3, 2009
 
Saggi    
 
 Abstract


Giulia Ponsiglione

Funzioni e finzioni nelle dediche di Luigi Guicciardini a Cosimo I de' Medici



Dopo il settembre del 1537 Luigi Guicciardini, fratello maggiore del celebre storiografo, dedica due opere al neoeletto Duca II della Repubblica fiorentina, Cosimo I de' Medici.1 La prima, intitolata La comparatione del gioco delli scacchi all'Arte militare, ci è stata tramandata soltanto da quello che è presumibilmente proprio il codice di dedica, ovvero il Magliabechiano XIX 54 della Biblioteca Nazionale di Firenze, fino alla recente edizione a cura di Marco Bardini.2 Il secondo testo, noto come Historia del Sacco di Roma, ha avuto invece una notevole circolazione a causa dell'ampia risonanza dell'argomento trattato, diventando molto presto una delle fonti più citate e manipolate del famoso evento. Tralasciando infatti i numerosi centoni e apocrifi da essa derivati,3 l'Historia è stata conservata da almeno sedici manoscritti, la maggior parte dei quali seicenteschi, e da tre edizioni a stampa, l'ultima delle quali a cura di Carlo Milanesi.4 Tra i manoscritti più antichi si segnala per importanza il codice Magliabechiano XXV 651, che è stato anche utilizzato da Milanesi per la sua edizione.5 Al di là delle specifiche contingenze, che ne hanno determinato la genesi, e degli argomenti particolari − come vedremo in parte pretestuosi − che ne hanno fornito lo spunto, si tratta di due opere profondamente affini sul piano formale e contenutistico:6 entrambe sono state conservate (in un caso in maniera esclusiva) da codici di provenienza strozziana, che presentano lo stesso tipo di carta e di rilegatura e una medesima grafia (forse la mano del figlio di Luigi, Niccolò, o di un suo segretario); entrambe si fingono composte a ridosso di un importante evento militare (in un caso la battaglia di Pavia del 1525, nell'altro il Sacco del 1527), ma in realtà sono state quasi certamente composte − o almeno riadattate − nei mesi successivi all'investitura imperiale di Cosimo; entrambe, infine, rivelano nelle intenzioni di fondo un'impostazione ideologica «imprescindibile rispetto agli anni del principato».7 Sia nell'Historia sia nella Comparatione, infatti, è possibile registrare la presenza di un medesimo intento pragmatico e pedagogico, che investe in maniera privilegiata il comune destinatario dei due testi, ovvero il giovanissimo Duca. Nel gennaio del 1537, subito dopo la morte violenta di Alessandro de' Medici, le famiglie aristocratiche di Firenze si trovarono davanti alla necessità di eleggere un nuovo capo, che fosse però il più possibile malleabile e sottomesso alle loro decisioni. La scelta, fortemente caldeggiata tra gli altri da Francesco Guicciardini, ricadde su un giovane rampollo della casata medicea, fino a quel momento assolutamente digiuno di arte politica e di esperienza militare. La speranza degli aristocratici, ben presto rivelatasi infondata, era quella di evitare un accentramento eccessivo del potere, e di poter continuare così ad occuparsi della res publica, all'ombra rassicurante di un'autorità protetta dall'imperatore stesso. Nel giro di pochi mesi però Cosimo dimostrò di essere molto più capace e smaliziato di quanto la sua giovane età potesse lasciar presagire, e riuscì in brevissimo tempo a isolare i suoi stessi sostenitori per rapportarsi direttamente con Carlo V e con i suoi funzionari. È in questo clima di grandi aspettative e tensioni politiche che maturano le due opere guicciardiniane a lui dedicate. In entrambe l'autore si rivolge al giovane Cosimo sotto il pretesto di alleggerirlo e distrarlo dalle fatiche del regno, offrendogli in realtà come materia di riflessione una serie di indicazioni sulle virtù che deve possedere il principe saggio e prudente, e «sul tipo di rapporto, frequente e scambievole, che questi deve mantenere con lo scelto gruppo di consiglieri».8 La medesima intenzione pedagogica che percorre le due opere viene però abilmente mimetizzata all'interno di "cornici" discorsive radicalmente eterogenee: la narrazione degli avvenimenti storici che portarono nel 1527 al devastante saccheggio romano, e un disimpegnato ragionamento sulle affinità tra l'arte militare e il gioco degli scacchi. In tale ottica, per la complessiva interpretazione delle opere in questione, rivestono un interesse prioritario le due lettere dedicatorie, in cui, come avviene anche in molti altri casi simili, appaiono meglio identificabili, benché camuffate dall'autore, le