v’ami, come sempre feci, {et} farò fin ch’io viva.38 L’utilizzo di un termine come «premio», fortemente legato alla semantica della dedica venale, così come la presenza di molti luoghi topici della prassi dedicatoria (abbassamento dell’autore e dell’opera, attribuzione del merito della realizzazione del testo al dedicatario, richiesta di accettazione e di gradimento),39 contrastano con l’entità della ricompensa, tutt’altro che materiale, richiesta dall’autore. Corso sembra qui ‘giocare’ con il linguaggio e con le formule dedicatorie più tipiche, in un contesto che, data la molteplicità e l’indeterminatezza delle destinatarie, esclude in partenza l’instaurazione di un rapporto mecenatico ‘classico’.40 Quest’impressione si acuisce nel secondo ‘proemio’, ancora più ricco di topoi e termini riferibili alla prassi della dedica ‘classica’, come lo speculare abbassamento dell’opera a fronte dell’innalzamento del destinatario («n{on} degno c{on} la bassezza di si vile oggetto di contaminare in alcuna parte la divinità de gli occhi vostri»),41 la preghiera di non badare all’entità del dono, quanto al sentimento di chi dona («mà dorrammi che risguardando il picciol frutto, non il desideroso cor di chi dona, del servir mio vi mostriate schive»),42 e la rinnovata richiesta di gradimento e di accettazione, accompagnata dal doppio atto di offerta, dell’opera e della servitù dell’autore del commento: «Per ciò che s’egli cosi venendo in luce troverà gratia appresso di voi»; «Se voi la picciola arra della servitù mia (che per hora maggiore dar non vi posso) con quell’animo sete preste ad accettare, con che io ve l’offerisco».43 Il fatto che Corso attribuisca l’etichetta di ‘proemio’ a un discorso così fortemente marcato dal linguaggio e dalle formule dedicatorie e, per contro, così carente di informazioni preliminari sull’opera, rivela pienamente l’elasticità di questa terminologia e la fluidità con cui le varie tipologie di peritesti venivano contaminate nel Cinquecento.44 Tale considerazione trova conferma nella lettura della vera e propria lettera dedicatoria del Corso «Alla molto Illust. {et} Valorosa Mad. VERONICA / Gambara da Correggio», datata 15 febbraio 1542 come il Nuovo proemio, nella quale l’istanza prefativa si rivela prevaricante, e l’atto di dedica, con l’annesso elogio della dedicataria, è ridotto a queste poche righe: Accettate voi dunque con l’animo mio à voi servire c{on}secrato, {et} offerto, le mie giovanili primitie, et voi fatiche mie per le man degli huomini andate secure dagli empi morsi dell’altrui invidie, port{an}do in fronte dipinto il nome ch’io sempre nel core porto con somma riverenza scolpito, di VERONICA G{am}bara da Correggio chiarissimo spl{en}dore del f{em}minil sesso, e dell’età nostra.45 Il resto del testo è infatti interamente consacrato a spiegare le motivazioni che hanno portato alla pubblicazione della sola ‘seconda parte’ del commento. Dopo la princeps (e le sue varie ristampe), la Dichiatatione del Corso è l’unica edizione delle Rime pubblicata in vita dell’autrice a presentare una dedicatoria. In questo caso, tuttavia, non si può parlare di una vera e propria usurpazione del diritto di dedica; come Corso lascia chiaramente intendere nei vari peritesti analizzati, infatti, ad essere dedicata non è tanto l’opera della poetessa, quanto piuttosto il suo commento («mio nuovo parto, et giovanile», «le mie giovanili primitie», «fatiche mie», ecc.).46 E questo commento, così significativo per il fatto di essere il primo condotto su un’opera contemporanea, trova, come nota Giacomo Moro, la sua ragione d’essere proprio nella dedica alle donne, proponendosi come strumento di acculturazione del sesso femminile.47 La particolare attenzione riservata nel commento alle questioni linguistiche, inoltre, ne mostra chiaramente l’intento insieme divulgativo e normativo.48 Con quest’edizione Corso fa quindi della Colonna e della sua opera un modello linguistico e letterario specificamente femminile:49 se nella dedica della princeps la lirica della poetessa veniva ancora proposta come esempio di buona scrittura offerto genericamente ai giovani, di cui il dedicatario era il rappresentante,50 con le ‘dediche’ del Corso si avvia dunque una delimitazione di genere che, come si vedrà, avrà un notevole seguito, influenzando sensibilmente la scelta dei futuri dedicatari. Ma prima di illustrare qualche esempio, vale la pena soffermarsi su un ultimo punto: dedicando l’opera a Veronica Gambara, Corso si atteneva pienamente, in modo implicito ma certo del tutto cosciente, al principio di convenienza della dedica.51 La Gambara non era infatti solo la protettrice e la mecenate del Corso, alla corte e per l’accademia della quale l’esposizione era stata composta, ma possedeva anche non pochi tratti in comune con l’autrice delle Rime: come la Colonna, era anch’essa una nobildonna, vedova e stimata autrice di testi poetici. La sua figura, inoltre, era spesso associata a quella della Colonna dagli scrittori contemporanei, tanto che Virginia Cox parla per queste due poetesse di una «doppia canonizzazione».52 L’associazione tra le due donne fu tale che portò spesso anche a confonderle, come testimonia ad esempio l’erronea attribuzione delle stanze della Gambara alla Colonna a partire dalle edizioni delle Rime del 1539.53 La nobildonna di Correggio, del resto, non scoraggiò mai questa confusione, e anzi pare volesse lei stessa rafforzare il legame con la celebre Marchesa di Pescara, con la quale nel 1532 diede, tra l’altro, inizio a una corrispondenza poetica in due momenti, entrambi aperti su sua proposta.54 È naturale quindi che Corso non ritenesse necessario insistere nella sua dedica sulla somiglianza tra l’autrice delle Rime e la dedicataria della Dichiaratione, che dava per universalmente nota. La connessione tra le due donne si trova però a ben vedere suggerita visivamente dall’uso del maiuscolo per i nomi «VITTORIA» e «VERONICA» che, posti nelle prime e nelle ultime righe della dedica, la incorniciano (Fig. 4). Lo stesso commento alle Rime della Colonna, potrebbe in effetti, secondo Virginia Cox, essere stato commissionato dalla Gambara al fine di creare un ulteriore legame tra il proprio nome e quello della loro autrice.55 Entrambe le tendenze riscontrate nelle dedicatorie (se tali si considerano anche i cosiddetti ‘proemi’) di Rinaldo Corso − vale a dire la delimitazione del genere dei destinatari e lo sfruttamento, per soddisfare al principio di convenienza della dedica venale, dell’affinità tra autrice e dedicataria piuttosto che, o meglio, oltre a quella (più consueta) tra opera e dedicatario − rappresenteranno, a partire da quest’edizione, vere e proprie costanti nelle dediche delle Rime di Vittoria Colonna.56 Queste due tendenze sono intimamente connesse tra loro: il fatto di proporre la poetessa come modello letterario, morale e linguistico specificamente femminile, implica la predilezione per le dedicatarie donne, rappresentando il destinatario della dedica anche il principale e ‘ideale’ lettore dell’opera. D’altro canto, la scelta di una nobildonna come dedicataria di un’opera composta a sua volta da una celebre nobildonna ha il vantaggio di offrire una facile e comoda motivazione alla dedica, permettendo insomma di evitare il compito, spesso arduo, di trovare un nesso valido che leghi dedicatario e opera.
4. La dedica pericolosa di Giovanni Antonio Clario (1548)
Questo pretesto è in effetti utilizzato, a distanza di pochi anni e in modo più esplicito, nella dedicatoria del poligrafo Giovanni Antonio Clario «ALLA ILLUSTRISSIMA / SIGNORA PRINCIPESSA DI SALERNO», che compare per la prima volta in un’edizione delle sole Rime spirituali della Colonna, pubblicata presso l’editore Vincenzo Valgrisi nel 1548. Si tratta di una ristampa ampliata e ricorretta di quella che era stata la rivoluzionaria edizione Valgrisi 1546,57 con cui veniva per la prima volta data alla luce la quasi totalità della produzione spirituale della poetessa e che, come sottolinea Dionisotti, «venne allestita da uomini vicinissimi e devoti a lei».58 Il fatto che la dedica del Clario sia stata introdotta solo a partire dalla seconda edizione, che vide la luce dopo la morte della poetessa (avvenuta il 25 febbraio del 1547), rappresenta un particolare significativo per la comprensione delle regole del sistema dedicatorio, che sembra essere più incline ad ammettere l’appropriazione del diritto di dedica da parte degli editori dopo la morte dell’autore.
Sul frontespizio è annunciata, con grande dovizia di particolari, secondo le modalità promozionali che ci sono ormai note, la novità del contenuto dell’edizione, facendo diretto riferimento alla precedente («della nostra medesima»): LE RIME
SPIRITUALI DELLA
ILLUSTRISSIMA SIGNORA
VITTORIA COLONNA

Marchesana di Pescara.

Alle quali di nuovo sono stati aggiunti, oltre quelli non pur dell’altrui
stampe, ma ancho della nostra medesima, piu di trenta, ò trentatre
sonetti, n{on} mai piu altrove stampati; un capitolo; et in non pochi luoghi
ricorrette, {et} piu chiaramente distinte.
Con gratia, {et} privilegio.
IN VINEGIA,
ALLA BOTTEGA D’ERASMO; APPRESSO
VINCENZO VALGRISI:
M.D.XLVIII.
Si noti come, riprendendo direttamente il titolo dell’edizione Valgrisi 1546,59 il superlativo «Illustrissima», tipico del linguaggio dedicatorio, sia qui sostituito al consueto epiteto «Diva» o «Divina» che era solito essere accostato, nelle titolazioni, al nome della poetessa fin dalla princeps, ponendo così da subito l’autrice dell’opera sullo stesso piano di una dedicataria. Questo tratto è confermato dal testo della dedica, che si gioca tutta sull’illustrazione delle corrispondenze tra la destinataria, la Principessa di Salerno Isabella Villamarina, e la poetessa, con lo scopo di dimostrare la convenienza e l’adeguatezza del dono. Il Clario − che per l’occasione si firma Apollonio Campano, con uno dei suoi molti pseudonimi −60 apre la dedica con una riflessione che potremmo definire metatestuale sulla consuetudine dedicatoria dell’abbassamento dell’opera offerta,61 per mettere poi in risalto la sua deviazione da tale norma: SOGLIONO communem{en}te, Illustrissima Signora, quasi tutti coloro, che à qualche gran Prencipe intitolano qualche opera, humanamente se stessi comendare nel fine della epistola loro; dicendo, che non alla picciolezza, {et} qualita dell’opera, ma al pronto volere, {et} grandezza dell’animo debbano riguardare: percioche al mancamento di quella, largamente supplisce questo. Allo ’ncontro io Signora Illustrissima (per allontanarmi tanto dalla via commune, quanto conosco voi lontana dai communi prencipi) nel principio della mia, vi prego, che alla grandezza, n{on} dico de’ fogli, ma del soggetto, et alla qualita dell’opera debbiate haver l’occhio: imperoche da se ella è tale, che per se stessa, non per comendatione altrui dee essere havuta à grado.62 Ribaltando in modo così plateale uno dei luoghi retorici più comuni della dedica venale, il Clario, che si dimostra molto avvezzo alle regole del sistema, ottiene l’effetto di amplificare l’eccezionalità del proprio dono e, insieme, della dedicataria stessa («quanto conosco voi lontana dai communi prencipi»).63 Il seguito dell’epistola è interamente finalizzato a dimostrare quanto e perché l’opera sia adeguata e degna della dedicataria. A sottolineare la centralità di questo concetto, si noti la frequenza con cui sono ripetute le parole-chiave degna / conveniente / convenire / conformità in questo passo: conciosiache non per altro ho insino à qui indugiato à farle palese la mia affettione, {et} servitu volontaria, oltre la soggettione per nascimento, che per aspettare, che co’l tempo occasione mi venisse da presentarle opera degna di lei: laquale (a mio giudicio) è questa. Imperoche ne piu degna, ne più conveniente mi saprei imaginare io, che si potesse presentare alla S.V. Conciosiacosache se à tutte le parti insieme, et à ciascuna per se si considera, si conoscera chiaramente {et} l’opera à voi, {et} / voi all’opera convenire. Ecco, se allo stato, {et} conditione dell’auttore si pon mente, ella nobile, {et} Marchesana, {et} voi nobile, {et} Principessa; se al sesso, ella donna, {et} voi donna; se alla materia; qual materia è piu alta, piu degna, piu honesta, piu santa, {et} piu conveniente à donne, che quella, che christianamente parla di CHRISTO? oltre che (secondo io odo) da un medesimo organo, {et} istromento havete appresa sì christiana, sì santa, sì honesta, sì degna, {et} sì alta dottrina. Questa opera dunque per ogni cagione vi dee esser cara, ma tanto maggiormente, quanto v’interviene questo particolare di piu, oltre tanti altri, che è della c{on}formita della dottrina. Ne mi posso dare à credere, che una stretta c{on}giuntione, {et} unione d’amore non fusse tra voi, m{en}tre ella era viva; laquale chi havesse tentato di disunirla, {et} separarla dopo la morte sua, anzi per questa via non ricongiungerla, {et} riunirla, piu che crudele mi par, che sarebbe stato. Io ho fin’hora mostrato, che sì degna opera degnam{en}te à voi si c{on}viene; sarebbemi hora di mestiero far chiaro, come voi all’opera non disconvenite.64 Le prime due motivazioni chiamate in causa dal Clario in questo passo riguardano caratteri ‘esterni’ all’opera che accomunano l’autrice e la poetessa, vale a dire lo status sociale e il sesso femminile. Sempre il sesso della dedicataria è poi utilizzato per dimostrare l’adeguatezza del contenuto (religioso) dell’opera, dichiarato particolarmente «conveniente à donne». Vale infine la pena di soffermarsi sugli ultimi due nessi menzionati nella dedicatoria, che, essendo meno generici, sono anche i più determinanti: il primo è il criptico riferimento al «medesimo organo, {et} istromento» dal quale sia la Colonna sia Isabella Villamarina avrebbero «appresa sì christiana, sì santa, sì honesta, sì degna, {et} sì alta dottrina». Mi pare possibile ipotizzare che il Clario alluda qui alla ‘dottrina’ di Juan de Valdès, per la quale sembra che entrambe le nobildonne simpatizzassero,65 forse addirittura alla sua opera più nota in Italia, l’Alfabeto cristiano (1546).66 L’autore stesso della dedica, del resto, conosceva e condivideva le idee del predicatore spagnolo, del quale, nel 1547, tradusse e pubblicò, sempre per i tipi di Valgrisi, i Dos Dialogos.67 Nell’avanzare questa ipotesi occorre tuttavia usare qualche cautela, dato che, al momento della pubblicazione della dedica, il Clario era già stato convocato (nella primavera del 1547) dall’Inquisizione veneziana per un interrogatorio, con l’accusa di eresia,68 e che, negli stessi anni, anche la Colonna era finita nel mirino delle indagini inquisitorie.69 Il riferimento appare comunque sufficientemente velato da non rappresentare un pericolo per la dedicataria. L’ultimo nesso su cui si insiste nella dedica riguarda infine il presunto rapporto di amicizia e affetto che, secondo il Clario, avrebbe legato la dedicataria alla Colonna, mentre questa era ancora in vita. In effetti, non è certo impossibile che Isabella Villamarina, rispettata nobildonna napoletana e frequentatrice dei medesimi ambienti aristocratici e degli stessi circoli intellettuali della poetessa, abbia avuto modo di incontrare e, forse, di frequentare la Colonna.70 Di un’amicizia tra le due donne, se pure ci fu, non è però rimasta alcuna prova documentaria. Dopo un breve elogio della destinataria, portato a termine attraverso formule di preterizione («ma io mi tacerò questa parte»; «meglio è tacerlemi»),71 l’epistola del Clario si conclude, ribaltando di nuovo un luogo topico della dedica venale, con l’affermazione del valore intrinseco dell’opera, che si traduce nella necessità di affidarla a un protettore degno di essa: «ne io per illustrar quelle [i.e. le vostre immortali virtuti], v’ho intitolata questa; ma per n{on} oscurar questa co’l nome di persona, che sia men degna di V.S. Illustrissima; alla quale con ogni reverenza m’inchino».72
5. La dedica di Girolamo Ruscelli (1558)
Un’altra dedica cinquecentesca delle Rime a presentare le medesime caratteristiche − dedicataria donna e accentuazione di tratti comuni con l’autrice dell’opera − è quella di Girolamo Ruscelli nella riedizione, questa volta completa della ‘prima parte’, della Dichiaratione di Rinaldo Corso,73 pubblicata a Venezia nel 1558. Il parallelismo tra la dedicataria, Isabella Gonzaga, e la Colonna è esposto in maniera evidente e inequivocabile già sul frontespizio dell’opera:
TUTTE LE RIME
DELLA ILLUSTRISS. ET
ECCELLENTISS. SIGNORA VIT-
TORIA COLONNA, MARCHE-
SANA DI PESCARA.

