Nicola Ribatti
«Il verboso epinicio del futuro».
Futurismo e iconografia futurista in Gadda
Il rapporto tra Gadda e il fascismo è stato oggetto di numerosi studi;1 parallelamente a questi lavori, e in concomitanza con il crescente interesse rivolto, negli ultimi anni, al rapporto tra Gadda e le arti visuali, molti studiosi si sono interrogati sulla relazione tra Gadda e il futurismo italiano. Secondo Norma Bouchard2 tale rapporto sarebbe stato sostanzialmente (e volontariamente) ignorato dalla critica, tanto da quella anglosassone quanto da quella italiana.3 La studiosa ritiene al contrario che Gadda debba molto al futurismo, con il quale condividerebbe non solo posizioni ideologiche (l'interventismo, lo spirito di rivolta anti-borghese) ma anche estetiche, come l'avversione verso la tradizione letteraria, l'attenzione per le teorie del simultaneismo; la stessa poetica della "lingua spastica" non sarebbe altro che una derivazione del paroliberismo futurista. Certo, Gadda ironizza sul futurismo e talvolta Marinetti è oggetto di chiaro sarcasmo, ma, secondo la studiosa, questo avverrebbe solo a partire dagli anni Quaranta, quando lo scrittore cercherebbe di prendere le distanze dal fascismo e, di conseguenza, dal futurismo, movimento letterario associato al regime. Nella corrispondenza privata, invece, diversi sarebbero i toni. La studiosa cita a tal proposito una lettera inviata all'editore Carocci il 2 novembre 1926. Lo scopo era presentare un breve testo, Teatro, da pubblicare su un numero monografico di «Solaria» dedicato al cinema e al teatro:4
Le confesso però che io sono un deciso fautore del cinematografo e che quindi il mio scritto non potrebbe essere che moderno, e diciamo così futurista [...]. Un anno fa circa avevo buttato giù qualche cosa a tinte ironiche sul teatro che formerebbe la parte negativa del mio scritto [...]. La parte positiva sarebbe una continuazione di mie idee sull'arte in rapporto alle espressioni moderne della vita.5
La lettera, oltre ad attestare l'interesse di Gadda per i nuovi media come cinema e fotografia,6 conterrebbe una valutazione chiaramente positiva del futurismo.
A differenza di quanto accade per il neorealismo, manca uno scritto organico in cui Gadda ha modo di esprimere in modo chiaro la sua posizione sul futurismo. È necessario dunque individuare le allusioni (esplicite e implicite) disseminate nelle sue opere e provare a interpretarle.
Il futurismo si diffonde, nel primo decennio del Novecento, a partire dalla città di Milano, dove Marinetti fonda nel 1905 la rivista «Poesia», «organo di diffusione, in Italia»7 del movimento d'avanguardia. Il primo manifesto sarà pubblicato nel 1909 su «Le Figaro». Non sorprende dunque che i primi riferimenti al futurismo nell'opera di Gadda siano presenti già nel Giornale di guerra e di prigionia,8 che egli inizia a redigere a partire dal 25 agosto del 1915 presso il lager di Celle, nei pressi di Hannover. In una pagina datata 13 maggio 1918, lo scrittore descrive il campo di prigionia e, in un passaggio testuale, egli si sofferma sulle latrine che definisce un «capolavoro futurista»:
Latrine. Sono un capolavoro futurista: una lunga pozza rettangolare, occupa metà tettoia; traversata un tempo da tanti diaframmi di legno che separavano l'uno dall'altro merdatore. Ora questi diaframmi furono adoperati per legna da ardere nelle stufe, e i culi cacano coram omnibus. Risparmio i dettagli della scena irritante (SGF II 793).
In un passo successivo lo scrittore descrive la vita nel campo di prigionia: tra le varie attività vi è anche chi si dedica alla composizione di versi poetici.9 Tra i poeti più promettenti vi è il capitano Casella:
Uno dei più grossi di questi poeti, che certo pubblicherà qualcosa, e che molte volte sa il fatto suo, è il capitano Casella [...] Quanto ai suoi versi, sebbene ne abbia letti di gaglioffi, specie dove dà nel futurismo di maniera, devo riconoscere che ne ha pure di belli e di vigorosi (SGF II 800-801).
Bouchard10 vedrebbe in questi testi un apprezzamento di Gadda nei confronti del futurismo, in particolar modo nel secondo passo, dove lo scrittore critica quei versi del Casella che danno «nel futurismo di maniera»: ciò implicherebbe, secondo la studiosa, che vi sia un futurismo "non di maniera" e quindi in sé esteticamente valido. L'argomentazione della studiosa appare tuttavia piuttosto speciosa: quello che queste citazioni attestano è piuttosto una immediata ricezione e una conoscenza della poetica futurista da parte del giovane Gadda. Lo conferma del resto un passo de La cognizione del dolore in cui si dice che Gonzalo, alter ego dell'autore, «spilluzzicava anche, non appena le venisse fatto, certa letteratura d'avanguardia tra ribelle e satanica insediatasi nelle edicole delle stazioni» (RR I 690). Questo non equivale tuttavia a una celebrazione del movimento, ma anzi a una sua denigrazione; lo testimonia, come osserva Goldmann,11 il "prosaico" luogo di diffusione di tale produzione, vale a dire i quotidiani venduti nelle edicole delle stazioni.
Nella Meditazione milanese (1928) ritroviamo un giudizio negativo nei confronti di un testo teatrale, L'angoscia delle macchine (1927), scritto dal futurista Ruggero Vasari:12
Un poeta futurista o simbolista che sia, o forse né futurista né simbolista né poeta, ha testè scritto un dramma intitolato «L'angoscia delle macchine» che mi guardai bene da leggere, per non incorrere in una sonnolenza che mi avrebbe fatto perdere del tempo prezioso. Se un'angoscia è riferibile alle macchine, ciò avviene soltanto quando esse [...] come dicono i meccanici in Lombardia, cominciano a 'scanchignare'. I loro difetti e sinistri cigolii però rivelano sempre che la 'materia bruta non è stata vinta' (SVP 659).