motivazioni profonde sottese alla scrittura.9 Entrambe le dediche presentano una struttura retorica complessa e articolata (in particolare, come vedremo, quella dell'Historia), organizzata attraverso una serie di micro-sezioni facilmente individuabili. In generale si può osservare in tutte e due una precisa consapevolezza autoriale nel maneggiare uno strumento di legittimazione e perorazione − la dedica, appunto − a quell'altezza cronologica già sufficientemente istituzionalizzato e codificato: nel presentare i suoi testi al Duca Cosimo, infatti, Guicciardini sfrutta alcune tra le più topiche consuetudini del genere, tra le quali il ricorso alla storia antica e la dinamica alto/basso funzionalizzata a marcare i ruoli di dedicante e dedicatario.10 Dopo l'intestazione, che appare in forma identica in entrambi i testi: Allo Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Cosimo de' Medici, Duca II della Repubblica Fiorentina, Luigi Guicciardini salute; troviamo dunque in esordio il consueto riferimento agli antichi, agganciato nel primo caso già a un'implicita speranza di ricompensa, nel secondo a una più elaborata premessa "metodologica":
Sapendo Illustrissimo et Eccellentissimo Duca essere stato antichissimo costume de prudenti Agricoli offerire o a Cerere o a Bacco o a qualche altro poetico Idio e primi frutti ricevuti per le loro fatiche: sperando per tanto religiosa mente verso di quello, che e campi, le vigne, le selve da essi con laboriosa sollecitudine cultivate dovessino in futuro rendere più abbondante premio alli loro sudori [...].11     Solevano molti degli antichi istorici, Illustrissimo Duca, quando qualche azione dei tempi loro volevano mandare alla memoria delle lettere, ingegnarsi, per satisfare al gusto de' lettori, eleggere quella era insino allora successa o più dilettevole o più gloriosa; e per lasciare maggiore fama di loro medesimi, sforzarsi ornarla con quella eleganza che concedeva loro e la natura e l'arte.12
La dedica della Comparatione prosegue, anche in questo caso seguendo schemi retorici tipizzati, attualizzando la cornice bucolica e dichiarando esplicitamente la volontà di "imitare" gli antichi. In questo modo Guicciardini può con disinvoltura paragonare Cosimo a un dio classico, e porsi nei suoi confronti in un atteggiamento umile e devoto, come conferma del resto la presenza dell'opposizione aggettivale piccolo/grande (con variante alto): [...] ho indicato essere molto conveniente (dilettandomi massime assai l'agricultura) in questa parte imitarli: et per osservare tanto lodevole consuetudine, alla Eccellentia Vostra come a unico mio signore, dedicare el primo frutto nato più anni sono dalli studij miei esercitati nella mia piccola villa: accioché quella assaporandolo comprenda per questo mio piccolo dono, se le mie vigilie molto et molto tempo in quella solitudine consumate, possono havere con la penna partorito discorsi alla grandezza sua correspondenti: leggendolo massime quando per li suoi consueti et alti studij stanca si sente: né con altra intentione lo assapori, che forse, alle volte suole e salvatichi pomi gustare.13 La cornice bucolica si arricchisce in questo contesto grazie alla metafora del primo frutto, che rappresenta la fatica letteraria che l'autore sta offrendo al Duca. Poche righe dopo incontriamo l'originale espressione «salvatichi pomi», con cui Guicciardini intende sottolineare la genuinità e la semplicità della sua scrittura, generata all'interno di uno stile di vita che si modella sull'otium degli antichi, e contemporaneamente rimarcare secondo schemi topici la propria modestia. La dedica dell'Historia, al contrario, si dilata subito in un'amara contemplazione delle miserie presenti, introdotta attraverso l'adozione di un altro schema classico, quello della caduta e della corruzione nella storia umana. All'interno del desolante quadro che caratterizza l'epoca attuale, Guicciardini si ricollega una prima volta alla premessa metodologica iniziale, sostenendo che sarebbe sempre opportuno nei momenti difficili offrire ai lettori argomenti lieti e leggeri, per evitare di aggiungere «dolore sopra dolore». A maggior ragione ciò si rivela necessario in un momento come questo, contraddistinto da guerre, fame, epidemie, saccheggi e devastazioni. Una serie di precise scelte retoriche e linguistiche (come il ricorso a toni apocalittici, l'accumulazione sostantivale, l'utilizzo di un'aggettivazione al grado superlativo) testimoniano l'alto livello