CON L’ESPOSITIONE DEL SI-
gnor Rinaldo corso, nuovamente man-
date in luce da Girolamo Ruscelli.
ALLA ILLUSTRISS. ET ECCELLENTISS.
Signora Donna Issabella Gonzaga,
Marchesana di Pescara.
La presenza del titolo dedicatorio sul frontespizio mette subito in risalto il fatto che dedicataria e autrice condividano lo stesso titolo nobiliare di «Marchesana di Pescara», abilmente menzionato per entrambe dopo il nome e con la medesima formulazione. Ad accentuare il parallelismo interviene poi l’identica aggettivazione superlativa, tipica del linguaggio dedicatorio, utilizzata addirittura con uguale abbreviazione, e seguita dallo stesso titolo di cortesia: «Illustriss. et Eccellentiss. Signora». Il tema è ripreso in modo più esplicito al termine della lunghissima − come di consueto per il Ruscelli − dedica epistolare che segue, in particolare nel passo in cui il dedicante, tirando le fila del discorso, si accinge a chiedere l’accettazione del dono: Poi che dunque questo bellissimo libro viene à così opportuna occasione di ricordar’ à vostra Eccellenza {et} al mondo, che ella non habbia mai ad haver cagione di sentir doglia per morte vera d’alcuno da lei degnamente amato parente suo, poi che contiene i frutti dell’ingegno d’un così chiaro {et} fidelissimo suo familiare, che è il Corso, poi che le vien donato da un così devoto {et} umilissimo servitor suo, che son’io, {et} poi che finalmente è opera di quella gran Signora, dal perfettissimo giuditio della quale, finito poi dalla particolar dispositione di Dio, è succeduto à vostra / Eccellentia il già fatto glorioso titolo {et} Marchesato di Pescara, io mi confido interamente, che ella sia per haverlo sommamente caro.74 Oltre alla coincidenza del titolo nobiliare, la dedicataria scelta dal Ruscelli, che era «uno specialista nel comporre dediche»,75 presenta anche un altro importante legame con la poetessa, sottolineato dall’autore dell’epistola in maniera quasi casuale al termine del topico elogio della casata della dedicataria: alla contentezza {et} alla gloria di vostra Illustrissima {et} Eccellentissima Signoria non parea che restasse luogo alcuno di ricevere accrescimento, se non quest’uno di congiungerla in matrimonio à Signore dignissimo d’un t{an}to dono {et} favor di Dio, {et} il quale (oltre à quanto per se stesso si vien tuttavia rendendo gloriosamente chiaro) habbia aggiunto alla casa Gonzaga l’altro ramo regio d’Aragona, / {et} seco quello della gran casa Colonna, la quale da tanti secoli non è stata mai reputata per men che veramente Regia, {et} veramente salda colonna {et} sostegno vero della gloria {et} della reputatione d’Italia.76 Isabella, in effetti, era imparentata in linea diretta con Vittoria Colonna, avendo sposato Francesco Ferdinando d’Avalos, figlio del cugino del marito della poetessa. Da questa considerazione il Ruscelli passa subito all’elogio della casata colonnese e, di qui, a quello della poetessa, in un passo ricco di echi letterari e di riflessioni metatestuali che vale la pena di citare per esteso: Alla felicità della qual casa [i.e. dei Colonna] i cieli, che particolarmente hanno mostrato di tenerne cura, non contenti di haverla di continuo tenuta piena di tanti supremi Capitani, di tanti gran Cardinali, di tanti eccelsi Principi, et di tanti chiarissimi lumi, quanti molt’altre case insieme per aventura non hanno havuti, l’hanno poi gloriosamente tenuta ornata di valorosissime {et} virtuosissime Donne, degne di trionfi {et} d’Imperij. Et per non mi diffonder soverchiamente in lungo, nè uscir dell’orditura dell’intention mia, io, tacendo per ora di tutte l’altre, dirò brievemente di quella sola, la quale, essendo da lei nato questo libro, ch’io mando à vostra Eccellentia, mi ha data occasione d’entrar seco in questi opportuni {et} degnissimi ragionamenti. Della qual Signora il divino Ariosto disse, che ella non solamente haveva fin d’allora fatta immortal se stessa, ma che ancora havea poter di trar di sepolcro, {et} far’ eternamente vivere altrui. Ilche con quanto giudicio, {et} con quanta verità fusse detto, hanno mostrato {et} mostrano tuttavia questi anni, che sono succeduti dapoi che ella tornò in cielo, vedendosi {et} intendendosi di continuo, che tutti i più rari e i / più nobili di valore, d’ingegno, {et} di nome chiaro, hanno ad ogn’ora nelle penne {et} nelle lingue il suo nome, la sua gloria, {et} che ammirano {et} osservano i miracolosi scritti suoi. Onde se ne vede parimente, che persona di tanta dottrina {et} di tanto nome, come è il Signor Rinaldo, […] il quale è riverito {et} celebrato da tutti i più chiari litterati {et} dotti de’ tempi nostri, {et} il quale con tanti dignissimi scritti suoi è già in istato d’esser’ egli tolto ad osservare {et} ad imitare, si ha tuttavia recato à grandissimo favore di prendere ad esporre i componimenti di detta Signora, rendendosi come sicuro, che da questo egli sia per accrescere altamente splendore e gloria al nome suo. Il che se per certo haverebbe interamente conseguito col solamente mostrarne giuditio {et} desiderio, quanto più possiamo dir che l’habbia conseguito ora, havendogli esposti con tanto bell’ordine, {et} con tanta dottrina […]. / Là onde quegli sciocchi, i quali (com’io dissi) chiamano nelle persone veramente nobili, morire, quando dividono il divino dal mortal loro, possono da questo solo essempio chiarirsi, con quanta sconvenevolezza lo facciano, poi che questi, che essi chiamano morti, si veggono tuttavia potenti à far vivi {et} eterni altrui. La qual potentissima virtù conoscendo molto bene ancor’io, ho procurato di valermene ad assicurarmi almeno con questa sola da quella, che ciascuno dee temer sopr’ogn’altra cosa […]. Nel che spero con gratia di Dio d’haver ancor’io conseguito l’intento mio, poi che i presenti e i futuri secoli vedranno il mio nome con quello del Signor Rinaldo, con quello di questa gran Signora, {et} sopra tutto con quello di vostra Eccellenza.77 Per quanto lunga, questa citazione è essenziale per comprendere la maestria con cui il Ruscelli passa da un argomento all’altro, toccando tutti i punti essenziali della dedica, in un discorso continuo e sapientemente costruito. Il passo è inoltre interessante sotto vari aspetti. Il primo riguarda gli echi letterari che emergono nella presentazione della poetessa. La ripresa quasi letterale degli ultimi versi di una delle ottave del Furioso dedicate alla Colonna dall’Ariosto è apertamente dichiarata dal Ruscelli («Della qual Signora il divino Ariosto disse») che, tra l’altro, del poema ariostesco curò un’importante edizione:78
  Quest’una ha non pur sé fatta immortale
col dolce stil di che il meglior non odo;
ma può qualunque di cui parli o scriva,
trar del sepolcro, e far ch’eterno viva
(Ariosto, Or. fur. xxxvii 16 5-8).79
Ma la ripresa dal Furioso si estende, nella dedica, ben oltre il luogo dichiarato. Nella modalità con cui la Colonna è ‘estratta’ e isolata da una schiera di donne valorose, cui si delinea in prima istanza l’ampiezza, per poi abdicare al compito di una menzione completa («l’hanno poi gloriosamente tenuta ornata di valorosissime {et} virtuosissime Donne, degne di trionfi {et} d’Imperij. Et per non mi diffonder soverchiamente in lungo, nè uscir dell’orditura dell’intention mia, io, tacendo per ora di tutte l’altre, dirò brievemente di quella sola […]»),80 si avverte infatti già l’eco dei versi che nel poema ariostesco precedono immediatamente quelli espressamente menzionati:
     Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
render buon conto, e degno pregio darle,
bisognerà ch’io verghi più d’un foglio,
e ch’oggi il canto mio d’altro non parle:
e s’a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei l’altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d’ognuna,
e pur fra tante sceglierne sol una?