Bouchard così interpreta il passo: «I do not interpret this comment as a negation in toto of Futurist experimentation but, on the contrary, as a rather innocuous allusion to the work of a minor Futurist dramatist, notably Ruggero Vasari».13 È tuttavia difficile interpretare come «innocua» l'allusione gaddiana allo scrittore, giacché la valutazione è inequivocabilmente negativa. La studiosa propone, in sostanza, un «uso» del testo e non una sua «interpretazione».14
Il romanzo La meccanica (1928-29) sembra evocare già nel titolo un tema tipicamente futurista, vale a dire l'interesse per la velocità e per le macchine. Uno dei protagonisti, Franco Velaschi, ha infatti una particolare passione «per la meccanica» (da cui il titolo del romanzo) e per le motociclette. Quando, grazie all'intercessione dell'influente madre, egli riuscirà a evitare la chiamata al fronte, Velaschi mostrerà il proprio disprezzo verso la massa proprio attraverso una veloce corsa in moto:
Non faticò molto a raggiungere quella inimitabile performance e quasi apollinea magnificenza del dispregio, per che il guidatore di razza vien considerando le anatre e i passanti come gallinacei superflui, ben meritevoli del loro fato inmite, vista la povertà di spirito che li affligge e la goffa lentezza onde dimenano il loro inutile deretano, sparnazzando verso inesistenti prode a salvezza con coccodè beoti. [...] ma il guidatore, dattilografo e lynotipista vertiginoso, da ogni pozza esalta lastre paraboliche di fango stupendo e gioioso, che le luci dell'aurora gelida ravvivano di opalescenze bluastre; e rosee. Frizzante, il vento di corsa gli arrossa gli zigomi, e la punta e le pinne del naso, disegnando nella velocita il suo teschio e i muscoli delle mascelle contratte, prontezza e dispregio. Le potenti balestre molleggiano a ogni sussulto il suo elegante comando, e gli altri, lontani, bestemmiano ancora impegolati nel malumore nel fango nella giurisprudenza, ch'egli già nuovi e sempre verdi allori ha mietuto, di maledizioni verdissime (RR II 560-61).
Come osserva correttamente Bouchard,15 nella descrizione della corsa in moto Gadda cita Fondazione e Manifesto del futurismo, pubblicato da Marinetti nel 1909:
Partiamo! Finalmente, la mitologia e l'ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro [...]. Ecco, sulla terra, la primissima aurora! [...] E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli.
- Usciamo dalla saggezza come da un terribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d'orgoglio, entro la bocca immensa e torta del vento.16
Sono numerose le immagini che Gadda riprende dal testo di Marinetti: il viaggio in moto a tutta velocità attraverso la città e il momento in cui si svolge («l'aurora»), l'immagine dell'uomo-centauro, delle pozzanghere e del vento che, durante la corsa, va a modellare i tratti del viso (mascelle e zigomi), il disprezzo nei confronti dei passanti e della popolazione. La ripresa gaddiana ha tuttavia una valenza ironica: il motociclista-centauro, la cui corsa, con cifra stilistica altisonante, è definita come «inimitabile performance e quasi apollinea magnificenza del dispregio», viene degradato successivamente a «dattilografo e lynotipista»; i cani da guardia marinettiani divengono nel testo gaddiano «gallinacei» che muovo il loro «deretano»; gli «sguardi vellutati e carezzevoli» della morte che giungono dalle pozzanghere si trasformano in «lastre paraboliche di fango stupendo e gioioso». Gadda può aver tenuto presente anche i numerosi quadri futuristi che raffigurano motociclisti: si pensi, solo per citare qualche esempio, a Uomo nuovo di Mario Sironi (1918) (fig. 1) o al Motociclista di Fortunato Depero (1923) (fig. 2). Il rimando intertestuale e quello iconografico non sono tuttavia finalizzati, come ritiene la studiosa, a una celebrazione del futurismo che diviene anzi oggetto di ironia. Non da ultimo, è significativo che Gadda utilizzi come ipotesto Fondazione e Manifesto del futurismo, in cui si esalta la guerra come «sola igiene del mondo», per celebrare un personaggio che paradossalmente fa di tutto per evitare di essere inviato al fronte.
Bouchard17 coglie un altro richiamo al futurismo nel ritratto della protagonista, la conturbante e tizianesca Zoraide, che sarebbe condotto secondo una tecnica tipicamente futurista:
Da quel tristo specchio l'immagine femminea di Zoraide risfolgorava per i più cupi romanzi: un dannunziano in ritardo ci regalerebbe seduta stante il suo spropositato capolavoro.
Difatti, nel ravviarsi che fece, il suo corpo era passato dall'aspetto squisito della pacatezza, cui, con lieve respiro, s'era abbandonata ricamando, a una linea di fierezza fisica da dar dei brividi a un cane.
Serrati i talloni, alle caviglie tendinee succedeva la simmetria delle gambe dentro la calza attillata, cui sapienti muscoli rendevano vive per ogni spasimo. Poi una certa gonnella, corta per la miseria, non per la moda: e non facea mistero di quel che celasse. Erano le proposizioni vive dell'essere, compiutamente affermate, che rendono al grembo come una corona di voluttà deglutitrice: fulgide per latte e per ambra si pensavano misteriose mollezze da disvelare per l'elisia e impudica serenità del Vecellio, con drappo di dogale porpora, e d'oro: le quali non dicono facilità o desiderio, ma sagace e volente dominazione. [...]
E dal viso florido, un po' irregolare nel mento di sotto alle labbra piene e melodrammatiche, che erano stilisticamente in contraddizione col resto, aveva piantato nello specchio due occhi intenti, iridati d'oro e di cénere, perfidamente taciti e calmi: cui lo specchio si dava a riprodurre implacabile, preso da un attacco di zolianesimo, funzionario della meticolosa analisi, fotografo de' lunghi cigli e delle loro ombre d'amore: mentre se fosse stato un uomo, magari anche un novecentista, la fotografia sarebbe riuscita catastroficamente sintetica. Bisognava prenderla a tradimento, ché con le buone non c'era niente da fare.
Zoraide aprì finalmente e uscì sul terrazzino, decisa. Sui terrazzini, da lato e di fronte, nel sole tèpido, c'erano già per qualche loro occorrenza altre diciassette donne [...] (RR II 471-72).