di letterarietà con cui l'autore intende marcare qui il proprio testo di dedica. Dipingendo un pauroso scenario di morte e di violenza, Guicciardini prepara inoltre il terreno per motivare e giustificare al Duca la scelta coraggiosa di narrare un avvenimento tanto cruento come era stato il Sacco, e la relativa decisione di volergliene fare dono. In questo quadro l'apice drammatico viene raggiunto grazie alla presenza della categoria potentemente allusiva di ruina, che una prima volta viene menzionata soltanto in relazione alla città di Roma, poi riferita alle altre principali («prime») città d'Italia, e infine chiamata in causa a proposito del destino complessivo di tutta la penisola e addirittura dell'Europa intera:14 [...] onde per questi mostruosi defetti de' prencipi e de' popoli, la vita dell'uomo si condusse finalmente a termine, che non era altro (come al presente) che sudori, angustie ed infinite miserie. Per le quali cagioni non pareva allora maraviglia, gustando e assaggiando ogni giorno il genere umano più amaritudine assai che dolcezza, che i lettori desiderassino, per rallegrare e alleggerire alquanto l'animo loro da' sopportati tormenti, leggere più volentieri le cose da porgere diletto, che quelle che fossino per aggiugnere dolore sopra dolore. E se mai questo naturale appetito è stato per l'addietro nell'animo di ciascuno, al presente è necessario, non meno che nelli preteriti secoli, si trovi, essendo, dalla passata di Carlo VIII, e re di Francia, insino alla prossima ruina di Roma, stata continua e crudelissima guerra, e più volte inaudita fame, con eccessiva pestilenzia in questa infelice Italia, e successo, per tanti vari flagelli, morte violente d'innumerabile multitudine di popoli, subite mutazioni, insaziabili saccheggiamenti con irreparabili ruine delle prime città, e di tutti i prencipi, i quali avanti la mossa del Gallo re, in potente e felice stato si trovavono. Talmente che per tanti travagli non solo Italia si vede al presente essere ridotta in pessimo termine, ma ancora quasi tutto quello che resta dell'Europa, non poco partecipa della nostra ruina.15 A questo punto l'autore può per la prima volta palesare le proprie convinzioni politiche, auspicando l'avvento di un grande sovrano che finalmente libererà l'Italia e l'Europa dalle calamità presenti, riportando ovunque giustizia e ordine. È evidente che dietro la figura del «nuovo monarca» si nasconde un riferimento neanche troppo velato a Carlo V; le simpatie filoimperiali di Guicciardini troveranno nel corso della trattazione ulteriori occasioni per essere espresse, spesso in contrapposizione con le parallele critiche mosse al papa, al Duca di Urbino e ad altri vertici politici e militari, responsabili secondo l'autore del disastro di Roma. È importante tuttavia che proprio nella dedica, luogo privilegiato in cui si esibisce la relazione autore-destinatario, Guicciardini offra al suo Duca un primo ritratto del monarca perfetto, al quale (evidentemente) anche lui dovrà ispirarsi, dietro la guida sapiente dei suoi consiglieri, se vorrà perseguire una linea politica solida e vincente: [...] la quale similmente (per esser la natura del male andare sempre, come il fuoco, nella disposta materia, crescendo ed ampliando, quando non è con prestezza annullato e spento) sarà in breve ridotta all'ultimo suo esterminio, se già tosto (come ne' passati secoli in tanti universali frangenti è successo) non sorgerà qualche nuovo legislatore, o nuovo monarca, per la potenza e giustizia del quale non solo si raffrenino e si rimettano nel centro della terra tante sfrenate e diaboliche furie, quante si veggono in questi ultimi anni quasi in ogni provincia crudelmente scorrere; ma ancora, per la bontà e virtù sua, facilmente ritorni il vivere de' mortali in tal essere, quale dalla semplicissima natura gli fu ne' primi secoli ordinato.16 Dopo la parentesi sull'attualità, Guicciardini può nuovamente tornare all'assunto iniziale, e motivare, stavolta con più precisione, le ragioni che lo hanno spinto a "disobbedire" agli antichi storiografi, scegliendo di trattare una materia triste e luttuosa. Era necessario, infatti, sottolinea l'autore, soffermarsi su avvenimenti tanto drammatici, proprio al fine di mostrare «un manifesto esempio di quanto male sia cagione la superbia e immoderata ambizione, e quanto temere si debba, gravemente errando, la divina giustizia». La gravità dei fatti che hanno spinto Guicciardini a prendere la penna in mano determina pertanto in questo contesto l'esibita trasgressione della poetica dell'imitatio («conosciuto non aver potuto in questa parte imitarli»). Allo stesso tempo, però, in assoluto rispetto verso le norme retoriche e in maniera speculare all'altra dedica, si dichiarano finalmente il contenuto dell'opera e i propositi dell'autore, preceduti in entrambi i casi da una concessiva con valore di excusatio:
Et benché questo che al presente le offerisco non habbi convenienza alcuna con li proprij effetti suoi, ma con quelli che dalli diversi costumi delli huomini procedono contenendo in sé brevissimamente quali proprietà et quale disciplina debbe trovarsi in uno Eccellente Capitano, et quali costumi anchora appartenghino a uno buono Cittadino, et finalmente quelle virtù che molto sono alla Maestà d'uno potente Principe necessarie; non dimeno mi persuado non dovere essere al generosissimo animo di Vostra Eccellentia meno grato che li altri accennati.17     E benchè, fra tante nostre miserabili calamità, Illustrissimo ed Eccellentissimo Duca, considerassi allora quanto era necessario seguitare il costume di quelli savi scrittori, e avere narrato solamente quelle cose che fossero per porgere qualche recreazione nell'animo di qualunque leggere le volessi, ponendo da parte l'altre, che non meno spaventono li audienti che coloro che le provorono; nondimeno, più volte, conosciuto non aver potuto in questa parte imitarli, sono stato dipoi sospeso, se io dovessi sotto il vostro felicissimo nome publicare la più mesta, la più spaventevole e la più vergognosa tragedia che la onnipotente Sapienza abbi ancora sopra questa infortunata Italia, e quasi mondana scena, dimostro; la quale, benchè in quelli infelicissimi giorni scrivessi, non18 per pigliare allora piacere con la penna discorrendo fra tante e tante miserabili crudeltà, ma per aver continuamente avanti agli occhi miei un manifesto esempio di quanto male sia cagione la superbia e immoderata ambizione, e quanto temere si debba, gravemente errando, la divina giustizia.19
Come si può facilmente osservare, al di là delle differenti occasioni che hanno determinato la genesi della scrittura, soggiace alla base di entrambi i testi una medesima volontà pedagogica, di cui il primo beneficiario è proprio il giovane Duca Cosimo. Se infatti nella Comparatione si discuterà "in positivo" delle virtù necessarie alla «Maestà d'uno potente Principe», nell'Historia le stesse qualità appariranno "in negativo", ovvero attraverso la messa in luce e l'analisi delle colpe (in senso etico e politico) che hanno provocato l'esito tragico del Sacco. A questo punto la dedica dell'Historia − che come ho già sottolineato in apertura appare ben più ampia e complessa dell'altra sul piano retorico, − si dilata nuovamente per accogliere una serie di considerazioni di carattere generale sulla storia e sulla vita umana. Nel brano che segue è possibile pertanto notare la presenza di nuovi tasselli colti, inseriti allo scopo di impreziosire ed elevare lo stile della dedica stessa, adeguandola ai contenuti tragici dell'opera vera e propria. In primo luogo emerge un altro riferimento alla storia dell'antica Roma, di sapore machiavelliano:20 Imperò che, qualunque diligentemente considererà da quello procede il continuo variare delle repubbliche e delli regni, comprenderà facilmente, con la misura e con lo esemplo della famosa Roma, quali cause siano state quelle che a poco a poco hanno condotto le città e gl'imperii a quell'altezza quale a molti è noto, e come da essa declinando sempre e discostandosi, si veggono finalmente essere pervenuti all'ultimo male e ruina.21 Subito dopo il ragionamento si arricchisce tramite una riflessione altrettanto topica sulla perenne ciclicità delle vicende umane («continuamente girando e ritornando, non mutano altro che luogo e nome»). Quest'ultima considerazione, insieme alla notazione sull'«acuto e pio occhio», costituisce inoltre una chiarissima reminiscenza dei Ricordi composti dal fratello dell'autore, Francesco, confermando la comune appartenenza dei due Guicciardini a quella cerchia di "savi" che non si rassegnavano agli albori del principato a veder totalmente dissolto il loro potere:
Conciosiachè, con questi diversi ed oppositi costumi, di necessità le umane imprese da questo a quello estremo (con poco riposo e meno salute di ciascuno) continuamente girando e ritornando, non mutano altro che luogo e nome. Per la qual cosa coloro che con acuto e pio occhio riguardono questa mirabile circolazione mondana, già vicina a settemila anni (secondo le sacre istorie), sono costretti confessare, la perfezione dell'uomo non poter consistere in questa terrestre, miserrima e brevissima vita, ma solamente nella ultramondana, eterna e felicissima.22     Tutto quello che è stato per el passato e è al presente, sarà ancora in futuro; ma si mutano e' nomi e le superficie delle cose in modo, che chi non ha buono occhio non le riconosce, né sa pigliare regola o fare giudicio per mezzo di quella osservazione;

È fallacissimo el giudicare per gli esempli, perché, se non sono simili in tutto e per tutto, non servono, conciosia che ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto: e el discernere queste varietà, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.23
Infine la conclusione sentenziosa in chiave devota, con la topica contrapposizione tra le miserie di questa vita e la perfetta ed eterna felicità di quella ultraterrena, rimanda alla retorica convenzionale della trattatistica religiosa, rinvigorita negli ultimi decenni dall'influenza della predicazione savonaroliana. Avviandosi verso l'epilogo le due dediche mostrano un ultimo punto di contatto nella comune esaltazione del padre del dedicatario, Giovanni dalle Bande Nere. In entrambi i testi il celebre condottiero è ricordato come un grande e coraggioso modello di virtù militare («el più Eccellente Capitano nel mestiero delle armi»; «illustre e bellicoso genitore»):
Imperoché essendo el dignissimo padre di Vostra Illustrissima Signoria da ciascuno indicato el più valoroso soldato, et el più Eccellente Capitano nel mestiero delle armi che da molti et molti secoli passati in sino a questo giorno sia stato conosciuto; è ragionevole persuadersi che quella, essendo suo unico figlio, non solamente pigli eccessivo diletto della militare Disciplina, ma anchora ne habbi tanta notizia, quanta al suo nobilissimo sangue si conviene.24     Ancora, Illustrissimo Duca, da non minor cagione sono stato insino a questo giorno ritenuto: perchè, essendo in essa particolarmente narrata l'acerbissima e dannosissima morte del vostro illustre e bellicoso genitore, desideravo (come sendo io suo deditissimo) col mio scrivere dilettare il vostro generosissimo animo, e non gli porgere materia di contristarlo. Pur finalmente [m'indussi]25 considerato la morte, in ogni età comune a ciascuno, non dovere dipoi de' suoi medesimi a' vivi dolere, quando gloriosamente trapassono all'altra vita, come apertamente quella del famosissimo padre di Vostra Eccellenza a ciascuno apparisce.26
Nella dedica della Historia il panegirico di Giovanni, la cui morte viene interpretata come l'evento fatale che segnerà la "ruina" di Roma, sfocia in un'ennesima occasione per celebrare la grandezza di Carlo V, che lo stesso Duca deve riconoscere come l'assoluto «monarca dell'universo», mandato da Dio per riordinare il mondo: Imperò che nel maggiore ardore di quella guerra, e in quel tempo che la vita sua, e meritamente, per le sue valorosissime opere, era da' suoi collegati sommamente desiderata, e dalli avversarii suoi eccessivamente temuta, e che nel colmo della speranza e del timore che di lui regnava nell'uno e nell'altro esercito, lasciando di sè immortale fama, fu rapito al cielo. Imperò che, volendo la Divina Maestà che la famosa Roma fosse preda delli Cesarei, bisognava che di tanto eccellente virtù, e non con umana, ma con diabolica forza, lo esercito della lega ne privassi, acciò che senza alcuno ostacolo gl'Imperiali (come dipoi chiaramente si vidde) scorrendo per tutta Italia, si accostassino alle romane mura. Ed oltre a questo, l'Eccellenza Vostra, leggendola, comprenderà quanto Iddio favorisca le debite e generose imprese dello imperatore, e a poco a poco scuopra a ciascuno, averlo disegnato monarca dell'universo, acciò che con la sua rara bontà ed unica prudenza riordini il guasto mondo.27 L'intenzione adulatoria, che si realizza in questo caso attraverso la consueta celebrazione degli antenati illustri,28 si salda così all'intenzione pedagogica. In tal modo Guicciardini può offrire al Duca, accanto alla figura dell'imperatore e degli altri «gloriosi Principi», un ulteriore ed eccezionale esempio da seguire sulla strada della virtù; eccezionale sia per il valore intrinseco del personaggio proposto, sia per le ovvie implicazioni affettive che tale nome comportava per il giovane:
Per la quale la Eccellentia Vostra potrà facilmente comprendere se la peritia, et le difficultà che si scuoprono essere in qualumche prudentemente comanda, et sicuramente guida vicino al nimico el suo Esercito, sono in queste poche carte insieme con l'arte del giuoco delli scacchi succintamente et comparate et discorse. Et finalmente riconoscere se li costumi et le dote, nelle quali la perfettione d'un singularissimo signore consiste, largamente eccedono tutte le verissime laude di qualumque humana professione. Imperoché havendo la Eccellentia Vostra proposto nel suo Magnanimo petto seguitare le vestigie, et l'orme che segnate appariscono in quella repente et laboriosa strada, per la quale sono salendo felicemente passati (benché rarissimi) tutti e' iusti et gloriosi Principi indicherà se convenientemente le ho raccolte. Alla quale basciando la mano mi raccomando.29     Materia certamente da ricreare e fare lieto il vostro nobilissimo animo, e a spronarlo a non essere indegno di tanto glorioso padre nè della servitù quale debitamente tiene con la grandezza della Cesarea Maestà, benchè per molti e molti indizii apertamente apparisca, a chi le vostre virtuose opere in tanta iuvenile età discorre, quella dovere non altrimenti la paterna fama superare, che insin a ora abbi la fortuna di esso trapassata; come un giorno spero con altra penna a ciascuno, senza adulazione scrivendo, facilmente dimostrare.30
La dedica dell'Historia si conclude con un ultimo appello al Duca affinché diventi egli stesso difensore dell'opera che gli viene donata contro i possibili attacchi dei contemporanei. Un sagace escamotage da parte dell'autore, il quale può in questo modo concedersi, in nome della verità, il lusso di manifestare giudizi su fatti e personaggi della contemporaneità, e di esprimere anche violente accuse senza temere eccessivamente ritorsioni e vendette. Lo scopo dell'operazione che qui stava tentando Guicciardini non poteva infatti attuarsi senza passare per una puntuale critica a modelli comportamentali ritenuti non idonei per una corretta gestione del potere: Per la qual cosa, avendola sotto l'ombra del vostro clarissimo nome collocata, non sia all'Eccellenza Vostra molesto nè noioso (quando dalle gravissime cure della repubblica sarà meno occupata) con diligenza considerarla ed esaminarla, perchè a lei satisfacendo, mi persuado si potrà difendere facilmente da qualunque riprendesse la mia prosunzione: massime avendo notato gli errori di questo e di quello, e tanto liberamente manifestato i nomi di ciascuno; non ostante che, qualunque istoria scrive, sia obbligato con sincero animo narrarla; non tanto per insegnare col vero esempio d'altri vivere a coloro che sono preposti a consigliare le repubbliche e li principati; quanto ancora per incitare e spronare i generosi animi de' posteri, leggendola ad imitare le nobilissime virtù e gli ottimi costumi di quelli che sopra gli altri debbono essere dagl'istorici meritamente celebrati, e fuggire le dannose qualità di coloro che hanno pessimamente consigliato e operato per la propria patria. E quando altrimenti l'Eccellenza Vostra ne judicassi, la getti nel fuoco: stimando che al vostro pellegrino ingegno non piacendo, non possa nè debba ad altri piacere. Ma a che fine mi sforzo in crescere più la lunghezza di questa epistola con parole tanto cerimoniose e superflue, sapendo massimamente, essere molto inimiche della verità? Onde seguitarà ora il proemio e la narrazione della nostra verissima tragedia, all'Eccellenza Vostra promessa e dedicata.31 La dedica dell'Historia, che si era aperta in forma solenne con il riferimento agli antichi, echeggiando per giunta l'esordio del Principe machiavelliano, si chiude qui in modo altrettanto marcato con la parola 'dedicata'. L'elevato livello retorico che presenta questo testo testimonia senza ombra di dubbio l'importanza strategica che ad esso attribuiva l'autore, come strumento di autolegittimazione politica e culturale. Insieme a quella della Comparatione, la dedica dell'Historia si presenta dunque come un compiuto micro-sistema letterario, in cui si evidenziano ruoli sociali, si stabiliscono priorità e obiettivi; si dichiarano, infine, appartenenze, valori e convinzioni. In conclusione, nelle dediche di Luigi Guicciardini a Cosimo I de' Medici viene pienamente confermata la centralità del rapporto dedicante/dedicatario all'interno dell'ambiente di corte, «come luogo deputato di quel sistema di patronage» che anche attraverso tali pratiche discorsive poteva continuare ad autoalimentarsi e consolidarsi.