   Sceglieronne una; e sceglierolla tale
   (Ariosto, Or. fur. xxxvii 15-16 1).81
La poetessa viene così, in entrambi i testi, eletta a rappresentante privilegiata di una categoria: quella delle poetesse nel caso dell’Ariosto, quella delle nobildonne colonnesi nel caso di Ruscelli. Ma il verso dell’Ariosto citato letteralmente dal Ruscelli («trar del sepolcro, e far ch’eterno viva», Or. fur. xxxvii 16 8), rappresenta a sua volta la citazione dotta di un testo notissimo nel Cinquecento, vale a dire i Trionfi di Petrarca. Più in particolare il verso deriva, lasciandone quasi invariato il primo emistichio, dal Triumphus Fame i 9, dove è riferito nientemeno che alla figura della Fama stessa, che qui appare per la prima volta al poeta: «vidi da l’altra parte giugner quella / che trae l’uom del sepolcro e ’n vita il serba» (TF i 8-9).82 Che il Ruscelli, profondo conoscitore del Furioso, fosse del tutto consapevole del calco petrarchesco dei versi ariosteschi citati trova conferma nel fatto che, a una pagina di distanza, affiori nel suo discorso il ricordo, questa volta non mediato, di un altro verso dei Trionfi, sempre legato al concetto di sopravvivenza post mortem. Si tratta del penultimo verso (171) del Triumphs Mortis i: «era quel che morir chiaman gli sciocchi», ripreso quasi letteralmente da Ruscelli: «Là onde quegli sciocchi, i quali (com’io dissi) chiamano nelle persone veramente nobili, morire, quando dividono il divino dal mortal loro».83 Questo dato mi pare rilevante in considerazione del fatto che l’intera dedica rappresenta un lungo discorso sull’importanza della fama, e in particolare alla luce di quanto il Ruscelli afferma nel seguito, dove attribuisce alla Colonna il divino potere di assicurare la gloria e di rendere immortali coloro a cui il suo nome si lega («poi che questi, che essi chiamano morti, si veggono tuttavia potenti à far vivi {et} eterni altrui»).84 Mi pare insomma che il Ruscelli, riprendendo una suggestione già presente nei versi ariosteschi, costruisca qui una sorta di mito della poetessa, la cui figura viene in un certo senso a incarnare il concetto stesso di fama, probabilmente anche in virtù del suo sesso, essendo le personificazioni di entità astratte sempre femminili. Oltre a fornire un’importante testimonianza di quanto la poetessa fosse celebre all’epoca («vedendosi {et} intendendosi di continuo, che tutti i più rari e i / più nobili di valore, d’ingegno, {et} di nome chiaro, hanno ad ogn’ora nelle penne {et} nelle lingue il suo nome, la sua gloria, {et} che ammirano {et} osservano i miracolosi scritti suoi»),85 Ruscelli evidenzia in questo passo anche uno degli scopi intrinsechi, anche se meno evidenti, della pubblicazione e della dedica delle opere di grandi autori, vale a dire l’accrescimento della propria fama. Dopo aver spiegato come l’aver esposto le Rime della Colonna abbia assicurato la gloria a Rinaldo Corso, che di questo fatto (secondo Ruscelli) era pienamente cosciente («si ha tuttavia recato à grandissimo favore di prendere ad esporre i componimenti di detta Signora, rendendosi come sicuro, che da questo egli sia per accrescere altamente splendore e gloria al nome suo»),86 Ruscelli dichiara infatti di voler approfittare anche lui della fama della poetessa («La qual potentissima virtù conoscendo molto bene ancor’io, ho procurato di valermene») per rendere illustre il proprio nome. Anzi, per ottenere il suo scopo, egli si vale anche della notorietà del commentatore, Rinaldo Corso, e, soprattutto, di quella della dedicataria: «Nel che spero con gratia di Dio d’haver ancor’io conseguito l’intento mio, poi che i presenti e i futuri secoli vedranno il mio nome con quello del Signor Rinaldo, con quello di questa gran Signora, {et} sopra tutto con quello di vostra Eccellenza».87 Uno degli scopi e delle ragioni d’essere della dedica venale, vale a dire l’accrescimento della gloria del dedicatario, pare dunque nullificato: Isabella Gonzaga è rappresentata come depositaria di fama a prescindere dalla dedica, ed è, al pari della Colonna, in grado di trasmettere questa virtù a chiunque si veda legato al suo nome. L’intero meccanismo della dedica sembra dunque muoversi in direzione di un unico beneficiario: il dedicante stesso, che anziché rendere un servigio alla patrona, riceve da lei un favore.88 Ovviamente quella del Ruscelli non è altro che un’abile e raffinata strategia finalizzata a dimostrare e rivendicare il valore e il potere delle dedicatorie in generale, e di questa in particolare, lusingando nello stesso tempo la dedicataria col dichiarare l’autonomia della sua fama, e abbassando sé stesso al grado di colui che ne ha necessità. Resta tuttavia intatto e a ben vedere evidente il messaggio di fondo: la dedica dell’edizione presentata ha un grandissimo valore, in quanto non solo permette di approfittare del potere eternizzante specialmente attribuito alla Colonna, ma consente anche di legare il proprio nome a quello di uno studioso che, non a caso, è qui presentato come notissimo e molto ammirato: Rinaldo Corso. E questo doppio vantaggio, pur essendo rivendicato solo per sé, è di fatto offerto anche alla dedicataria. La dedica di un’opera con una doppia autorialità, come il commento di Rinaldo Corso alle Rime di Vittoria Colonna, presenta però, oltre ai vantaggi, anche alcuni problemi, in particolare quello di dimostrare la legittimità dell’appropriazione da parte di un terzo. La dedica di Ruscelli esautorava infatti, in questo caso, non uno, ma ben due autori, dei quali uno (il Corso) era addirittura ancora in vita, e vedeva, oltre che espropriato il suo lavoro, anche sostituita la dedica (a Veronica Gambara) da lui precedentemente posta in apertura dell’opera.89 Pienamente cosciente di questo problema,90 il Ruscelli, che per il suo atteggiamento troppo libertino nei confronti delle regole del sistema dedicatorio venne pubblicamente condannato da Traiano Boccalini,91 adduce due valide motivazioni alla pubblicazione e alla dedica dell’opera. La prima, fornita all’interno della dedica stessa, mette in evidenza l’utilità e necessità dell’edizione, in nome dell’interesse dell’intera comunità letteraria: Stando io dunque così ansiosamente in questo pensiero, mi fu questi giorni à dietro dall’Illustre S. Conte Giovan Battista Brembato fatto dono delle rime dell’Illustrissima {et} Eccellentissima Sig. Vittoria Colonna, di santa memoria, Marchesana di Pescara, con l’espositione dello Eccellen. Sig. Rinaldo Corso da Correggio, del qual libro il detto Conte mi dice che egli con molti prieghi hebbe copia dalla Illustrissima Signora Veronica Gambara, havendolo per aventura il detto Signor Rinaldo così esposto à contemplatione di lei, {et} à lei donatolo scritto à penna. Ora havendo io con molta mia contentezza lettolo tutto, {et} trovatolo tale, / che per certo nell’esser suo, così ne i componimenti, come nella espositione, sia per essere estimato dal mondo per una delle degne {et} lodate opere che in questo genere n’habbia qual si voglia lingua, {et} così intendendo essere il parere di quanti dotti {et} giudiciosi conversano nella casa mia, che con molto desiderio lo son venuto leggendo di volta in volta, io sono stato quasi da tutti universalmente consigliato {et} pregato à farne dono al mondo, {et} non privar d’un sì chiaro lume la bellissima lingua nostra. Ilche io mi sono volentieri disposto di voler fare; sì per servar continuatamente l’intention mia di far beneficio à gli amatori delle belle lettere, {et} finir di condurre in colmo la nostra lingua […].92 Come suo solito, Ruscelli applica qui per discolparsi una serie di strategie ben collaudate che si ripetono con frequenza nelle sue dediche, tanto da essersi cristallizzate in formule fisse.93 Innanzitutto fornisce, a riprova dell’onestà e trasparenza del suo agire, dettagliate informazioni sulla provenienza e sulle circostanze che lo hanno portato a entrare in possesso del manoscritto. In secondo luogo, mette in scena una sorta di ‘giuria di dotti’, assidui frequentatori della sua casa, che certifica la qualità e il valore dell’opera, e si fa dunque sostenitrice della necessità di pubblicarla, per amore della lingua volgare e dell’intera comunità letteraria, che ne trarrebbero giovamento. Infine, Ruscelli si presenta come mediatore e esecutore del volere di questo ristretto gruppo, al servizio e per beneficio del più vasto gruppo dei lettori (quello che, con un termine frequentissimo nelle dediche ruscelliane, è definito il mondo). Dell’edizione precedente della seconda parte del commento di Corso (1542), e soprattutto della dedica che presentava, non viene fatta menzione neanche quando si ricorda che l’esposizione è stata composta per Veronica Gambara. E anzi, si lascia intendere che il dono, e dunque la dedica, sia esistita solo in forma manoscritta: «havendolo per aventura il detto Signor Rinaldo così esposto à contemplatione di lei [i.e. Veronica Gambara], {et} à lei donatolo scritto à penna».94 Si noti inoltre come il nome della precedente dedicataria sia scritto in carattere minuscolo, quasi l’autore avesse voluto celarlo o almeno renderlo meno visibile degli altri nomi propri citati nella dedica, tutti scritti, almeno nella prima menzione, in lettere maiuscole. Il secondo argomento a favore della legittimità della dedica e dell’edizione si trova infine nell’avviso «A I LETTORI», dove Ruscelli mette in scena una sorta di abdicazione all’autorialità da parte di Corso, affermando di avergli inviato le bozze della stampa perché lui le correggesse, senza però riceverne risposta: QUESTI mesi à dietro, mentre questo libro si veniva stampando, io havendomene fatti dar quei fogli che eran fatti, gli mandai al Vasto al Dottor Canaceo, perche vedesse di fargli capitare in mano al Sig. Rinaldo, che all’ora si ritrovava in Regno, {et} gli facesse intendere che li rivedesse per riconoscervi gli errori più importanti, che le stampe vi havesser fatti, per notarne poi la correttione nel fine. Ma ritrovandosi il detto Sig. Rinaldo à Napoli, {et} aspettandosi di brieve al Vasto, quel gentil’huomo si ritenne i fogli per darglili alla sua venuta, {et} fra tanto gli venne leggendo […]. Poi tardando il Corso ad andare (nè so se vi sia più stato dapoi) essi mi scrissero […].95
6. Le dediche di Pietro Vinci (1580) e Lodovico Dolce (1552)
Totalmente estranea al problema del diritto di dedica è invece l’epistola del madrigalista siciliano Pietro Vinci, che nel 1580 pubblica i QUATTORDECI SONETTI / SPIRITUALI / DELLA ILLUSTRISSIMA ET ECCELLENTISSIMA / DIVINA VITTORIA COLONNA D’AVALOS / DE AQUINO MARCHESA DI PESCARA, da lui «messi in canto», dedicandoli niente meno che a Vittoria Colonna, omonima pronipote della poetessa: oggetto della dedica, infatti, non sono i versi della Marchesa di Pescara, ma le composizioni musicali da lui create per accompagnarli («mie fatiche»).96 Dal punto di vista della strategia dedicatoria, comunque, questo testo si pone nella scia delle dediche di Giovanni Antonio Clario e di Girolamo Ruscelli, essendo la dedicataria di nuovo una donna che possiede evidenti analogie e legami di parentela con l’autrice delle Rime.97
In effetti, nella dedica del Vinci, che presenta tutti i luoghi topici più comuni del genere e la pomposa ridondanza aggettivale caratteristica poi della dedica barocca (evidente già nella titolazione «ALL’ILLUSTRISSIMA / SIGNORA VITTORIA COLONNA / ILLUSTRISSIMA ET ECCELLENTISSIMA / SIGNORA ET PATRONA MIA / OSSERVANDISSIMA»),98 il motivo del parallelismo tra autrice e dedicataria, spesso utilizzato, come si è visto, per dimostrare la convenienza del dono nelle dediche delle Rime di Vittoria Colonna, trova la sua massima espressione, alimentato dal pretesto dell’omonimia e della parentela.99 Ne è una perfetta sintesi l’immagine della fenice, evocata da Vinci per rafforzare l’idea di continuità e di identità tra le due donne: Ma oltra di ciò ha questo mio ardire maggiore giustificatione ancora. Questi sonetti, Signora Illustrissima, de quali hò voluto honorare la mia musica sono santissimi parti del Eccellentissima Signora Vittoria Colonna Marchesa di Pescara di gloriosa et eterna memoria, rimasti per fidelissimi testimoni al mondo non men della pietà, e religione sua, che dell’altezza e felicità del suo mirabile ingegno, {et} appresso degni ministri, e compagni della sua bellissima, {et} immortal fama, poiche qual stella espero è rimasta; al mondo dopò l’occaso del suo chiarissimo sole. La onde à chi più conveniva che fussero presentati, che à V.S. Illustrissima, la quale quasi novella fenice è ritornata à rinovare il caro e glorioso nome, e le belle opre di cosi singolar donna, {et} à render al mondo quell’ornamento che ella già se ne portò in cielo, talche posso dire di farle più presto riconoscere quel ch’è suo, che di donarle cosa veruna del mio.100 La rappresentazione della dedicataria come una sorta di reincarnazione dell’autrice ne fa la legittima proprietaria dell’opera, giustificando così l’arditezza del dono, affermata a più riprese nel testo («Non è picciolo l’ardire»; «questo mio ardire»; «che maggiormente ardisca»; «come l’ardir mio, sia pur grande quanto si voglia»).101 In virtù della transitorietà attivata dalla metafora, inoltre, gli elogi rivolti alla poetessa si riflettono direttamente anche sulla destinataria della dedica. Si noti infine l’insistenza sulla fama legata al nome della poetessa («gloriosa et eterna memoria»; «bellissima, et immortal fama»; «glorioso nome»), che conferma la reputazione di ‘portatrice di gloria’ che si era andata costruendo