Bouchard afferma giustamente che «Zoraide is a polymorphic being»:18 essa viene descritta giustapponendo una molteplicità di modelli iconografico-letterari e di registri stilistici, anche in conflitto tra loro. Zoraide inizialmente appare come un personaggio dannunziano, dalla sensualità languida e decadente; successivamente, con un repentino abbassamento stilistico, la descrizione si sofferma in modo quasi voyeuristico sul corpo muscoloso della donna e su alcuni particolari come i talloni, le caviglie, le calze attillate o la gonna, che evocano una sensualità quasi triviale («da dar dei brividi a un cane»). Il testo vede poi un successivo innalzamento stilistico: Zoraide viene associata alle opere di Tiziano (si pensi alla Venere allo specchio o alla Venere Anadiomene).19 Segue un ulteriore cambiamento: nell'ultima serie di immagini la donna è vista nuovamente dinanzi allo specchio, che le rimanda in modo "fotografico" le fattezze, e poi sul balcone di casa, in un contesto sottoproletario: questa volta il modello, evocato esplicitamente, è il naturalismo di Zola.20 La studiosa si sofferma in particolar modo su questo passaggio testuale: «fosse stato un uomo, magari anche un novecentista, la fotografia sarebbe riuscita catastroficamente sintetica», che così commenta: «A quotation from the novel explicitly situates the polyphony of voices and speech styles at work in the characterization of Zoraide within the sphere of Futurist analogical practices».21 In sostanza, Gadda si comporterebbe qui come un futurista («un novecentista») che realizza un ritratto «sintetico», vale a dire "simultaneo". L'intento di Gadda sembra in effetti quello di cogliere il personaggio quasi di sorpresa, in momenti e contesti diversi, per poterne dare un'immagine e una descrizione il più possibile esaustiva: «Bisognava prenderla a tradimento, ché con le buone non c'era niente da fare». In questo «simultaneismo» la studiosa sembra dunque cogliere un'adesione di Gadda al futurismo. E ai molteplici richiami iconografici presenti nella descrizione si potrebbe, forse, aggiungere anche Simultaneità. Donna al balcone (1912) di Carlo Carrà (fig. 3): comune al testo e all'opera d'arte sono la raffigurazione di una donna che incede su un balcone, vista di spalle, le volumetrie del corpo (Gadda parla di «sapienti muscoli») nonché la carica erotica che emana dalla figura. Il riferimento al futurismo (ammesso che Gadda con questo termine si riferisca a tale movimento e non al Novecento italiano, come accade invece in San Giorgio in casa Brocchi) e il ritratto "simultaneo" di Zoraide dimostrano certamente la conoscenza, da parte di Gadda, delle tecniche e delle tematiche futuriste, ma non sembra necessariamente implicare un'adesione alla poetica e all'ideologia di questo movimento. Lo scrittore dichiara esplicitamente che un'eventuale raffigurazione compiuta da un novecentista sarebbe stata «catastroficamente sintetica», vale a dire che sarebbe stata inadeguata a cogliere la complessità del reale cui allude il multiforme ritratto di Zoraide. Gadda cita dunque il futurismo, ma per dichiararne l'insufficienza a rappresentare in modo esaustivo la realtà. La descrizione di Zoraide ha piuttosto una valenza «metapoetica»:22 Gadda evoca modelli narrativi come quello decadente (d'Annunzio), quello tardo-romantico (Flaubert), il naturalismo di Zola e quello futurista-avanguardista per dichiararne in realtà la sostanzialmente limitatezza a descrivere una realtà complessa che sfugge a un unico paradigma interpretativo.
Procedendo in ordine cronologico, altri riferimenti a Marinetti e al futurismo si trovano ne La Madonna dei filosofi (1931) e ne L'incendio di via Keplero (1930-35).
Protagonista de La Madonna dei filosofi è Emilio, figlio di un industriale, che morirà al fronte durante la Prima guerra mondiale: nel personaggio convergono caratteristiche di Gadda stesso e del fratello Enrico. Emilio, si racconta nel romanzo, aveva iniziato a scrivere versi poetici all'età di quattordici anni:
I versi di Emilio però, a differenza di quelli delle riviste, non erano destituiti di senso comune: le rime, anche se il ritmo fosse libero, erano nòbili, agévoli, e ragionévoli: l'andamento metrico non privo d'originalità: e «lo stile» non riceveva a ogni passo un calcio di dietro, passando, come fanno, di colpo, dal pretestato allo sciatto, dal frack agli sbrendoli, dal famigliare al teatrale, dal «fumiste» al «pompier»; e dal Petrarca e da Cino da Pistoia a Filippo Tommaso Marinetti a Paolo Buzzi ed a Fólgore.
Non c'era caso che giunchiglia fosse tirata a rimare con parapiglia, né, con fidanza, vacanza ? maestranza; né «l'astro d'argento» del recanatese e del calunniato di Dasindo, con il «moderno stabilimento» del milanese Buzzi; nè la bruniana ? vicchiana «cagione» con il «tram di circonvallazione», dello stesso «dinamico» ed «elettrico» Buzzi (RR I 77).
Qui Gadda contrappone la tradizione poetica italiana, rappresentata da Petrarca e da Cino da Pistoia, ai poeti futuristi come Marinetti, Luciano Folgore (188-1966) e Paolo Buzzi (1874-1944), evocati questi ultimi nel manifesto marinettiano Uccidiamo il chiaro di luna. L'autore esprime qui una evidente condanna nei confronti di una produzione poetica priva di «senso comune» e dalla forma destrutturata, come accade nella produzione paroliberista di Buzzi. Alle tematiche prettamente futuriste del «dinamico» ed «elettrico» Buzzi, che con Marinetti intendeva «uccidere il chiaro di luna», Gadda preferisce la lirica di Leopardi e di Prati (il «calunniato di Dasindo»). Anche in questo caso Bouchard ritiene che le dichiarazioni di Gadda, inserite in un contesto autoironico, non possano essere interpretate come critiche al futurismo:
The references from "La Madonna dei filosofi" [...] remain framed by a context of self-irony; embedded, that is to say, within a narrative that enfolds parodically unto itself. Otherwise stated, following a typical Gaddian procedure, the narrative context consistently undermines the authority of the narrative voice, thereby preventing the reader from assigning a truth-value to the speaker's comments.23
Le affermazioni della studiosa non sono tuttavia condivisibili perché nel passo citato risulta evidente, proprio per il tono sarcastico, l'intento critico nei confronti della produzione futurista.24
Marinetti viene esplicitamente citato all'inizio di un'altra celebre prosa gaddiana: L'incendio di via Keplero (1930-35). Il racconto descrive la repentina reazione dei condomini dinanzi all'improvviso deflagrare dell'incendio. L'inizio del racconto è il seguente:
Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco [...] (RR II 701).