G. P.






Note

1 Sulla biografia e sugli scritti di Luigi Guicciardini cfr. la voce di M. Doni in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2003, vol. lxi, pp. 138-42, e la Notizia su Luigi Guicciardini e sulle sue opere, in L. Guicciardini, Del Savonarola, a cura di B. Simonetta, Firenze, Olschki, 1959. Sul suo pensiero politico cfr. anche R. Von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, prefazione di F. Chabod, trad. di C. Cristofolini (Das florentinische Staatsbewusstsein im Übergang von der Republik zum Prinzipat, Bern, Francke, 1955), Torino, Einaudi, 1970, pp. 265-79. Su Cosimo I de' Medici, figlio del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, vedi gli studi di G. Spini, Cosimo I e l'indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980; e R. Cantagalli, Cosimo I de' Medici, Milano, Mursia, 1985.torna su
2 Comparatione del Giuoco delli Scacchi alla Arte militare discorsa per Luigi Guicciardini, in M. Bardini, Borbone occiso. Studi sulla tradizione storiografica del Sacco di Roma del 1527, Pisa, Tipografia Editrice Pisana, 1991, pp. 245-56. Da questa edizione saranno tratte le mie citazioni; ho però ritenuto utile sciogliere le residue abbreviazioni lasciate dal curatore e modernizzare moderatamente la punteggiatura per facilitare la lettura del testo.torna su
3 Tra le "versioni" più fortunate del testo guicciardiniano vanno segnalati almeno il Ragguaglio storico attribuito a Jacopo Bonaparte e la cronaca intitolata Il Sacco di Roma, il cui autore nella tradizione manoscritta risulta un non meglio identificato Patrizio de' Rossi. Per la complicata e tortuosa fortuna editoriale dell'Historia cfr. D. Orano, Marcello Alberini e il Sacco di Roma del 1527, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», xviii, 1895, pp. 51-98: 95-98.torna su
4 Il sacco di Roma del 1527: narrazioni di contemporanei, scelte per cura di C. Milanesi, Firenze, Barbera, 1867, pp. 1-244. Da questa edizione saranno tratte le mie citazioni. Recentemente il testo curato da Milanesi è stato informatizzato ed è ora disponibile on-line sul sito www.nuovorinascimento.org. Per una ricostruzione della tradizione manoscritta e a stampa dell'opera, cfr. P. Farenga, 'Nuovi tormenti e nuovi tormentati'. L'"Historia del sacco di Roma" di Luigi Guicciardini, in Sylva: Studi in onore di Nino Borsellino, a cura di G. Patrizi, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 281-305. Cfr. sull'argomento anche M. Bardini, Luigi Guicciardini e Cosimo de' Medici. Il racconto esemplare del sacco di Roma, in Id., Borbone occiso cit., pp. 15-59. È in corso di stampa, per le edizioni Carocci, una mia monografia intitolata La "ruina" di Roma: il Sacco del 1527 e la memoria letteraria. Il secondo capitolo è dedicato alla produzione di Luigi e di Francesco Guicciardini.torna su
5 Su questo codice cfr. Farenga, 'Nuovi tormenti e nuovi tormentati' cit., pp. 285-89.torna su
6 Bardini, Luigi Guicciardini e Cosimo de' Medici cit., pp. 54-57.torna su
7 Ivi, p. 55.torna su
8 Ibid.torna su
9 «In effetti queste pagine, collocate in una zona particolarmente esposta, nella loro contingenza e fragilità riflettono in maniera quasi non mediata le condizioni storiche, sociali e politiche in cui sono state scritte. E anche, in precario equilibrio tra scritto pubblico e confessione privata, affidano al lettore indicazioni a volte decisive per la comprensione di un testo: in qualche caso sembrano toccare il cuore stesso del sistema, letterario e culturale, a cui appartengono» (M. A. Terzoli, Editoriale, in «Margini», I, 2007).torna su
10 Sulle caratteristiche costitutive del genere dedica e sulla sua evoluzione nel corso del tempo, cfr. M. A. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento: metamorfosi di un genere, in Dénouement des lumières et invention romantique, Actes du colloque de Genève, 24-25 novembre 2000, Réunis par G. Bardazzi et A. Grosrichard, Genève, Droz, 2003, pp. 161-92. In particolare sull'età umanistica e rinascimentale, cfr. M. Paoli, Il sistema delle dediche nell'editoria italiana, in I dintorni del testo: approcci alle periferie del libro, Atti del Convegno Internazionale di Roma e Bologna, 15-19 novembre 2004, a cura di M. Santoro e M. G. Tavoni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 2005, vol. i., pp. 149-65: 152-53: «Ad istituzionalizzarsi non è solo il meccanismo del dono e del contro-dono, ma anche il contenuto testuale della dedica come microgenere letterario, che rispecchia lo schema della laudatio, dell'adulazione, con il ricorso al topos dell'abbassamento dei meriti dell'autore e dell'opera di contro alla magnificazione delle virtù e delle doti del dedicatario».torna su