attorno alla Colonna.102 Ma la dedica di Vinci a Vittoria Colonna junior permette di mettere a fuoco un’altra importante caratteristica che spesso si accompagna alla scelta di una dedicataria femminile, vale a dire la presenza di encomi collaterali, che coinvolgono, nominandoli all’interno dell’epistola, altri soggetti, spesso più importanti e influenti della dedicataria stessa, con cui in genere hanno un rapporto di parentela. Questi destinatari indiretti costituiscono la vera mira del dedicante, che indirizzando l’opera a una loro congiunta spera di ottenerne il favore. Tale meccanismo, attivato il più delle volte in sordina, è esplicitamente dichiarato nella dedica del Vinci che, dopo aver menzionato l’«obligo» che lo lega, in quanto siciliano, al padre della dedicataria, il Viceré di Sicilia Marc’Antonio Colonna, tra le motivazioni che lo hanno indotto a indirizzare a lei l’opera («l’altro rispetto si è l’universal obligo, che giuntam{en}te con ogni buon Siciliano devo havere all’Eccellentissimo Signor Duca suo Padre»), nella parte finale della dedica accompagna la preghiera di gradimento con una specifica richiesta di intercessione da parte di lei: Onde altro non mi resta, che supplicarla, come fo con ogni riverenza, à prenderla in grado, {et} riguardando il devoto affetto dell’animo mio, à considerare, che questo, ch’io vengo hora donarle, se ben rispetto à suoi infiniti meriti è poco, è però quel più, che gl’hò potuto dare e perciò à degnarmi del nome di suo svisceratissimo servitore, e come tale introdurmi à qualche parte ancora della buona gratia dell’Eccellentissimo Sig. suo Padre, al quale, {et} à V.S. Illustrissima fò humil riverenza, e desidero di cuore il colmo d’ogni felicità. La dedicataria, dunque, svolge una funzione che potremmo dire di mediazione, offrendo da un lato un facile pretesto alla dedica (data l’omonimia con la poetessa) e dall’altro un accessibile passepartout per entrare nelle grazie del Viceré. In questo senso, la scelta stessa di musicare i sonetti della celebre Marchesa di Pescara appare, come nota Gloria Patti, «politica prima che letteraria»:103 Vinci, insomma, si indirizza sull’opera della poetessa non tanto mosso da ragioni estetiche o di preferenza personale, ma piuttosto da necessità materiali e dal calcolo politico. È quindi la scelta della dedicataria a determinare quella dell’opera, la quale è composta in funzione della dedica, con un preciso obiettivo economico. Questo fatto è rappresentativo dello sbilanciamento che, in questi anni e per i secoli a venire, caratterizzerà il sistema dedicatorio, con il progressivo aumento del potere attribuito ai dedicatari a scapito di quello dei letterati che, totalmente sviliti e asserviti alle logiche del guadagno, fanno di tutto per ottenere protezione e favori, arrivando persino a comporre opere ad hoc.104 Di una simile strategia si può parlare anche nel caso della dedica precedentemente analizzata di Ruscelli a Isabella Gonzaga, nella quale si moltiplicano gli encomi collaterali ai potenti familiari della dedicataria, tra cui il cardinale Ercole Gonzaga e il marito di lei, Ferdinando Francesco d’Avalos, Marchese di Pescara e del Vasto: quando, il suo gran consorte, e i suoi degnissimi fratelli, che in erba tengono il mondo in tanta speranza, haveranno coi frutti del valor loro posta l’Italia nel maggior colmo di gloria, ch’ella sia stata da già tant’anni, {et} quando finalmente l’Illustrissimo {et} Reverendissimo Cardinale, suo zio […].105 Anche in questo caso, la dedicataria, oltre a fornire un facile movente alla dedica (essendo l’opera che ne è l’oggetto scritta da una sua precursora), offre nello stesso tempo la possibilità di stabilire un contatto e ingraziarsi personalità ben più importanti e difficili da avvicinare. La donna, sia in quanto produttrice sia in quanto destinataria di testi, aveva dunque un ruolo strategico molto importante nel complesso sistema della dedica venale. Concludendo questa ricognizione delle dediche cinquecentesche delle Rime di Vittoria Colonna, occorre infine menzionare quella anteposta da Lodovico Dolce a un’edizione da lui curata nel 1552 per i tipi di Gabriele Giolito, la quale, a giudicare dalle ristampe che seguirono, nel 1559 e nel 1560, ebbe un enorme successo.106 La dedica AL MAGNIFI / CO M. GIORGIO / GRADINICO,107 presente anche nelle successive ristampe di quest’edizione,108 si distingue dal filone fin qui analizzato. Essa rappresenta infatti, dopo quella della princeps, l’unica dedicatoria cinquecentesca delle Rime della Colonna a non essere indirizzata a una donna. Ed è interessante notare, a questo proposito, quanto la dimostrazione della convenienza della dedica appaia, in assenza del pretesto dell’affinità di costumi, status e sesso tra dedicataria e autrice, particolarmente artificiosa e approssimativa: trovandomi hora nelle mani uno esempio delle sue rime di somma perfettione, mi parve di publicarlo sotto il nome vostro: percioche essendo voi non meno ornato di belle lettere, che di grave giudicio, cosi nelle cose della eloquenza, come della Poesia; pare anco, che questi belli e gravi componimenti / a voi piu, che ad altro si convengano.109 Dolce, che come Ruscelli è un grande stratega della dedica, si sforza qui di rendere più convincente, attraverso l’esercizio retorico, la motivazione, tutto sommato banale e generica, dell’affinità tra le competenze e gli interessi letterari del dedicatario e il contenuto dell’opera, utilizzando gli stessi aggettivi (bello e grave) per descrivere sia le qualità dell’uno, sia quelle dell’altra. E di certo il fatto che il patrizio veneziano Giorgio Gradenigo fosse effettivamente (ma chi, nel Cinquecento, non lo era?) un grande amante delle lettere nonché lui stesso un modesto autore di versi,110 lo rendeva un destinatario conveniente all’opera, sebbene non certo il più conveniente, come vuole Dolce («a voi piu, che ad altro si convengano»). Vale comunque la pena di notare come, con il variare del sesso dei dedicatari, cambi anche sostanzialmente il tipo di motivazioni addotte a dimostrazione della congenialità del dono: piuttosto esterne all’opera o legate al carattere morale e religioso dei testi nel caso di dedicatarie donne, di ordine più propriamente letterario nel caso di destinatari uomini. Alla lode della qualità letteraria dell’opera Dolce, che come ricorda lui stesso nella dedica aveva intrattenuto stretti rapporti con la Colonna («Questa hav{en}do io osservata, mentre visse; e morta, rimanendo in me viva l’affettione»),111 riserva in effetti tutta la prima parte dell’epistola. Qui l’autore afferma con fermezza l’appartenenza della Colonna al Parnaso della poesia in volgare e le attribuisce il compito e la capacità di dimostrare il valore della letteratura femminile antica, ormai perduta e conosciuta soltanto tramite testimonianze indirette: GRANDE OBLIGO Dottiss. M. Giorgio Signor mio, dee havere la nostra età al bello e miracoloso ingegno della Eccellente Signora VITTORIA COLONNA marchesa gia Illustriss. di Pescara: i frutti maravigliosi del quale honorando lei al pari d’i migliori intelletti, che nel pregio della volgar Poesia sono ascesi alle prime laudi, hanno lasciato a noi un vivo testimonio della eccell{en}za di quelle poche antiche, che hora vivono nelle bocche delle g{en}ti assai piu per beneficio della fama, che de gl’inchiostri. Da queste parole risulta evidente come la poesia femminile in generale − e quella di Vittoria Colonna in particolare − venisse utilizzata all’interno del progetto culturale di valorizzazione della lingua volgare, particolarmente caro a Dolce e al suo collaboratore Gabriele Giolito, contribuendo ad affermarne la pari dignità rispetto alla latina. La presenza per ipogramma del cognome del dedicatario («GRANDE oblIGO») nelle parole iniziali della dedica, convenzionalmente scritte in caratteri maiuscoli, sembra infine quasi suggerire una lettura etimologica (“colui a cui si deve grande obligo”) che fa del nome stesso un indicatore della necessità della dedica: un’ulteriore strategia resa necessaria dalla consapevolezza della fragilità delle motivazioni addotte a sostegno della scelta del dedicatario.
7. Le dediche secentesche di Antonio Bulifon (1692-1693)
Già a partire dagli ultimi decenni del Cinquecento il successo editoriale delle Rime di Vittoria Colonna conobbe un brusco ridimensionamento, tanto che negli ultimi quarant’anni del secolo, oltre ai Quattordici sonetti spirituali musicati da Vinci,112 vide la luce soltanto un’altra edizione dei versi della poetessa. E si tratta, come nota Dionisotti, di un’edizione ‘provinciale’, stampata a Verona presso Girolamo Discepoli nel 1586.113 Dopodiché, complici probabilmente le tensioni religiose e i sospetti di eresia che coinvolsero la poetessa,114 la saturazione del mercato,115 e − in modo anche più determinante − il cambiamento del gusto e degli interessi letterari del pubblico, le Rime di Vittoria Colonna non vennero più stampate per circa un secolo. Il silenzio editoriale coincide infatti sia con il tramonto della stagione petrarchista, sia con l’estinguersi della straordinaria esperienza della letteratura femminile del Cinquecento.116
A recuperare, sul finire del XVII secolo, i frutti di tale esperienza, e quelli di Vittoria Colonna in particolare, fu un editore di origini francesi con sede a Napoli, Antonio Bulifon. A partire dal 1692 questi si diede infatti a raccogliere e ristampare tutte le opere di poetesse cinquecentesche che riusciva a trovare: nel gennaio del 1692 diede alle stampe le Rime (amorose) della Colonna − che aprirono significativamente la serie − e nell’agosto dello stesso anno quelle di Laura Terracina. Seguirono, nel 1693, le Rime Spirituali della Colonna e le Rime di Tullia d’Aragona. Sempre nello stesso anno vide la luce anche una raccolta mista con i versi di altre tre note poetesse cinquecentesche, Lucrezia Marinella, Veronica Gambara e Isabella di Morra, cui è affiancata anche la contemporanea Maria Selvaggia Borghini. Nel 1694 fu la volta di Laura Battiferri e, nel 1698, del Discorso della Signora Laura Terracina sopra il principio di tutti i Canti d’Orlando Furioso. Sempre all’interno di questo progetto di riscoperta della letteratura femminile cinquecentesca va infine annoverata la ripubblicazione, nel 1695, dell’importante raccolta di versi di sole donne compilata e pubblicata per la prima volta nel 1559 da Lodovico Domenichi.117 Nella dedicatoria di quest’ultima in particolare Bulifon delinea in modo chiaro i fini e le modalità di realizzazione del suo progetto: Ma come questa verità [del valore delle donne] sia indubitata da gli Eruditi, nondimeno da alcun tempo è cominciata appresso la comune a perder di credenza, siasi per l’invidia degli uomini mossi dallo sfrenato amore di loro stessi, ò pure perche col tempo si son fatte rare le copie delle dottissime opere da Queste mandate alla luce. Il perche avendo rivolto l’animo a ristorare le glorie di questo nobil sesso, da alcuni anni in quà mi son proposto di cacciarne di nuovo dal torchio quante me ne fussero venute per le mani; e ciò facendo stimai ragionevole il far uscir dalle stampe le opere di Donne illustri sotto gli auspici di quelle nobilissime Donne, che per ogni capo son celebri, ed eccellenti.118 Si tratta dunque di opere di donne famose ristampate e dedicate ad altre donne, nobili e famose a loro volta: una vera e propria delimitazione di genere dei destinatari, ma anche una sorta di auspicata opera di auto-protezione e tutela da parte del sesso femminile dei propri prodotti migliori. L’idea di utilizzare il genere sessuale per motivare la scelta del dedicatario, del resto, non è nuova, ma ha anzi, come si è visto, una lunga tradizione, che affonda le radici proprio nel Cinquecento, vale a dire all’origine di quella letteratura femminile in volgare che Bulifon riproponeva nelle sue edizioni. La scelta è ovviamente strategica: nel giro di qualche anno Bulifon stringeva così rapporti con alcune delle più importanti famiglie nobiliari di Napoli e dintorni e accedeva, lusingando le dame, ai favori e alle ricompense dei loro consorti o genitori.119 È all’interno di questo programma che andranno collocate anche le dediche anteposte alle due edizioni delle Rime di Vittoria Colonna, pubblicate, come si è detto, nel 1692 (le amorose) e nel 1693 (le spirituali). In entrambe − come del resto in tutte le edizioni curate da Bulifon − le dediche compaiono già sul frontespizio in forma abbreviata,120 e vengono successivamente sviluppate in un’epistola. Rispetto alle altre edizioni della serie di opere femminili cinquecentesche date alle stampe dal Bulifon, quelle delle Rime della Colonna si contraddistinguono però per la presenza di una terza, breve dedica scritta a mano sotto un’incisione con l’effigie della poetessa (Figg. 5-6).121 L’immagine, opera dell’incisore napoletano Francesco del Grado, riproduce infatti un ritratto di Sebastiano del Piombo allora erroneamente ritenuto una rappresentazione dal vero di Vittoria Colonna.122 Tanto il ritratto quanto la dedica che lo accompagna sono riprodotte in modo identico nelle due edizioni, salvo variare il nome della dedicataria: Maddalena Miroballo, Duchessa di Campomele, per l’edizione 1692 delle Rime; Laurenza Lacerda, Duchessa di Tagliacozzo, per quella delle Rime Spirituali pubblicata l’anno successivo. Le due dediche recitano rispettivamente: All’Ecc.ma Sig.ra D.a Maddalena Miroballo
Duchessa di Campo mele etc. /
All’Ecc.ma Sig.ra D. Laurenza Lacerda
Duchessa di Tagliacozzo etc.