Il racconto si apre con un esplicito richiamo a Marinetti, qui evocato ironicamente anzitutto attraverso il titolo di «Eccellenza» che, come ricorda Contini nell'Introduzione a Accoppiamenti giudiziosi,25 spettava allo scrittore in quanto accademico d'Italia. Un ulteriore riferimento al futurismo si ha con il termine «simultanare»: si tratta di un neologismo gaddiano attraverso il quale lo scrittore, come già rilevava Contini,26 rinvia (ironicamente) alla teoria futurista del simultaneismo. Contini interpretava infatti il racconto come una «comica quanto vittoriosa concorrenza con l'arte del "simultanare" avanzata da quell'aspirante-espressionista che fu Marinetti».27 Facendo leva su questa affermazione del critico, Bouchard scrive:
the narrator's opening statement that fire is capable of better synthesis than "His Excellence Filippo Tommaso Marinetti" does not indicate a clear intent, on Gadda's part, to openly discredit Marinetti. More specifically, since the fire that Gadda is introducing is, of course, the product of his authorial pen, the opening comes to reveal a playful attempt to surpass a venerable model in the creation of images capable of capturing a variety of characters and situations in the briefest moment of time. Readers familiar with "L'incendio" will recall that this is precisely what happens, as the fire forces the tenants to rush out of the burning apartment complex in an extremely rapid succession of heterogeneous images.28
Secondo la studiosa l'inizio del racconto non conterrebbe alcuna intenzione di screditare il futurismo, ma piuttosto implicherebbe il tentativo di superare «a venerable model in the creation of images». È tuttavia innegabile, anche in questo caso, il tono parodico con cui Gadda si riferisce a Marinetti ricordandone il titolo accademico, tono che il giudizio di Contini non smentisce affatto, ma anzi conferma poiché la «gara» tra Gadda e il futurismo è definita «comica». Il confronto con il movimento d'avanguardia, inoltre, non sembra porsi affatto nei termini di un superamento di un modello considerato positivamente («venerable»). Certamente nel racconto Gadda descrive in parallelo, con straordinaria maestria narrativa, eventi che avvengono in successione temporale e in questo senso Gadda "cita" la categoria futurista del simultaneismo cui però contrappone, in modo scherzoso ma anche polemico, un nuovo realismo avente lo scopo di raffigurare la realtà nella sua complessità. Ancora una volta il futurismo viene evocato per dichiararne l'inadeguatezza espressiva e gnoseologica.
Si prenda ora in considerazione San Giorgio in casa Brocchi (1931). Nel racconto, come si è detto, una scandalosa mostra del Novecento italiano va a sostituirsi a una mostra del futurismo, e una statua di San Giorgio prende il posto del Ritratto della marchesa Cavalli:
Nelle sale della celebre galleria, che da diversi decenni a questa parte ne ha visto. di tutti i colori, quel meraviglioso San Giorgio occupava il posto serbato, pochi dì prima, durante l'esposizione de' Futuristi, al «Ritratto della Marchesa Cavalli»; la cosa si spiega (cioè che una scultura, in centro sala, abbia potuto occupare il posto d'un ritratto) col notare che il «Ritratto della Marchesa Cavalli» era un ritratto a tre dimensioni; dove le diverse falde cromatiche, bianco del viso, rosso delle gote, nero dei sopraccigli, eccetera, erano costituite da pezzi di legno, di cuoio e di panno colorato, armati alcuni con fil di ferro, i quali ruotavano a cerniera su dei pernetti infissi al posto delle ghiandole lacrimali e anche sotto, lungo tutto il naso, che era di zinco, nel mentre le occhiaie amorose e profonde della stupenda marchesa potevano sventagliare alla lor volta in un numero infinito di direzioni, a piacere dei visitatori, ed erano due ritagli di latta. Anche le pupille, dal di dietro del ritratto, si potevano manovrare abbastanza facilmente per modo da far roteare a volontà lo sguardo della marchesa, portandolo a trafiggere d'un dardo concupiscente il primo salumiere che entrasse: sebbene. qualche manovratore inesperto finiva per cavarne dei dolorosi effetti di strabismo (RR II 657-58).
Lipparini29 prima e Kleinhans30 poi hanno riconosciuto nel ritratto della marchesa Cavalli un'opera perduta di Giacomo Balla, il Ritratto della marchesa Casati con gli occhi di mica e il cuore di legno (1916) (fig. 4), esposta solo alla Grande Esposizione Nazionale Futurista del 1919 nelle sedi di Milano (Galleria Centrale d'Arte di Palazzo Cova) e Genova (Galleria Centrale). L'opera (oggi perduta) era una creazione polimaterica costituita dalla combinazione di molteplici materiali. Paul d'Olan, che la recensisce sulla rivista «Mercure de France»,31 riferisce che il corpo era fatto di cartone e legno dipinto di bianco, la zona dei capelli era color rame, la bocca verniciata di un rosso acceso; gli occhi erano fatti di mica (il recensore li scambia erroneamente per vetro) e si potevano aprire o chiudere grazie a un meccanismo messo in movimento dal cuore, una sorta di maniglia a forma di virgola che lo spettatore poteva eventualmente azionare. Oltre alla recensione di d'Olan, tra le attestazioni coeve si possono ricordare una riproduzione fotografica pubblicata sulle copertine delle riviste «Mondo» nel marzo del 191932 e «Roma futurista» l'8 febbraio del 1920, un commento della Sarfatti, che definisce il ritratto «divertente e somigliantissimo in quanto ritratto con le sue complicate strutture di legno, vetro e luccicanti stagnole»,33 una fotografia di Filippo Tommaso Marinetti del 1932 nella sua casa, con alle spalle la scultura.