11 Guicciardini, Comparatione cit., p. 245.torna su
12 Guicciardini, Historia cit., p. 3. L'esordio della dedica ricalca chiaramente l'apertura del Principe machiavelliano: «Sogliono el più delle volte [...]», cfr. N. Machiavelli, De principatibus, testo critico a cura di G. Inglese, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1994, p. 181. Sul celebre "attacco" della dedica machiavelliana, ripreso fra gli altri anche da Vittorio Alfieri, cfr. Terzoli, I testi di dedica tra secondo Settecento e primo Ottocento cit., p. 173.torna su
13 Guicciardini, Comparatione cit., p. 245.torna su
14 Un'altra categoria altrettanto connotata che l'autore utilizza ampiamente nell'Historia (soltanto nella Dedica si contano quattro occorrenze, tre delle quali in riferimento alla propria opera) è quella di "tragedia".torna su
15 Guicciardini, Historia cit., pp. 4-6.torna su
16 Ivi, p. 6.torna su
17 Guicciardini, Comparatione cit., p. 245.torna su
18 Avverte Milanesi che in questo punto la stampa del 1758 aggiunge, per rendere la sintassi regolare, non feci questo.torna su
19 Guicciardini, Historia cit., pp. 6-8.torna su
20 Sulla presenza di Machiavelli nell'Historia cfr. A. Matucci, Machiavelli nella storiografia fiorentina. Per la storia di un genere letterario, Firenze, Olschki, 1991, in particolare le pp. 227-31.torna su
21 Guicciardini, Historia cit., p. 8.torna su
22 Ivi, pp. 8-9.torna su
23 F. Guicciardini, Ricordi, in Opere di Francesco Guicciardini, a cura di E. Lugnani Scarano, Torino, UTET, 1983, vol. i, nn. 76 e 117 della serie C, pp. 750 e 762. Quasi con le medesime parole in un luogo del Dialogo del reggimento: «[...] el mondo è condizionato in modo che tutto quello che è al presente è stato sotto diversi nomi in diversi tempi e diversi luoghi altre volte. E così tutto quello che è stato per el passato, parte è al presente, parte sarà in altri tempi e ogni dì ritorna in essere, ma sotto varie coperte e vari colori, in modo che chi non ha l'occhio molto buono, lo piglia per nuovo e non lo riconosce; ma chi ha la vista acuta e che sa applicare e distinguere caso da caso, e considerare quali siano le diversità sustanziali e quali quelle che importano manco, facilmente lo riconosce, e co' calculi e misura delle cose passate sa calculare e misurare assai del futuro», ivi, p. 314.torna su
24 Guicciardini, Comparatione cit., p. 245.torna su
25 Milanesi ripropone l'integrazione già aggiunta nell'edizione del 1758.torna su
26 Guicciardini, Historia cit., p. 9.torna su
27 Ivi, pp. 9-10.torna su
28 Tra le caratteristiche strutturali del genere troviamo proprio «l'enfatico richiamo delle qualità e del prestigio del dedicatario e/o dei suoi illustri parenti» (M. Santoro, Andar per dediche, in Sulle tracce del paratesto, Catalogo della mostra, a cura di A. Biancastella, M. Santoro, M. G. Tavoni, Bologna, Bononia University Press, 2004, pp. 19-29: 23).torna su
29 Guicciardini, Comparatione cit., pp. 245-46.torna su
30 Guicciardini, Historia cit., pp. 10-11.torna su
31 Ivi, pp. 12-13.torna su
32 Paoli, Il sistema delle dediche cit., p. 156. Sulle dinamiche di potere che si verificano tramite tale consuetudine cfr., oltre agli studi già segnalati, il fondamentale (e per molti aspetti anticipatore) saggio di G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. Cederna (Seuils, Paris, Editions du seuil, 1987), Torino, Einaudi, 1989, in partic. le pp. 115-40; R. Chartier, Cultura scritta e società. L'ordine dei libri (XVI - XVIII secolo) (Culture écrite et société. L'ordre des livres (XIVe-XVIIIe siècle), Paris, Albin Michel, 1996), Milano, Sylvestre Bonnard, 1999, in particolare il cap. intitolato Mecenatismo e dedica, pp. 35-53; e M. Santoro, Libri edizioni biblioteche tra Cinque e Seicento, Manziana, Vecchiarelli, 2002, in particolare il cap. intitolato Appunti su caratteristiche e funzioni del paratesto nel libro antico, pp. 51-92.torna su