A V.E. che è l’Idea della Virtù convienmi dedicare il ritratto della più celebre, e Virtuosa Dama, che vantar potuto havesse il suo Secolo, come ne fan testimonianza le di lei Opere, che insieme A.V.E. consagro. Antonio Bulifon Sebbene la dedica si riferisca nello stesso tempo sia al ritratto sia all’opera pubblicata, l’immagine completa di dedicatoria pare essere in certa misura indipendente dal contesto in cui è posta, venendo insomma a occupare un terreno intermedio tra il ritratto-antiporta secentesco e l’incisione autonoma con dedica, che si diffonde a partire dalla metà del Cinquecento.123 Almeno in una delle due edizioni, in effetti, l’immagine dedicata si trovava nella posizione dell’antiporta, solitamente riservata al ritratto del patrono: nelle Rime spirituali, dedicate a Laurenza Lacerda, essa occupa infatti la pagina opposta al frontespizio, rendendo così ancora più evidente la duplicazione della dedica. Più difficile è invece determinare l’esatta posizione occupata dal ritratto della poetessa nella precedente edizione intitolata a Maddalena Miroballo. Qui, oltre all’effigie della poetessa Vittoria Colonna, è infatti presente una seconda incisione raffigurante il ritratto della dedicataria stessa racchiuso in una cornice recante il suo nome e titolo, e completato in basso da una placca decorativa in stile roccaille con iscritto il motto «Parthenopem decorat forma, niveoque pudore / Allicit illa oculos, sed placet iste magis», nonché la data e la firma dell’artista, Teresa del Po (Fig. 7). Secondo quanto riportato da Alan Bullock, mentre il ritratto della patrona seguiva, su una nuova pagina, il frontespizio, quello della poetessa si trovava in quest’edizione addirittura posposto alla dedica epistolare.124 Questo ordine non corrisponde tuttavia a quello riscontrato in altre copie dell’edizione. In particolare, in quella conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (inv. MAGL.3.7.165/2), il ritratto della duchessa Miroballo precede il frontespizio, trovandosi dunque nella tipica posizione del ritratto-antiporta. Il ritratto con dedica di Vittoria Colonna, invece, è curiosamente inserito fra le poesie (tra le pagine 68 e 69). In un esemplare della Biblioteca Nazionale di Napoli, invece, lo spazio dell’antiporta è occupato dal ritratto della poetessa, come nell’edizione 1693. L’immagine però, anziché essere dedicata − come dovrebbe − alla stessa patrona dell’opera, è intitolata a Laurenza Lacerda, dedicataria invece come si è detto dell’edizione 1693 delle Rime spirituali (Fig. 8). È dunque probabile che questi ritratti siano stati separati dal contesto di origine e abbiano conosciuto una circolazione autonoma dall’opera, alla quale sono poi occasionalmente stati ricongiunti, sebbene con una collocazione differente da quella originaria, che risulta ardua da ricostruire. Tornando alla dedica collocata sotto la presunta immagine della poetessa Vittoria Colonna nelle due edizioni, risulta subito evidente la centralità del tema della convenienza e l’intenzione di creare un parallelismo tra la dedicataria e l’autrice dell’opera, nonché soggetto del ritratto. Tale parallelismo si fonda essenzialmente su un carattere morale ritenuto tipicamente femminile, la virtù, di cui entrambe le donne implicate sono considerate rappresentanti esemplari. Il tema è ripreso e sviluppato all’interno delle rispettive dediche epistolari, estremamente codificate e convenzionali, che seguono il frontespizio. In particolare, in quella indirizzata alla duchessa Maddalena Miroballo (1692) si legge: non trovandomi cosa, che maggiormente degna paruta mi sia de’ suoi meriti, hò voluto dedicarle le presenti Rime, e farle nuovamente sotto il chiarissimo nome suo alla publica / luce uscire. Per essere state parto d’una Donna, che fù lo splendore del secol suo, e nel mestiere della Poesia ad ogn’altra del proprio sesso superiore, non dovevansi, che ad una Dama della qualità di Vostra Ecc. in cui a’ nostri dì la Bellezza, la Virtù, e la Gratia superiore ad ogn’altra con gara indicibil tra loro contendon del principato.125 L’opera è dunque degna della dedicataria in quanto parto (la metafora è particolarmente adeguata in questo contesto) di una donna che al pari di lei rappresenta l’eccellenza del suo sesso. L’insistenza sullo splendore della Colonna è inoltre funzionale all’amplificazione della lode della dedicataria, il cui chiarissimo nome, essendo evocato a protezione di questa, appare tanto più importante. La strategia è ripetuta, in modo pressoché identico, anche nell’epistola dedicatoria delle Rime spirituali, indirizzata a Laurenza Lacerda (1693): Il perche avendo di nuovo dato alla luce le Rime Spirituali della Signora Vittoria Colonna, splendore, ed ornamento, del suo sesso feminile; hò giudicato esser convenevole, ad ella dedicarle, non solo perche a guisa di Luna illuminata da raggi solari del suo onorevolissimo nome, vie più risplendesse nel Mondo letterario […].126 Qui il sottile accento agonistico che sottende la metafora luminosa si fa ancora più evidente: Vittoria Colonna, già splendore del suo secolo, non è che un astro privo di luce propria in confronto alla luminosità solare della dedicataria, chiamata a prestarle un po’ dei suoi raggi. Oltre alla metafora solare, diffusissimo luogo topico della prassi dedicatoria cinque-secentesca,127 tra le due dediche del Bulifon si registrano altri punti di contatto, come risulta evidente fin dalla frase iniziale: L’Immortal Nome di V. Ecc. che con tanta sua lode risuona per l’Italia, e per tutta l’Europa, invita ogni cuore ad ergerle simolacri di divotione, sforza ogni lingua ad esprimerle sentimenti d’ossequio.128

LA fama che da per tutto rimbomba publicando le glorie di V. Ecc. conforme muove ogni animo ad ergerle simolacri di perpetua osservanza, ed ossequio;129
In entrambe le dediche, inoltre, Bulifon passa dalla lode della dedicataria a quella dei rispettivi consorti e delle rispettive casate, piene di famosi e valorosi personaggi: Testimonio di veduta n’è stata la Spagna, quando in compagnia / del Signor Reggente D. Trojano Miroballo, Duca di Campo Mele suo Consorte portatasi alla Corte di Madrid, fù veduta spiegar la pompa d’una Maestà presso che reale. E quì, se non temessi d’offendere l’impareggiabil modestia di V. Ecc. largo campo mi s’apreria alle lodi di quei famosi Personaggi della sua nobilissima Casa.130

Non entro qui a tessere encomi al suo nobilissimo Casato, che numera tanti Heroi registrati da’ Scrittori delle Spagne, d’onde ella ebbe i natali […] non vi si conveniva miglior compagnia, che quella dell’Eccellentissimo Signor Contestabile, col quale degno Imeneo v’annodaste, posciacchè dalle sue rarissime qualità, e gran nobiltà di famiglia vien forzato ogni cuore a dargli i tributi d’applauso, ed ammirarne le doti, dalle quali è adornato.131
Le due dediche si concludono infine con la consueta richiesta di gradimento, accompagnata dal topico abbassamento dell’opera donata e da un’identica formula di commiato: Supplico / dunque V. Ecc. à gradir con la solita sua generosità l’humil tributo, che le presento di questa Opera, tanto più degna di Lei, quanto io sono più indegno della gratia sua, mentre per fine le fò profondissima riverenza.132 Gradisca ella intanto questo, benche picciolo, dono della mia debolezza, mentre la priego a voler mirare con occhio piacevole non il dono, mà il desiderio, che hò / di darle segno della servitù, che le professo, e l’animo, che stà intento ad aspettare occasione colla quale gli venga alle mani cosa più degna di lei, a cui alla per fine fò profondissima riverenza.133 Queste evidenti ripetizioni rendono pienamente l’idea di un sistema ormai logoro, in cui le epistole di dedica sono prodotte in serie, assommando meccanicamente vuote e impersonali formule celebrative. Le edizioni delle Rime di Vittoria Colonna curate da Antonio Bulifon vanno considerate fondamentali per la successiva storia editoriale dell’opera, non soltanto perché hanno il merito di riportarla all’attenzione del pubblico, rinnovando anche la consuetudine della dedica al femminile a questa legata già nel Cinquecento, ma anche perché introducono due nuovi elementi che si riveleranno importanti nel seguito, vale a dire il ritratto della poetessa e, in apertura dell’opera, la sua Vita. Entrambi questi elementi sono indicativi di uno spostamento dell’interesse dall’opera al personaggio dell’autrice: una tendenza che, com’è noto, segnerà profondamente la ricezione critica delle Rime di Vittoria Colonna (ma anche quella di molte altre poetesse) fino al Novecento.134
8. Un’edizione di lusso e una dedica in versi: le Rime di Vittoria Colonna del 1760 e del 1840
Nel corso del Settecento le Rime di Vittoria Colonna conoscono un’unica edizione, pubblicata a Bergamo nel 1760 e priva di dedica.135 Questa subisce fortemente l’influenza delle edizioni secentesche del Bulifon, presentando anch’essa una lunga Vita della poetessa in apertura all’opera.136 Ma qui l’interesse per la vicenda biografica della Colonna si intensifica ulteriormente: oltre a triplicare l’estensione della Vita, infatti, la nuova edizione presenta anche un secondo peritesto titolato TESTIMONIANZE ONOREVOLI / DI VARJ ILLUSTRI AUTORI / Intorno alla Persona ed agli Scritti / DI VITTORIA COLONNA / MARCHESANA DI PESCARA.137 Nell’avviso ai lettori è inoltre annunciata la presenza di un ritratto della poetessa derivato da una medaglia, che però non pare infine essere stato inserito nel volume.138
Entrambi gli elementi legati all’interesse crescente per la figura storica e la personalità della poetessa − il ritratto e la Vita − si ritrovano nella successiva edizione delle Rime, pubblicata a Roma a quasi un secolo di distanza, nel 1840.139 Si tratta di un’edizione di lusso allestita da Pietro Ercole Visconti su commissione del ricco banchiere Alessandro Torlonia e dedicata alla sua sposa, Teresa Colonna. Dopo un lungo Discorso preliminare in cui vengono passate in rassegna le fonti manoscritte su cui si basa il testo e le precedenti edizioni a stampa delle Rime,140 si può infatti leggere una lunga e dettagliata Vita della poetessa,141 preceduta da un suo presunto ritratto derivato da un dipinto di Girolamo Muziano conservato alla Galleria Colonna (Figg. 9-10),142 e corredata da un’Appendice dei documenti inediti, dove sono raccolte le testimonianze documentarie su cui si fonda la ricostruzione biografica.143 Una pagina non numerata inserita all’interno della Vita presenta inoltre le riproduzioni di alcune medaglie recanti il ritratto di Vittoria Colonna e del consorte Francesco Ferrante d’Avalos (Fig. 11). L’allestimento di questa ricca edizione rientra all’interno di un vasto progetto di autorappresentazione messo in atto dal Principe Alessandro Torlonia in occasione dei festeggiamenti del suo matrimonio con Teresa Colonna, avvenuto appunto nel 1840. A partire da questo anno, infatti, il Torlonia intraprese una serie di iniziative culturali e artistiche volte a celebrare la grandezza della casata della nuova consorte. Molte di queste coinvolsero proprio la figura della poetessa Vittoria Colonna, per commemorare la memoria della quale vennero commissionate, oltre all’edizione delle sue Rime, anche varie opere artistiche.144 In quest’ottica andrà letta anche la dedica ALLA ECCELLENZA / DELLA SIGNORA PRINCIPESSA / DONNA TERESA TORLONIA / NATA / COLONNA, posta in apertura dell’edizione.145 Come appare evidente fin dal primo sguardo, non si tratta in questo caso della solita epistola dedicatoria, ma bensì di una dedica in versi, composta per l’esattezza da 245 endecasillabi sciolti, e divisa per argomento in otto partizioni. La prima è dedicata alla lode della nobile e antica casata dei colonnesi (vv. 1-45),146 e culmina con la celebrazione della poetessa Vittoria Colonna (vv. 29-45), definita «decima delle Muse» (v. 36). Nella seconda partizione ha luogo l’atto di dedica, in cui è specificata l’occasione, vale a dire le nozze tra la dedicataria e Alessandro Torlonia:
  Di quell’alma gentile, onor de tuoi,
Onor d’Italia, i versi, ond’è sì chiaro
Suo maritale affetto, ecco a te reco,
Donzella illustre; or che per te si compie
Alto destino, e sei tenacemente
Stretta d’un laccio avventuroso e caro
All’eccelso signor, cui tante laudi
D’animo, di fortuna, di persona,
Levan sublime
   (vv. 46-54).
L’occasione, oltre che l’appartenenza alla stessa casata, servono qui a motivare e a illustrare la convenienza della dedica, che riguarda appunto i versi amorosi (ma anche quelli spirituali) che la celebre colonnese compose per il marito. Si ripete dunque, di nuovo, la formula che vede l’intitolazione delle Rime di Vittoria a una nobildonna che intrattiene con lei legami dinastici, e che è così designata come sua ideale erede. Gli ultimi versi della seconda partizione sono dedicati alla celebrazione del futuro marito della dedicataria, alla cui autorappresentazione come fine cultore delle arti è finalizzato l’intero progetto editoriale, e che qui è appunto definito «quel genio all’arti belle amico, / Che sostegno or migliore altro non hanno!» (vv. 59-60).147 Questo fatto appare evidente anche nel seguito della dedica, interamente consacrato all’elencazione e descrizione ecfrastica delle molteplici e meravigliose dimore da lui possedute e riccamente decorate con ogni forma d’arte (vv. 61-217). Nell’ultima partizione Visconti formula quella che potremmo definire una richiesta di gradimento dell’opera dedicata, facendo riferimento ad alcuni contenuti specifici dell’edizione, in particolare alle immagini che vi sono raccolte:
  Vivi, donzella eccelsa, e sia talvolta
Caro a’ tuoi sguardi oggetto ed al pensiero
Questo, onde si rinverde e si rinfiora
Della tua Colonnese il nome e il vanto,
Volume illustre: qui l’immago al fido
Pennel dovuta ed al percosso bronzo,
Che la sua etade del suo volto impresse
Salutandola diva, avrai presente.