Per quanto concerne il soggetto, l'opera raffigura l'eccentrica marchesa Luisa Casati, che fu icona del decadentismo: era stata amante di d'Annunzio, che ne fa la protagonista di Forse che sì forse che no (1910) e la menzionerà, ancora nel 1935, con il nome di «Corè» (allusione a Persefone) nel Libro segreto. Successivamente sarà musa ispiratrice del futurismo: Marinetti, nel suo romanzo futurista intitolato L'alcova d'acciaio (1921), dirà di lei:
La marchesa Casati è uno dei nostri più originali prodotti nazionali. Questa milanese geniale ha saputo per due anni di seguito battere clamorosamente in eleganza eccentrica e in sbalorditiva creazione di bizzarrie e snobismi tutto ciò che di più originale, elegante, eccentrico snobistico conteneva Parigi. Essa rimane la prova vivente che l'Italia se vuole può domani vincere anche il primato della moda Parigina. La marchesa Casati è inoltre appassionata conoscitrice d'arte futurista, la difende e l'impone nella società romana. Sono meriti importanti che io particolarmente apprezzavo mentre l'Italia si valorizzava integralmente al fronte.34
La Casati era una sorta di dandy al femminile, celebre per le sue stravaganze: era solita presentarsi in pubblico con il volto sbiancato con delle polveri, la bocca rossa di biacca, le pupille dilatate con gocce di belladonna e gli occhi cerchiati di bistro allo scopo di accentuare la carica magnetica e sensuale del suo sguardo. Quello degli occhi diventa una sorta di emblema della marchesa: d'Annunzio, in una lettera inviata alla Casati, parla dei suoi occhi che «brillano in cima alla sua perversità come quegli occhi foggiati dal vetraio in cima agli steli di vetro»;35 Alberto Martini, in un suo manoscritto, afferma che «le pupille artificialmente dilatate davano a quegli occhi strani apparenza irreale, come quelli delle insuperate sculture egizie».36 Il motivo degli occhi magnetici, cerchiati di nero (o di blu) e con le pupille dilatate, è un elemento presente anche nelle numerosissime raffigurazioni della marchesa fatte da artisti come Alberto Martini, Giacomo Balla, Giovanni Boldini, Carlo Carrà, Kees van Dongen, Fortunato Depero, Man Ray:37 la stessa marchesa ne collezionerà più di cento tra tele, sculture e fotografie. Tra queste si possono ricordare anzitutto due tele di Boldini: La marchesa Luisa Casati con un levriero (1908) (fig. 5) e La marchesa Luisa Casati con le penne di pavone (1911) (fig. 6). La prima tela viene esposta al Salon di Parigi nel 1908 e ottiene subito grande successo. Il critico Arsene Alexandre, in una recensione pubblicata su Le Figaro, rimane colpito dall'aura diabolica che proviene dalla figura "serpentina" della marchesa che paragona a una «femme anguille», a una «femme fantôme» e che considera come una «anti-Joconde».38 Un ruolo centrale è svolto, secondo il critico, proprio dai grandi occhi «dont les regards dardent des feux croisés».39 Prima della pubblicazione della foto del dipinto il critico diffonde sulla rivista Comoedia una vignetta intitolata non a caso Deux yeux dans un chapeau in cui viene accentuato, con tratto quasi caricaturale, proprio il particolare degli occhi.
Nella seconda tela di Boldini la Casati appare di profilo, ma anche qui assume particolare rilievo il grande occhio della marchesa, che si ripete negli occhi delle piume di pavone utilizzate forse per un qualche rito magico.
Interessante è anche il Ritratto di Marinetti (1910-11) di Carlo Carrà (fig. 7), in cui la Casati non compare, ma l'artista aggiungerà in un secondo momento (intorno al 1915)40 una lettera in cui Marinetti dedica il suo ritratto proprio alla marchesa: «Do il mio ritratto/dipinto da Carrà/alla grande futurista/Marchesa Casati/dagli occhi lenti di giaguaro che digerisce al sole la gabbia d'acciaio divorata».
Il particolare degli occhi ritorna anche nel già citato romanzo marinettiano L'alcova d'acciaio: nel descrivere la Casati che gli si fa incontro nel giardino della sua villa romana, il narratore autodiegetico è colpito dai «grandi occhi neri, lenti che fissano un punto poi un altro con le pause di un proiettore» e dalle «occhiaie caste e fonde» che «contengono una involontaria magia di cerchi azzurri che si svolgono all'infinito».41
Il motivo degli occhi è altresì presente nei Ritratti di Luisa Casati (1921) realizzati da Kees van Dongen o nelle numerose raffigurazioni realizzate da Alberto Martini. Tra queste si può ricordare La marchesa Casati in Euterpe (1931) (fig. 8), dove la marchesa sorregge un violino con una mano rugosa e le vene in rilievo. Il particolare degli occhi moltiplicati costituisce un omaggio al celebre scatto fotografico di Man Ray, dove la marchesa appare con tre coppie d'occhi. La foto era in realtà frutto di un errore tecnico (la Casati si era mossa durante i tempi prolungati di esposizione), ma la donna fu entusiasta del risultato perché la raffiguravano come una sorta di medusa.