[…]
Tu, giovinetta, al santo carme e agli alti
Sensi dischiudi il petto, e in esso accogli
Di sì fidata scorta e serba i detti:
E sempre, dove di Fernando leggi,
Sempre Alessandro ti presenti il core
   (vv. 221-28; 240-45).148
In questi ultimi versi si delinea un rapporto intimo («tua Colonnese») e quasi sacrale tra dedicataria e autrice: attraverso la contemplazione dell’immago e l’auscultazione dei versi della poetessa, la dedicataria è chiamata a seguire le orme della sua celebre antenata e quasi a identificarsi con lei, offrendo lo stesso amore maritale al suo consorte. Queste affermazioni, mi pare, rappresentano il culmine del percorso dedicatorio indagato nel presente saggio, rivelando a pieno quanto l’opera di Vittoria Colonna abbia continuato, nei secoli, a essere considerata come un prodotto letterario destinato in primis al pubblico femminile, o per dirlo con le parole di Giovanni Antonio Clario, «conveniente à donne».149

M. M. S. B.



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Note

1 C. Ranieri, Vittoria Colonna: dediche, libri e manoscritti, in «Critica letteraria», xlvi, 1985, 1, pp. 250-70; M. Scala, Encomi e dediche nelle prime relazioni culturali di Vittoria Colonna, in «Periodico della Società Storica Comense», lvi, 1990, pp. 97-112. Entrambi questi interventi trattano le dediche all’interno di un discorso più ampio, finalizzato nel primo caso a ricostruire la biblioteca della Colonna e quindi la sua cultura letteraria, religiosa e filosofica, nel secondo a delineare l’ambiente culturale entro cui si formò la poetessa nella sua giovinezza. torna su
2 Su questo punto si veda C. Dionisotti, Appunti sul Bembo e su Vittoria Colonna, in Miscellanea Augusto Campana, Padova, Antenore, 1981, pp. 257-86, in partic. p. 276, e V. Cox, Women’s writing in Italy 1400-1650, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2008, p. 75. torna su
3 La citazione proviene da una famosa lettera di Pietro Bembo a Carlo Gualteruzzi, datata 8 novembre 1538, dove questi informa l’amico di aver ricevuto notizia dalla poetessa della pubblicazione non autorizzata delle Rime, mostrandosi sinceramente sorpreso dalla sua reazione all’evento: «Del che S.S. dolcemente mi scrisse non solo non dolendosene, ma mostrando d’averlo meritato con curar le vane cose» (cfr. P. Bembo, Lettere, edizione critica a cura di E. Travi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1993, vol. iv, 1967, pp. 140-42, la cit. è a p. 141). Questo passo descrive mirabilmente l’atteggiamento negligente e ambiguo della poetessa nei confronti della propria opera. torna su
4 Cfr. Ranieri, Vittoria Colonna cit. e Scala, Encomi e dediche cit. torna su
5 Su questa ediziona naufragata si veda Dionisotti, Appunti cit., pp. 275-77. torna su
6 A questo proposito è significativo che neanche la raccolta manoscritta confezionata, questa si, per volere dell’autrice come dono a Michelangelo (Vat. lat. 11539), presenti una dedica. Sul «sistema della dedica» si veda M. Paoli, La dedica. Storia di una strategia editoriale, Lucca, Pacini Fazzi, 2009, pp. 11-33. torna su
7 Tutte le dediche citate nell’articolo verranno trascritte e immesse da chi scrive nella banca dati on line AIDI, consultabile all’indirizzo www.margini.unibas.ch. torna su
8 Per alcune notizie sul Pirogallo, o Pirogalli, si veda S. Albonico, Il ruginoso stile. Poeti e poesia in volgare a Milano nella prima metà del Cinquecento, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 288. torna su
9 RIME DE LA DIVINA / VITTORIA COLONNA / MARCHESA DI / PESCARA. / Novamente St{am}pate Con Privilegio. [Parma, Antonio Viotti, 1538], c. A2r/v. Utilizzo qui e nel seguito la trascrizione di L. Nocito, in AIDI cit., http://www.margini.unibas.ch/aidi/dokAnzeige.do. Nel seguito i frontespizi e le dediche sono trascritti dall’edizione originale, riportandone più fedelmente possibile la veste grafica, e mantenendo inalterate punteggiatura, accentazione e maiuscole. Eventuali abbreviazioni sono sciolte tra parentesi graffe. Si normalizza la grafia u per v e ß per ss, secondo le norme di trascrizione di AIDI, e si correggono gli evidenti errori di stampa. Per le dediche l’interruzione di pagina verrà segnalata con una barra (/).torna su
10 Ivi, c. A2r.torna su
11 Ivi, c. A2v.torna su
12 Bembo, Lettere cit., p. 141. Per questa lettera cfr. Dionisotti, Appunti cit., pp. 275-76. torna su
13 Dionisotti nota come dedicante e dedicatario di quest’epistola siano «Ignoti l’uno e, benché dottissimo, l’altro» (ivi, p. 275). Per l’irreperibilità di notizie su Alessandro Vercelli si veda F. Carboni, La prima raccolta lirica datata di Vittoria Colonna, in «Aevum», lxxvi, 2002, 3, pp. 681-707, in partic. p. 683, nota 10: «Non sono molti i Vercelli e nessuno nel XVI secolo ha nome Alessandro». Questa strana circostanza potrebbe forse indicare l’uso di uno pseudonimo. torna su
14 Cfr. RIME DE LA DIVINA / VITTORIA COLONNA [1538] cit., c. A2r-v.torna su
15 Ibid.torna su
16 Sulle caratteristiche della lettera dedicatoria ‘classica’ o ‘di antico regime’ si vedano gli studi pionieristici applicati al contesto francese di G. Genette, Seuils, Paris, Éd. du Seuil, 1987, pp. 110-33, e W. Leiner, Der Widmungsbrief in der französischen Literatur (1580-1715), Heidelberg, Carl Winter, 1965. Per quanto riguarda l’Italia si vedano gli importanti contributi di M. A. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des Lumières et invention romantique, Actes du Colloque de Genève, 24-25 novembre 2000, a cura di G. Bardazzi e A. Grosrichard, Genève, Droz, 2003, pp. 161-92 (riproposto in «Margini», 2, 2008, Biblioteca; ora in Ead., Invenzione del moderno. Forme, generi e strutture da Parini a Foscolo, cap. 3: Metamorfosi di un genere: la dedica da Foscolo ai romantici, Roma, Carocci, 2017, pp. 41-58), e Ead., I margini dell’opera nei libri di poesia. Strategie e convenzioni dedicatorie nel Petrarchismo italiano, in «Neohelicon», xxxvii, 2010, pp. 155-80 (ora Ead., Strategie di offerta e convenzioni dedicatorie nei libri di poesia del Cinquecento, in Ead., Inchiesta sul testo. Esercizi di interpretazione da Dante a Marino, Roma, Carocci, 2018, pp. 127-54); nonché il volume di Paoli, La dedica cit. torna su
17 Cfr. RIME DE LA DIVINA / VITTORIA COLONNA [1538] cit., c. A2r; mio il corsivo. torna su
18 Cfr. Paoli, La dedica cit., p. 68. torna su
19 Cfr. RIME DE LA DIVINA / VITTORIA COLONNA [1538] cit., c. A2v; mio il corsivo. torna su
20 Cfr. Nocito, Scheda analitica, in AIDI cit., http://www.margini.unibas.ch/aidi/dokAnzeige.do?action=pdfKomplettAnzeigen&dokId=243. Si noti tuttavia che sono presenti − anche se ben dissimulati − alcuni luoghi topici della dedica venale, come l’esibizione dell’atto di donazione («hor vi mando», «mandandovegli») e la richiesta di gradimento («A la cui buona gratia mi ricomando»). Per questi luoghi si veda Paoli, La dedica cit., pp. 50-59. torna su
21 Cfr. RIME DE LA DIVINA / VITTORIA COLONNA [1538] cit., c. A2r.torna su
22 Cfr. in particolare la dedica di Girolamo Ruscelli (infra, parte 5). torna su
23 Per la descrizione di queste edizioni cfr. A. Bullock, Nota sul testo, in V. Colonna, Rime, a cura di A. Bullock, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 259-60. Per un’analisi dei contesti di stampa delle stesse si veda T. Crivelli, The print tradition of Vittoria Colonna’s Rime, in A Companion to Vittoria Colonna, a cura di A. Brundin, T. Crivelli, M.S. Sapegno, Leiden-Boston, Brill, 2016, pp. 69-139, in partic. pp. 89-100. torna su
24 In realtà soltanto dieci dei sedici sonetti spirituali annunciati sul frontespizio erano inediti, mentre i sei restanti erano già presenti nella princeps (cfr. Bullock, Nota cit., p. 260). torna su
25 Correggo l’evidente errore «Nuovavamente». torna su
26 Dionisotti, Appunti cit., p. 281. torna su
27 Di «important turning point in the tradition of the Rime» parla anche Tatiana Crivelli (Crivelli, The print tradition cit., p. 102). torna su
28 I frontespizi, come nota Adriana Chemello, sono un chiaro indicatore della nuova tendenza a privilegiare la produzione spirituale della Colonna (cfr. A. Chemello, Vittoria Colonna, in Liriche del Cinquecento, a cura di M. Farnetti e L. Fortini, Guidonia Montecelio, Iacobelli, 2014, pp. 63-128, in partic. p. 79). torna su
29 RIME DE LA DIVA / VETTORIA COLONNA DE / pescara inclita Marchesana / NOVAMENTE AGGIUNTOVI / XXIIII. Sonetti spirituali, {et} le sue stanze, / {et} uno triompho de la croce di Chri / sto non piu stampato con / la sua tavola. / IN VENETIA [Comin da Trino] MDXXXX. Per la descrizione dell’edizione cfr. Bullock, Nota cit., pp. 260-61. torna su
30 Cfr. L. Severi, “Sitibondo nel stampar de’ libri”. Niccolò Zoppino tra libro volgare, letteratura cortigiana e questione della lingua, Roma, Vecchiarelli, 2009, p. 343. Si veda a questo proposito anche la dedica delle Rime Spirituali di Giovanni Antonio Clario (cfr. infra, parte 4).torna su
31 Per la descrizione dettagliata di queste edizioni si rinvia a Bullock, Nota cit., pp. 261-62, e Crivelli, The print tradition cit., pp. 105-10 (con le relative immagini). torna su
32 Ivi, p. 113. torna su
33 Su quest’importante e innovativo commento si vedano in particolare i contributi di G. Moro, Le commentaire de Rinaldo Corso sur les “Rime” de Vittoria Colonna: une encyclopédie pour “les très nobles Dames”, in Les commentaires et la naissance de la critique littéraire. France/Italie (XIVe-XVIe siècles), Actes du Colloque international sur le commentaire, Paris, mai 1988, Textes réunis et présentés par G. Mathieu-Castellani et M. Plaisance, Paris, Aux Amateurs de Livres, 1990, pp. 195-202, e M. Bianco, Rinaldo Corso e il “Canzoniere” di Vittoria Colonna, in «Italique», i, 1998, pp. 37-45. torna su
34 La prima edizione, a lungo sconosciuta, è stata recentemente riscoperta da Sarah Christopher Faggioli (S.C. Faggioli, Di un’edizione del 1542 della “Dichiaratione” di Rinaldo Corso alle Rime spirituali di Vittoria Colonna, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», cxci, 2014, pp. 200-10). Sfortunatamente l’unico esemplare noto di quest’edizione (Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici) è mutilo delle ultime pagine, e dunque privo del colophon con l’indicazione del luogo di stampa e dell’editore. Per un’ipotesi cfr. ivi, pp. 205-10. Per le differenze tra le due edizioni cfr. ivi, pp. 203-5. torna su
35 Si applica qui la terminologia sviluppata da Genette, secondo cui il ‘peritesto’ è quella parte del paratesto che «a nécessairement un emplacement, que l’on peut situer par rapport à celui du texte lui même: autour du texte, dans l’espace du même volume, comme les titres ou la préface, et parfois inséré dans les interstices du texte, comme les titres de chapitres ou certaines notes» (Genette, Seuils cit. p. 10). torna su
36 Si riporta l’ordine dei peritesti secondo l’edizione 1542, nella quale occupano due carte non numerate che seguono il frontespizio. Secondo quanto riportato da Faggioli, nell’edizione 1543 gli ultimi due (il Nuovo Proemio e la dedica a Veronica Gambara) si trovano curiosamente posti alla fine del volume (cfr. Faggioli, Di un’edizione cit., pp. 203-4). Occorre tuttavia segnalare che l’esemplare da me consultato (Biblioteca Gaudenziana di Novara) presenta i tre testi nella stessa posizione e ordine in cui si trovano nell’edizione 1542, sebbene in calce alla carta recante il primo proemio si leggano le prime due parole cassate dell’incipit della raccolta («Con la»), a indicare che l’ordine originario prevedeva probabilmente l’inizio dell’opera subito dopo il detto proemio. Bullock, nella sua descrizione dell’edizione 1543 (Bologna, Faelli), registra i peritesti come antecedenti l’opera, ma riporta un ordine diverso rispetto all’esemplare novarese, con l’anticipazione della dedica alla Gambara rispetto al Nuovo Proemio (cfr. Bullock, Nota cit., p. 262). Colgo l’occasione per ringraziare i bibliotecari della Biblioteca Gaudenziana di Novara, Andrea Bedina e Christian Tarabbia, per aver messo a mia disposizione una copia digitale dei peritesti inclusi nell’edizione 1543 della Dichiaratione.torna su
37 R. Corso, Alle Amorose Donne Proemio di Rinaldo Corso, in DICHIARA / TIONE FATTA SOPRA / LA SECONDA PARTE / Delle Rime della Divina / VITTORIA Colon / na Marchesa di / Pescara. [ecc.], M.D.XLII. [s.l.]. torna su
38 Ibid., così le precedenti. torna su
39 Per questi luoghi topici cfr. Terzoli, I testi di dedica cit., pp. 166-71, e Paoli, La dedica cit., pp. 49-105. torna su
40 Quella dell’unicità e identificabilità del dedicatario è indicata da Paoli come la seconda regola fondamentale per la corretta attivazione del sistema dedicatorio (cfr. ivi, p. 24). torna su
41 R. Corso, Nuovo Proemio, in Dichiaratione [1542] cit. torna su
42 Ibid.torna su
43 Ibid.; mio il corsivo. torna su
44 I ‘proemi’ del Corso non corrispondono infatti per nulla alla definizione che Genette dà di questi peritesti «consistant en un discours produit à propos du texte qui suit ou qui précède» (Genette, Seuils cit., pp. 150-51, la cit. è a p. 150). La denominazione potrebbe tuttavia avere ragioni letterarie: un diretto precedente si può infatti riconoscere nel Proemio del Decameron di Boccaccio, dove oltre a spiegare le ragioni psicologiche e morali che presiedono alla realizzazione dell’opera, l’autore individua anche, proprio come nei proemi del Corso, uno specifico gruppo di destinatari, che sono significativamente gli stessi della Dichiaratione, vale a dire le donne. torna su
45 R. Corso, Dedica, in Dichiaratione [1542] cit. torna su
46 La prima cit. è tratta da Corso, Nuovo Proemio cit.; le due successive da Id., Dedica cit.; mio il corsivo. torna su
47 «Sans perdre le sens des proportions, nous croyons pouvoir inscrire cette œuvre dans l’ensemble de cette littérature du XVIe siècle que caractérise au premier chef le fait d’être destinée à un publique féminin explicitement invoqué, et souvent représenté comme composante essentielle de l’action, ou tout au moins du cadre de l’œuvre» (Moro, Le commentaire cit., pp. 196-97, la cit. è a p. 197). Si ricordi che il Corso è stato anche autore di una grammatica (Fondamenti del parlar thoscano, 1549), dedicata a sua volta a una donna (Hiparca alias Lucrezia Lombardi), che era probabilmente tra le stesse Amorose donne della corte di Correggio cui si rivolgevano i Proemi della Dichiaratione, e che divenne poi sua moglie. Per questa dedica si veda in questo numero il saggio di A.M. De Cesare, Le dediche nelle grammatiche volgari stampate nel Cinquecento. Riflessioni in prospettiva storico-linguistica (http://www.margini.unibas.ch/web_prova/rivista/numero_13/saggi/articolo3/decesare.html). torna su
48 Cfr. Moro, Le commentaire cit., pp. 199-200. torna su
49 Come nota Crivelli, anche se il fatto di proporre la Colonna come modello letterario femminile non è una novità, l’edizione del Corso costituisce certo un passo importante in questo senso (cfr. Crivelli, The print tradition cit., pp. 113-14). torna su
50 Cfr. supra, parte 2.torna su
51 Si tratta della terza regola del sistema della dedica venale secondo lo studio di Paoli, La dedica cit., pp. 24-25: «La scelta del dedicatario deve rispondere a criteri di opportunità e convenienza e deve essere motivata nel testo della dedica» (ivi, p. 24). torna su
52 «Twin ‘canonization’» (cfr. Cox, Women’s writing cit., p. 68). Dopo la pubblicazione a stampa di due loro sonetti di corrispondenza nelle Rime del Bembo (1535), infatti, le due poetesse continuarono a venire associate in numerosi altri testi, soprattutto sulla base dell’affinità tra le loro vicende personali e il loro status sociale (ibid.).torna su
53 Cfr. supra, parte 2.torna su
54 I due sonetti di proposta della Gambara sono Mentre da vaghi e giovenil penseri e O de la nostra etade unica gloria (cfr. V. Gambara, Le Rime, a cura di A. Bullock, Firenze, Leo S. Olschki, 1995, pp. 102-3, n. 41-42); le risposte della Colonna i sonetti Lasciar non posso i miei saldi pensieri (A1:65), e Di novo il Cielo de l’antica gloria (E13) (cfr. Colonna, Rime cit., pp. 35, 209). torna su
55 Cox, Women’s writing cit., pp. 67-68. torna su
56 Bisogna comunque segnalare che il ricorso a presunte corrispondenze tra dedicatario e autore dell’opera dedicata per dimostrare la convenienza e fondatezza della dedica non è infrequente quando a dedicare sono gli editori e i traduttori (cfr. Paoli, La dedica cit., pp. 61-63). torna su
57 LE RIME SPIRITUALI / DELLA ILLUSTRISSIMA / SIGNORA VITTORIA / COLONNA MARCHE / SANA DI PESCARA. / NON PIU STAMPATE DA POCHISSIME / INFUORI, LE QUALI ALTROVE COR / ROTTE, ET QUI CORRETTE / SI LEGGONO. / Con gratia {et} privilegio, / IN VINEGIA; / APPRESSO VINCENZO VALGRISI: / M D XLVI. torna su
58 Dionisotti, Appunti cit., p. 276. L’edizione Valgrisi 1546 presenta in effetti ben 145 sonetti spirituali inediti (Cfr. Bullock, Nota cit., pp. 263-64). torna su
59 Cfr. supra, nota 57. torna su
60 Questo poligrafo e poeta, originario di Eboli, in Campania, trasferitosi a Venezia nel 1544, fu a lungo un collaboratore fisso di Vincenzo Valgrisi e utilizzò nel corso della sua carriera editoriale ben 24 pseudonimi diversi (cfr. A. Nuovo e C. Coppens, I Giolito e la stampa nell’Italia del XVI secolo, Genève, Librairie Droz, 2005, p. 102, nota 148). La copia conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli, presenta (contrariamente alle altre) il nome del Clario nell’intestazione della dedica (cfr. https://books.google.it/books?id=WwSGxGFLb7kC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false). torna su
61 Espediente adottato, per esempio, nella dedica della Dichiaratione di Rinaldo Corso (cfr. supra, parte 3).torna su
62 G. A. Clario, Dedica, in LE RIME / SPIRITUALI DELLA / ILLUSTRISSIMA SIGNORA / VITTORIA COLONNA / Marchesana di Pescara [etc.], IN VINEGIA, / ALLA BOTTEGA D’ERASMO; APPRESSO / VINCENZO VALGRISI: M.D.XLVIII, pp. 3-5, la cit. è a p. 3. Casi analoghi di riferimento esplicito alle norme della prassi dedicatoria all’interno dei testi di dedica al fine di mettere in luce la posizione diversa dell’autore si ritrovano nella dedica del Principe di Machiavelli e, a secoli di distanza, in quella del trattato Della Tirannide di Alfieri, che esordiscono tra l’altro entrambe con lo stesso verbo (solere) con cui inizia anche la dedica del Clario (nel caso di Machiavelli, il verbo è addirittura declinato allo stesso modo: «Sogliono»); cfr. Terzoli, I testi di dedica cit., pp. 172-73. torna su
63 Clario, Dedica cit., p. 3. torna su
64 Ivi, pp. 3-4. torna su
65 La frequentazione di circoli e personaggi influenzati dalla dottrina di Juan de Valdès da parte della Colonna è cosa nota, sebbene non si abbiano prove di un contatto diretto tra i due (cfr. C. Ranieri, Vittoria Colonna e la Riforma: alcune osservazioni critiche, in «Studi latini e italiani», v, 1992, pp. 87-96, in partic. p. 91; G. Patrizi, Colonna, Vittoria, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982, vol. 27, pp. 448-57, in partic. p. 449). Per quanto riguarda Isabella Villamarina, i contatti del marito Ferrante Sanseverino, Principe di Salerno, con il predicatore spagnolo sono accertati, e pare che lei stessa fosse un’attenta «lettrice dei testi di Vadès» (cfr. L. Addante, Sanseverino, Ferrante, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017, vol. 90, pp. 286-89, la cit. è a p. 288). torna su
66 J. De Valdés, ALPHABETO / CHRISTIANO. / CHE INSEGNA LA VERA / VIA D’ACQUISTARE / IL LUME DELLO SPI / RITO SANTO. / Stampata con Gratia et Privilegio. / L’Anno M.D.XLVI. [s.l.]. Il termine «istromento», utilizzato da Clario nella dedica, sembra adatto a designare un’opera che si propone come una sorta di manuale (un Alphabeto appunto) per diventare buoni cristiani (cfr. ivi, c. Aiiv: «di questo Dialogo si serva, come si servono della grammatica i fanciulli, che imparano la lingua latina, in maniera che lo pigli, come uno alphabeto christiano, nel quale si imparano i principii della perfettione christiana»). torna su
67 Sulla vicinanza del Clario alle idee della Riforma cfr. A. Ricciardi, Clario, Giovanni Antonio, in Dizionario dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, con la collaborazione di V. Lavenia e J. Tedeschi, Pisa, Edizioni della Normale, 2010, vol. i, pp. 336-37. torna su
68 Ivi, p. 336. torna su
69 Cfr. Patrizi, Colonna, Vittoria cit., p. 453. torna su
70 Sono molti i nomi di personaggi che furono in contatto con entrambe le nobildonne, dal cardinale Pompeo Colonna, a Bernardo Tasso, stipendiato presso i Sanseverino, fino allo stesso imperatore Carlo V. Per una ricostruzione della vita e degli incontri della Principessa di Salerno cfr. L. Cosentini, Una dama napoletana del XVI secolo. Isabella Villamarina, Principessa di Salerno, Trani, Vecchi, 1896. La famiglia Sanseverino, del resto, era imparentata con i D’Avalos, da cui il marito della Colonna discendeva (in particolare Innico II d’Avalos, fratello del padre dell’amato Ferrante, sposò Laura Sanseverino). torna su
71 Clario, Dedica cit., p. 4. torna su
72 Ivi, p. 5. Come nota Paoli, La dedica cit., p. 96, «l’esigenza, tutta rinascimentale, di far emergere a pieno titolo il valore del dono e di ogni altro intervento autoriale […] avrebbe avuto limitato albergo nella tradizione dedicatoria italiana». torna su
73 Cfr. supra, parte 3.torna su
74 G. Ruscelli, Dedica, in TUTTE LE RIME / DELLA ILLUSTRISS. ET / ECCELLENTISS. SIGNORA VIT / TORIA COLONNA, MARCHE / SANA DI PESCARA. / CON L’ESPOSITIONE DEL SE / gnor Rinaldo corso, nuovamente man / date in luce da Girolamo Ruscelli. [etc.] / Con Privilegii. / IN VENETIA, PER GIOVAN BATTISTA / ET Melchior Sessa Fratelli [1558], cc. *2r-2*3v, la cit. è alle cc. 2*3r-v. Per la trascrizione si veda Id., Dediche e avvisi ai lettori, a cura di A. Iacono e P. Marini, Manziana, Vecchiarelli, 2011, pp. 183-92, la cit. è a p. 192; mio il corsivo. torna su
75 Paoli, La dedica cit., p. 37. torna su
76 Ruscelli, Dedica cit., cc. 2*1r-v.torna su
77 Ivi, cc. 2*1v-2*2v; cfr. anche Id., Dediche cit., pp. 190-92. Miei i corsivi. torna su
78 ORLANDO FURIOSO. / DI M. LODOVICO ARIOSTO, / TUTTO RICORRETTO, / ET DI NUOVE FIGURE / ADORNATO. [etc.] / IN VENETIA, / Appresso Vincenzo Valgrisi, nella bottega d’Erasmo. / MDLVI, che presenta a sua volta una dedica del Ruscelli a Alfonso d’Este. torna su
79 L. Ariosto, Orlando furioso, commento di E. Bigi, a cura di C. Zampese, Milano, BUR, 2013, p. 1190; mio il corsivo. Nel commento di Antonella Iacono e Paolo Marini alla dedicatoria del Ruscelli si rinvia ad altri versi del poema ariostesco (Or. Fur. xxxvii 18 7-8, «tanto maggior, quanto è più assai bell’opra, / che por sotterra un uom, trarlo di sopra», ivi, p. 1191), che mi paiono tuttavia molto meno significativi (cfr. Ruscelli, Dediche cit., p. 191, nota 9). torna su
80 Ruscelli, Dedica cit., c. 2*1v; cfr. anche Id., Dediche cit., p. 190. torna su
81 Ariosto, Orlando furioso cit., pp. 1189-90. Mio il corsivo. torna su
82 F. Petrarca, Triumphi, a cura di M. Ariani, Milano, Mursia, 1988, p. 287. La ripresa è segnalata da E. Bigi nel suo commento a Ariosto, Orlando Furioso cit., p. 1191. Lo stesso verso (TF i 9) è citato letteralmente nel canto vii (Or. fur. vii 41 7). Cfr. ivi, p. 261. torna su
83 Ruscelli, Dedica cit., c. 2*2v; Id., Dediche cit., p. 191. torna su
84 Ibid.torna su
85 Id., Dedica cit., cc. 2*1v-2*2r, e Id., Dediche cit., p. 191. torna su
86 Id., Dedica cit., c. 2*2r, e Id., Dediche cit., p. 191. torna su
87 Id., Dedica cit., c. 2*2v, così la precedente. Cfr. anche Id., Dediche cit., pp. 191-92. torna su
88 Il fatto che sia il nome del dedicatario a garantire e accrescere la fama dell’opera e del dedicante, e non il contrario, rappresenta un topos frequente nella prassi dedicatoria cinque-secentesca (cfr. Paoli, La dedica cit., pp. 35-42). Questo pretesto si trova in molte dediche del Ruscelli, come, ad esempio in quella delle Rime e prose del sig. Antonio Minturno (Venezia, Rampanzetto, 1559) a Girolamo Pignatelli (cfr. Ruscelli, Dediche cit., pp. 229-34, in partic. p. 234). torna su
89 Cfr. supra, parte 3.torna su
90 Come nota Paolo Marini, Ruscelli dedica spesso «estesissime porzioni del discorso prefativo che caratterizza le epistole dedicatorie […] a rimarcare la spiccata onestà dell’editore nell’esercizio della sua professione», dimostrandosi così particolarmente sensibile al tema e cosciente dell’«intima debolezza di ogni pur valido argomento a difesa dell’appropriazione, in fin dei conti indebita, di un diritto proprio dell’autore quale è ab origine quello della dedica» (P. Marini, Introduzione, in Ruscelli, Dediche cit., pp. i-xlv, la cit. è a p. xxv).torna su