Per quanto concerne l'ecfrasi gaddiana, essa insiste, come osserva Kleinhans,42 anzitutto sulla tridimensionalità dell'opera («era un ritratto a tre dimensioni»), elemento che sembra riflettersi poi nell'uso retorico del tricolon per descrivere la gamma cromatica del volto («bianco del viso, rosso delle gote, nero dei sopraccigli») e i materiali utilizzati («pezzi di legno, di cuoio e di panno colorato»). Probabilmente i sopraccigli e le palpebre erano colorati di blu, come riferisce Lista,43 Gadda parla invece di «nero de' sopraccigli». In una versione precedente del racconto, come ricorda Vezzoni,44 si legge tuttavia «blue dei sopraccigli», variante che cade a favore del nero: Gadda conosceva questo particolare dell'originale, ma voleva forse rifarsi all'iconografia più diffusa (si pensi alle opere di Boldini, di Depero o al celebre scatto fotografico di Man Ray), in cui l'accento è posto sugli occhi cerchiati di nero e sulle profonde occhiaie della marchesa. Gadda menziona infatti, con chiaro intento ironico, «le occhiaie amorose e profonde» della Casati, possibile ripresa delle «occhiaie caste e fonde»45 del romanzo di Marinetti, dove è presente il particolare degli occhi cerchiati di blu («cerchi azzurri»), come da prima variante. È dunque probabile che Gadda, nella prima redazione del racconto, abbia utilizzato come ipotesto proprio il romanzo di Marinetti. Ciò sembrerebbe confermato da un ulteriore dettaglio. Nella prima redazione del racconto, subito dopo il ritratto della marchesa, Gadda cita «il "Vortice di pappagalli" di De Pero».46 Lo scrittore, come suggerisce Vezzoni (2013, p. 292), molto probabilmente si riferisce a un'opera del futurista Fortunato Depero intitolata Rotazione di ballerina e pappagalli (1917-18) (fig. 9), legata all'esperienza teatrale dell'artista47 che, su incarico di Serge Diaghilev, progetta per la celebre compagnia dei Balletti russi le scene e i costumi dello spettacolo Le Chant du Rossignol, su musiche di Stravinskij. Nell'opera di Depero una ballerina, dalla foggia meccanica e combinata con dei pappagalli colorati, volteggia in un passo di danza rapidissimo, quasi in un vortice. Nel passo de L'alcova d'acciaio in cui Marinetti incontra la Casati, l'autore è colpito da un pappagallo48 che si trova nel giardino e poi subito dopo si reca con la marchesa a Roma per assistere allo spettacolo teatrale dei Balli plastici di Depero. Si tratta di un'ulteriore possibile conferma che nel racconto San Giorgio in casa Brocchi Gadda si sia riferito proprio al romanzo futurista di Marinetti.
Ritornando all'ecfrasi dell'opera di Balla, lo scrittore, dopo essersi soffermato sulla tridimensionalità dell'artefatto, considera con particolare attenzione e curiosità il meccanismo che permette di muovere gli occhi della marchesa. Grazie ad esso gli spettatori potevano
far roteare a volontà lo sguardo della marchesa, portandolo a trafiggere d'un dardo concupiscente il primo salumiere che entrasse: sebbene. qualche manovratore inesperto finiva per cavarne dei dolorosi effetti di strabismo (RR II 567).
nota qui il rovesciamento parodico cui va incontro la figura della marchesa Casati: il suo celebre e fascinoso sguardo non va più a colpire e conturbare artisti decadenti e raffinati intellettuali, ma un ben più prosaico salumiere. Non solo: qualche manovratore inesperto avrebbe potuto alterare lo sguardo della marchesa creando un effetto di strabismo, comico rovesciamento dello "strabismo di Venere".49 Da idolo celebrato dai decadenti prima e dai futuristi poi, la Casati si trasforma, nell'ecfrasi gaddiana, in una sorta di prosaico e comico giocattolo, non molto diverso dai giocattoli futuristici creati da Depero cui si allude nella prima versione del racconto. Attraverso l'ironica ecfrasi del manufatto artistico di Balla, Gadda sembra dunque esprime il suo giudizio negativo verso le pratiche estetiche decadenti e, soprattutto, futuriste, che appaiono allo scrittore come un ingenuo tentativo di descrivere la realtà moderna, tentativo destinato a fallire poiché il futurismo non è in grado di cogliere realmente la complessità degli avvenimenti economici e culturali (l'industrializzazione, l'avvento delle macchine ecc.) che stanno profondamente cambiando il paese.
L'ironia nei confronti del futurismo è riscontrabile anche nel passaggio successivo:
In quella sala, dove una nuova epoca s'era dunque iniziata per la storia del ritratto, l'audace distruttore-ricostruttore era stato incoronato d'alluminio; ma subito dopo un'altra «tendenza», un'altra «revisione di valori» aveva occupato la sala, con un'altra esposizione: perché lo slancio mistico della ricerca ha questo di buono che, come misticismo, è un misticismo a cui si aprono quarantaquattro possibilità.
Così, dopo il «pugno nello stomaco» de' Futuristi, vennero il San Giorgio e la Triennale Milanese: dove, contro gli ultimi ruderi d'un ritardatario Ottocento, caparbio e duro da morire, si levava, con grido possente di vita, un caleidoscopico Novecento (RR II 658).
L'opera di Balla, dichiara ironicamente Gadda, aveva determinato proprio nelle sale della Triennale una nuova epoca per il ritratto, e per questo Marinetti, evocato qui solo indirettamente attraverso la perifrasi «audace distruttore-ricostruttore», ma esplicitamente citato in una precedente redazione del racconto, ottiene la gloria poetica che è però simboleggiata non dalla tradizionale corona d'alloro, ma da una corona d'alluminio. Questa moderna «apoteosi» rimanda ironicamente al mondo delle macchine celebrate dal futurismo, ma allo stesso tempo ne indica la natura fugace ed effimera. La parabola del futurismo è infatti giunta al termine e al suo posto si afferma una nuova corrente artistica, il Novecento: «Così, dopo il "pugno nello stomaco" de' Futuristi, vennero il San Giorgio e la Triennale Milanese». Gadda allude qui a una scultura di Balla intitolata Linee forza del pugno di Boccioni (1915) (fig. 10) con cui l'artista voleva ricordare e celebrare la morte di Boccioni durante la Prima guerra mondiale. L'opera intendeva descrivere la traiettoria curvilinea della mano di Boccioni mentre sferra un pugno in avanti. Gadda rovescia ironicamente la celebrazione futurista del pugno, simbolo stesso del movimento, perché, come osserva Kleinhans,50 sono i futuristi adesso a "subire i colpi" da parte di una nuova avanguardia artistica che li soppianta.
Ulteriori accenni ironici all'estetica o alle opere futuriste si ritrovano sin dall'inizio del racconto, dove si descrive Jole, la bella cameriera di casa Brocchi, mentre sta portando fuori per la passeggiata serale il cane Fuffi, che
di tanto in tanto, dopo aver meticolosamente inseguito a guinzaglio teso e col muso contro terra [solleva] tutt'a un tratto, contro il più nobile degli Ippocastani, la quarta zampetta, come a dire: «Questo qui, proprio, mi merita la spesa!» (RR II 645).