91 Cfr. T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso e scritti minori, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza, 1948, vol. iii, Cent. iii, Ragg. liv, pp. 158-59: «Dui giorni sono fu finalmente spedita la causa dalla quarantia criminale di Geronimo Ruscelli, stato prigione e processato: per avere levate epistole dedicatorie alle opere altrui e poste le sue, facendo mercanzia vilissima delle buone lettere» (ivi, p. 158). Mentre le prime due centurie dei Ragguagli furono pubblicate nel 1612-1613, della terza vennero dati alla luce postumi (nel 1614, circa un anno dopo la morte dell’autore) solo una trentina di ragguagli. Il restante della terza centuria (tra cui il ragguaglio che riguarda il Ruscelli) è rimasto inedito fino all’edizione critica di Firpo (cfr. Firpo, Nota al testo, ivi, pp. 552-59, e Id., La terza “Centuria” inedita dei “Ragguagli di Parnaso” di T. Boccalini, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia», s. ii, vol. xii, n. 4, 1943, pp. 178-201). torna su
92 Ruscelli, Dedica cit., cc. *4v-*5r, e Id., Dediche cit., p. 186; mio il corsivo. torna su
93 Cfr. Marini, Introduzione cit. torna su
94 Ruscelli, Dedica cit., c. *4v, e Id., Dediche cit., p. 186. torna su
95 Id., Avviso ai lettori, in Id. TUTTE LE RIME cit., cc. 2*4r-v, la cit. è alla c. 2*4r. Cfr. anche Id., Dediche cit., pp. 193-94, la cit. è alla p. 193. torna su
96 QUATTORDECI SONETTI / SPIRITUALI / DELLA ILLUSTRISSIMA ET ECCELLENTISSIMA / DIVINA VITTORIA COLONNA D’AVALOS / DE AQUINO MARCHESA DI PESCARA. / Messi in canto da Pietro Vinci Siciliano della Città di Nicosia Maestro / di Capella in S. Maria Maggiore di Bergomo à cinque voci. / Novamente posti in luce. / IN VINEGGIA. / APPRESSO L’HEREDE DI GIROLAMO SCOTTO / MDLXXX. La dedica si trova alle cc. Av-I2, la cit. è alla c. Av. L’espistola è riprodotta in facsimile in P. Vinci - V. Colonna, Quattordeci sonetti spirituali della Illustrissima et Eccellentissima divina Vittoria Colonna messi in canto a cinque voci (1580), a cura di G. Patti, Firenze, Leo Olschki Editore, 2002, pp. xxvi-xxvii, tavv. iv-v.torna su
97 Cfr. supra, parti 4 e 5.torna su
98 Vinci, Dedica, in QUATTORDECI SONETTI cit., c. Av. Sulla dedica barocca cfr. Paoli, La dedica cit., pp. 267-302; per quanto riguarda l’ambito musicale in particolare cfr. E. Kanduth, Appunti sul formalismo della dedica barocca, in Strategie del testo. Preliminari. Partizioni. Pause, Atti del XVI e del XVII Convegno Interuniversitario (Bressanone, 1988 e 1989), a cura di G. Peron, premessa di G. Folena, Padova, Esedra, pp. 215-23 (ora riprodotto in versione digitale in «Margini», 5, 2011: http://www.margini.unibas.ch/web/rivista/numero_5/biblioteca/articolo1/kanduth.html). torna su
99 La dedica a familiari omonimi dell’autore da parte degli editori o dei curatori delle edizioni non è un’operazione infrequente: si veda, a titolo di esempio, la dedica della seconda edizione (1606) delle Rime e lettere di Vincenzo Martelli, indirizzata dall’editore Cosimo Giunti all’omonimo nipote dell’autore (cfr. C. Schiavon, Una via d’accesso agli epistolari. Le dediche dei libri di lettere d’autore nel Cinquecento (prima parte), in «Margini. Giornale della dedica e altro», 3, 2009, pp. 3-48, in partic. p. 14). torna su
100 Vinci, Dedica cit., c. Av; miei i corsivi. torna su
101 Ivi, cc. Av-I2. torna su
102 Cfr. supra, parte 5. torna su
103 G. Patti, Le due Vittorie. Tra Michelangelo Buonarroti e Pietro Vinci, in Vinci-Colonna, Quattordeci sonetti cit., pp. vii-xix, la cit. è a p. xii.torna su
104 Su questo sbilanciamento del rapporto di scambio tra autore e patrono cfr. Paoli, La dedica cit., pp. 13, 15, 268. torna su
105 Ruscelli, Dedica cit., c. 2*3r; Id., Dediche cit., p. 192. La moltiplicazione degli encomi, del resto, è un tratto distintivo della prassi dedicatoria del Ruscelli (cfr. Marini, Introduzione cit., p. v).torna su
106 LE RIME / DELLA SIG. / VITTORIA / COLONNA / MARCHESANA ILLU / STRISSIMA DI / PESCARA / Corrette per M. LODOVICO / DOLCE. / IN VINEGIA APPRESSO GABRIEL / GIOLITO DE FERRARI, / ET FRATELLI. / MDLII. torna su
107 Ivi, pp. 3-4. torna su
108 Cfr. Bullock, Nota cit., p. 268. torna su
109 L. Dolce, Dedica, in LE RIME / DELLA SIG. / VITTORIA / COLONNA [1552] cit., pp. 3-4. Cfr. anche Id., Dediche e avvisi ai lettori, a cura di D. Donzelli, Manziana, Vecchiarelli, 2017, pp. 141-42. torna su
110 Giorgio Gradenigo, la cui carriera letteraria fu sostenuta proprio da Dolce, fu infatti autore di svariati componimenti, pubblicati in diverse raccolte cinquecentesche, nonché mecenate e «promotore di opere altrui». Cfr. ibid., nota 3, e A. Siekiera, Gradenigo, Giorgio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002, vol. 58, pp. 304-6, la cit. è a p. 305. Alcuni componimenti di Giorgio Gradenigo si trovano nella raccolta del LIBRO TERZO / DELLE RIME / DI DIVERSI NOBILIS / SIMI ET ECCELLENTIS / SIMI AUTORI / NUOVAMENTE RACCOLTE. / Con Privilegio. / IN VINETIA AL SEGNO DEL / POZZO. M.D.L., cc. 97v-98v.torna su
111 Dolce, Dedica cit., p. 3, così la successiva. torna su
112 Cfr. supra, parte 6. torna su
113 RIME / SPIRITUALI / DELLA S. VITTORIA / COLONNA, / MARCHESANA ILLUSTRISSIMA / DI PESCARA. / IN VERONA, / Appresso Girolamo Discepoli, 1586. Per una descrizione dettagliata cfr. Bullock, Nota cit., pp. 269-70. L’edizione è priva di dedica. Sul brusco declino editoriale delle Rime della Colonna e della letteratura femminile in generale cfr. C. Dionisotti, La letteratura italiana nell’età del Concilio di Trento, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, pp. 183-204, in partic. pp. 191-92. torna su
114 Cfr. supra, parte 4. torna su
115 Cfr. Dionisotti, La letteratura italiana cit., p. 191. torna su
116 Dionisotti constata infatti una forte diminuzione della presenza femminile sul mercato editoriale a partire dal 1560 (cfr. ivi, p. 192). Sulla decadenza della letteratura femminile, che pure continuerà ad esistere, sebbene con altre forme e ben più ridotta diffusione, nel XVII secolo, si veda anche V. Cox, Declino e caduta della scrittura femminile nell’Italia del Seicento, in Verso una storia di genere della letteratura italiana. Percorsi critici e gender studies, a cura di V. Cox e C. Ferrari, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 157-84. torna su
117 RIME / DIVERSE / D’ALCUNE NOBILISSI / ME, ET VIRTUOSISSIME / DONNE, / RACCOLTE PER M. LODO / VICO DOMENICHI, E IN / TITOLATE AL SIGNOR / GIANNOTTO CASTIGLIO / NE GENTIL’HUOMO / MILANESE. / In Lucca per Vincenzo Busdragho. / MDLIX. torna su
118 A. Bulifon, Dedica, in RIME / DI CINQUANTA ILLUSTRI / POETESSE / Di nuovo date in luce / DA ANTONIO BULIFON, / E DEDICATE / All’Eccellentissima Signora / D. ELEONORA / SICILIA SPINELLI / Duchessa d’Atri, etc. / IN NAPOLI, / Presso Antonio Bulifon. 1695, cc. A3r-A5v; la cit. è alla c. A4r.torna su
119 Sul personaggio e editore Antonio Bulifon cfr. N. Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinque al Settecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1965, pp. 187-220; G. De Caro, Bulifon, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Treccani, 1972, vol. 15, pp. 57-61. torna su
120 RIME / DI M. VITTORIA / COLONNA D’AVALO / MARCHESANA DI PESCARA, / Di nuovo date in luce / DA ANTONIO BULIFON, / E dedicate / ALL’ECCELLENTISS. SIGNORA / D. MADDALENA / MIROBALLO / Duchessa di Campomele. / IN NAPOLI, / A spese di Antonio Bulifon. 1692; RIME SPIRITUALI / DI M. VITTORIA / COLONNA D’AVALOS / MARCHESANA DI PESCARA. / Di nuovo date in luce / DA ANTONIO BULIFON / E dedicate / ALL’ECCELLENTISS. SIGNORA / D. LAURENZA / LACERDA / Duchessa di Tagliacozzo, Principessa di Pal / liano, Gran Contestabilessa del Regno / di Napoli, etc. / IN NAPOLI, / Presso Antonio Bulifon. 1693. Si noti come in entrambi i frontespizi, ma in modo particolare nel secondo, il nome della dedicataria tenda a acquisire maggiore importanza del titolo stesso dell’opera. torna su
121 Ricordo che anche l’edizione delle Rime di Laura Terracina (1692) presenta un analogo ritratto dedicato della poetessa. torna su
122 Cfr. S. Ferino-Pagden, Vittoria Colonna im Portrait, in Ead. (hrsg.), Vittoria ColonnaDichterin und Muse Michelangelos, Ausstellungskatalog des Kunsthistorischen Museum, Wien, Skira, 1997, pp. 109-47, in partic. p. 113 e tavv. i.46-49, pp. 126-29. torna su
123 Cfr. Paoli, La dedica cit., pp. 108, 122. Per la tipologia secentesca del ritratto-antiporta cfr. ivi, pp. 127-33. torna su
124 Bullock, Nota cit., p. 270. torna su
125 A. Bulifon, Dedica a Maddalena Miroballo, in RIME / DI M. VITTORIA / COLONNA D’AVALO [1692] cit., cc. A2r-v. Ho completato «Vo-» in «Vostra». torna su
126 Id., Dedica a Laurenza Lacerda, in RIME SPIRITUALI / DI M. VITTORIA / COLONNA D’AVALOS [1693] cit., c. A3v; mio il corsivo. torna su
127 Paoli, La dedica cit., p. 78. torna su
128 Bulifon, Dedica a Maddalena Miroballo cit., c. A2r.torna su
129 Id., Dedica a Laurenza Lacerda cit., c. A3r.torna su
130 Id., Dedica a Maddalena Miroballo cit., cc. A2v-A3r.torna su
131 Id., Dedica a Laurenza Lacerda cit., cc. A4r-v.torna su
132 Id., Dedica a Maddalena Miroballo cit., c. A3r-v; mio il corsivo. torna su
133 Id., Dedica a Laurenza Lacerda cit., cc. A4v-A5r; mio il corsivo. torna su
134 Cfr. F.A. Bassanese, Vittoria Colonna (1492-1547), in Italian Women Writers. A bio-bibliographical Sourcebook, ed. by R. Russell, Westport-London, 1994, pp. 85-95, in partic. p. 92. torna su
135 RIME / DI / VITTORIA COLONNA / Marchesana di Pescara / Corrette ed illustrate. / Colla VITA della Medesima / scritta da / GIAMBATTISTA ROTA / Accademico Eccitato. / In Bergamo appresso Pietro Lancellotti. / 1760. Per una descrizione dettagliata cfr. Bullock, Nota cit., pp. 271-72. torna su
136 RIME DI VITTORIA COLONNA [1760] cit., pp. v-xxxviii.torna su
137 Ivi, pp. xxxix-xlvii.torna su
138 Ivi, p. iv.torna su
139 LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA / CORRETTE SU I TESTI A PENNA / E PUBBLICATE / CON LA VITA DELLA MEDESIMA / DAL CAVALIERE / PIETRO ERCOLE VISCONTI / SI AGGIUNGONO / LE POESIE OMESSE NELLE PRECEDENTI EDIZIONI / E LE INEDITE. / ROMA / DALLA TIPOGRAFIA SALVIUCCI / 1840. torna su
140 Ivi, pp. xvii-xlv. A quest’edizione va riconosciuto il merito di aver adottato un certo rigore filologico, ripartendo dalla versione manoscritta dei testi, salvo poi fornire un’«arbitraria costituzione del testo» (cfr. Dionisotti, Appunti cit., p. 277). torna su
141 LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA [1840] cit., pp. xlix-cxl.torna su
142 Cfr. Ferino-Pagden, Vittoria Colonna im Portrait cit., p. 114. torna su
143 LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA [1840] cit., pp. cxli-cxlv.torna su
144 Cfr. L. Martorelli, Die Fortuna Vittoria Colonnas im 19. Jahrhundert, in Vittoria ColonnaDichterin und Muse Michelangelos, Ausstellungskatalog des Kunsthistorischen Museum, Wien, hrsg. v. S. Ferino-Pagden, Skira, Wien, 1997, pp. 479-90, in partic. pp. 480-81; Martorelli ritiene che queste iniziative abbiano rappresentato «Eine entscheidende ikonographische Wiederentdeckung» della figura della Colonna nel XIX secolo (ivi, p. 480). torna su
145 LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA [1840] cit., pp. i-xiii.torna su
146 Questo elogio dinastico è molto simile a quello che si legge nella dedica di Girolamo Ruscelli (supra, parte 5). In particolare, Visconti sembra utilizzare allo stesso modo di Ruscelli l’etimologia del nome dell’illustre casata per evocarne l’opera di sostegno alla gloria nazionale: «Nella ruina dell’imperio afflitto / Durava immota una gentil colonna, / Speme e sostegno al gran nome latino» (LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA [1840] cit., pp. i-ii, vv. 5-7); così Ruscelli: «{et} veramente salda colonna {et} sostegno vero della gloria {et} della reputatione d’Italia» (Ruscelli, Dedica cit., c. 2*1v); mio il corsivo. torna su
147 LE RIME / DI / VITTORIA COLONNA [1840] cit., pp. iii-iv; così le precedenti. torna su
148 Ivi, pp. xii-xiii.torna su
149 Clario, Dedica cit., p. 4. torna su