Kleinhans51 coglie giustamente una citazione del dipinto di Balla Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912), come sembra suggerire l'allusione al guinzaglio e alla «quarta zampetta»: il dipinto subisce però un abbassamento ironico poiché nel testo gaddiano il cane viene descritto mentre espleta le sue necessità fisiologiche. Fin dall'inizio il racconto si svolge sullo sfondo di una Milano che «già si avviava a diventar metropoli» (RR II 657): mentre Jole si trova nei pressi del Politecnico «veri giovinastri le avevano indirizzato in pieno marciapiede dei sirventesi elettromeccanici, fra sconce risate» (RR II 648); durante la sua passeggiata serale con il cane Fuffi, «frotte di bersaglieri ritardatari [...] in corsa con piume nel vento di primavera dice[vano] a Jole dei madrigali a tutto vapore», mentre i «tram vuoti galopp[avano] verso le tettoie suburbane o semivuoti verso le formicolanti stazioni» (RR II 645). Il paesaggio urbano, con il richiamo ai tram, al vapore e alle stazioni, rimanda a temi futuristi; Kleinhans52 coglie nella descrizione della città alcune allusioni a La città che sale (1910) di Boccioni e a Ciò che mi ha detto il tram (1911) di Carrà; il motivo dei bersaglieri, poi, potrebbe essere desunto da L'alcova d'acciaio, dove compaiono assai frequentemente «i bersaglieri piume al vento».53 Evidente è tuttavia il tono ironico, come testimoniano le espressioni «sirventesi elettromeccanici» e «madrigali a tutto vapore»: l'ironia si basa sul contrasto tra il rimando alla tradizione lirica aulica del Medioevo e del Rinascimento («sirventese», «madrigale») e l'allusione alla modernità («elettromeccanici», «a tutto vapore»). D'altro canto, i generi della tradizione aulica vengono degradati a livello di battute sconce rivolte da studenti e bersaglieri a una fanciulla avvenente. Non è da escludere che Gadda qui pensi alla lirica futurista come a un pervertimento della tradizione lirica, come egli stesso aveva già dichiarato ne La Madonna dei filosofi. Gadda descrive certamente una Milano in rapida crescita urbana citando temi futuristi, ma in funzione critica: nella descrizione della Milano industriale non sembra esserci nulla della epica celebrazione futurista del progresso e delle macchine, mito che, al contrario, Gadda sfata anche nel racconto San Giorgio in casa Brocchi, come si può evincere dal seguente passo testuale:
L'idea dell'auto, poi, è accessibile di primo acchito anche ai più profondi speculatori, oltre che ai portinai della contessa e alle loro duecento interlocutrici: auto significa, all'incontro torrido delle sere d'estate, carezza di dolce frescura: significa corsa e volo oltre ogni pioppo della verde pianura, ebbrezza del lontanare verso nuvoloni dorati: visione fantasmagorica di panorami brianzuoli, con Tramaglini in bicicletta e Mondelle e fontane inesauribili di coccodè dentro un polverone accecante, scansati i più zelanti paracarri, i più perniciosi chiodi.
Il fatto è che ogni domenica di quel maggio e poi di quel giugno, alle due precise, quel giovinotto si imbarcava la Jole sulla sua pazza 521 e qualche volta erano perfino in quattro, due ragazze e due «giovinotti»! (RR II 646).
Gadda demistifica l'altisonante e retorica celebrazione futurista dell'automobile smascherando il simbolismo sessuale a esso sotteso. Nel romanzo marinettiano l'alcova cui allude il titolo è l'«autoblindata 74», una macchina da guerra dalle fattezze di donna con la quale il protagonista si congiunge in un paradossale amplesso:
Fu la sorte a designarmi come compagno della bella 74. Subito le baciai i fianchi d'acciaio, la grande palpebra metallica e lei mi ringraziò con un mezzo giro della sua cupola ornata d'un fascione tricolore. Volli, allora, penetrare nella sua anima. Tutta affettuosa, la mia 74 mi aprì sportello destro e sportello di sinistra cosicché occupando il seggiolino della sua volontà e impugnando il volante dei suoi segreti pensieri la slanciai fuori a bella velocità giù per la strada tortuosa che scende al porto di Genova.54
La macchina è raffigurata simbolicamente come un corpo femminile, come una sorta di "utero meccanico" in cui può nascere un nuovo individuo, una sorta di Übermensch futurista, e la folle corsa in cui il guidatore lancia l'autoblindata esprime il vitalismo che connota tale homo novus.55 Nella descrizione della corsa con la «pazza 521» (possibile rimando all'«autoblindata 74» marinettiana) del giovane Vanzaghi, al contrario, non vi è nulla della palingenesi superomistica descritta nel romanzo: Vanzaghi è «"un guidatore disperato.!". Terrore delle galline di Brianza, delle anatre di Vimodrone» (RR II 646). Rimane certamente il legame tra macchina e dimensione sessuale, ma Gadda ne ridimensione ironicamente la portata e il significato: l'auto non favorisce affatto la nascita di un Übermensch futurista, ben più prosaicamente è un mezzo con cui sedurre delle belle fanciulle. Non vi è nulla, insomma, dell'acritica e incondizionata celebrazione futurista delle macchine, del progresso e dell'industrializzazione, nessuna celebrazione vitalistica e superomistica. Al contrario, dietro l'ironica allusione manzoniana ai Tramaglini, alle Mondelle e ai «paesaggi brianzuoli» è possibile scorgere una dolente nota elegiaca con cui Gadda ricorda le «strade di Lombardia»,56 percorse un tempo dagli amati Savoldo, Moretto e Caravaggio e ora invece disturbate dalle roboanti corse delle automobili. È un tono elegiaco che si può ritrovare anche in una possibile fonte iconografica suggerita da Lipparini,57 vale a dire le tempere che un Boccioni prefuturista (la scelta gaddiana non è casuale) realizza nel 1904 per il l'Automobil Club d'Italia (figg. 11 e 12). Qui l'artista realizza quasi delle «piccole scene di genere»58 in cui famiglie di contadini, con bimbi circondati da pulcini e galline, vengono terrorizzate dalle corse in auto. L'intenzione dell'artista era quello di mostrare, con tono umoristico, l'ingresso della modernità in una società, come quella italiana, ancora profondamente contadina.
Dopo la disamina fin qui condotta, appare dunque assai dubbia l'affermazione della Bouchard, secondo la quale nel racconto San Giorgio in casa Brocchi «in the Futurist presence Gadda locates the possibility of an alternative to the conservative, middle-class beliefs and values of "Ottocento Milanese"».59 A ciò si aggiunge un ulteriore malinteso che va a compromettere l'interpretazione del racconto: la studiosa scambia infatti il pittore Penella per un futurista,60 quando invece nel testo si dichiara esplicitamente che è un artista appartenente al movimento sarfattiano del Novecento italiano, cui la studiosa non fa alcun riferimento.
Dopo il racconto San Giorgio in casa Brocchi ritroviamo un altro breve riferimento al futurismo nel racconto incompiuto La casa (1935-36) dove si allude alle «strombazzate dei futuristi tromboni» (RR II 1118).
Negli anni successivi i riferimenti al futurismo e a Marinetti assumono un tono ancor più sarcastico. Si veda il seguente passo de L'uomo e la macchina (1943):
Filippo Tommaso, celebratore del «futuro» e innografo dell'«energia», non gli è parso vero a' suoi anni di aversi a buttar sulle macchine e sul loro trepestio, aggiungendo i chiassi al fracasso. Non mi sa ch'egli abbia mai sudato sangue negli offici di fabbrica o di cantiere, caricandosi di quella soma di preveggenti fatiche la qual si domanda «responsabilità», né di quell'altra soma, di intente opere, la qual si domanda «lavoro». Incombenze che sono così lontane dagli inni, come l'arrosto è lontano dalle buone parole. Le parole, in ogni modo, gli son venute buone in teatro: da esagitarsi nelle lodi della macchina, e dell'«energia» della macchina. La civiltà meccanica, alla luce di un tal verbo, si è poco arricchita di buone macchine: e meno ancora di buone azioni (SGF I 256-57).
Qui l'ingegnere Gadda smaschera il carattere puramente retorico della celebrazione marinettiana, realizzata per di più da chi non ha mai lavoro in un cantiere o in una fabbrica. Ne I miti del somaro (1944) Marinetti viene esplicitamente associato al duce ed è oggetto di un'invettiva i cui toni ricordano quelli di Eros e Priapo:
La incredibile trivialità del cervello [scil. di Mussolini] ha raccattato l'«Idea» dal guazzabuglio di orecchiati filosofemi [...] e dallo energico, anzi convulsivo strabuzzar d'occhi di Filippo Tommaso. Si esibì, costui, araldo in palco della decima musa, l'aristotelesca e d'annunzianesca ένέργεια (SVP 919).
Nella recensione intitolata Rivelazione e bonae literae lungo la storia ascendente (1945) Gadda esprime il suo sarcasmo verso il paroliberismo di Marinetti, il cui nome viene storpiato in «Marionetti» a indicarne il carattere istrionico e teatrale:
Il verboso epinicio del futuro, per converso, esplode come trombone in fiera e petardo dalla pseudo-epilessia del dipoi accademico Filippo Tommaso Marionetti. Pim pùm pàm! E il futuro è garentito al limone. Come s'è visto (SGF I 909).
Ne I conforti della poesia, discorso tenuto in occasione del conferimento del premio letterario Le grazie (1949), Gadda esprime tutte le sue riserve verso la tecnica poetica futurista basata sulle onomatopee e sull'atomizzazione del verso:
In genere la tecnica distributiva del materiale, della colata poetica, - nei lingotti vari dei versi -, cioè a dire dei righi, - risulta alquanto imperscrutabile: un misterioso movente, che sospetto debba essere l'afflato poetico vero e proprio, spezza e sminuzzola enunciati ovvii nel briciolame vario dei me, dei là, dei cucù, dei tze-tze onde una frase, al più ordinaria magari, si dissocia negli splendidi atomi. È quel che succede a un bel vaso della Cina, appena lo si lascia cader per terra.
Questa tecnica così moderna, ne' suoi intenti, e d'effetto così caramente impreveduto ebbe forse, ne' passati anni, un futuristico avvio. Lo schianto d'una granata alla guerra d'Adrianopoli, Filippo Tommaso era capace di significarlo con lo sconnettere i righi sulla piazza d'armi della pagina. I righi irradiavano, schizzavano, come da un centro esplosivo. Ogni rigo suonava come «pim pum taratrà pà pà», e tutt'insieme erano come gli spini di un riccio (SGF I 961-62).
Bouchard61 ritiene che, a partire dagli anni Quaranta, l'atteggiamento di Gadda nei confronti del futurismo e di Marinetti sia più sarcastico poiché l'intento dello scrittore sarebbe stato quello di prendere il più possibile le distanze dal fascismo (cui aveva aderito) e dai movimenti culturali ad esso riconducibili. Tale affermazione viene tuttavia facilmente smentita se si considera che inequivocabili affermazioni critiche verso l'avanguardia futurista e il suo fondatore sono presenti, come si è visto in precedenza, ben prima degli anni Quaranta. Gadda conosceva molto bene i testi e le opere futuriste, che cita in molti suoi testi, ed era certamente sensibile ai temi trattati dal futurismo come l'avvento delle macchine, l'industrializzazione, la modernizzazione delle città, l'avvento del cinema e della fotografia. Tali citazioni hanno tuttavia una funzione critica e sono funzionali a mettere in evidenza proprio la distanza che intercorre tra la poetica futurista e la sua propria poetica. A una celebrazione superficiale e ottimistica della modernità, cui corrisponde una ingenua estetica della simultaneità e delle «parole in libertà», Gadda contrappone la poetica del pastiche come unico strumento in grado di raffigurare la complessità del reale. Emblematico, in tal senso, è ancora una volta l'inizio di San Giorgio in casa Brocchi, che contiene tutti i principali Leitmotive che si dipaneranno nel corso della narrazione.62 Al «romanzo sintetico» futurista Gadda contrappone un testo stratificato e articolato, in sostanza un testo «labirintico» di cui è immagine emblematica il «dedalo della tovaglia» che la contessa Brocchi dedicherà al bel San Giorgio.63
N. R.
Note
1 Sul rapporto tra Gadda e il fascismo mi limito a citare alcuni dei saggi più significativi: R.S. Dombroski, Gadda: fascismo e psicanalisi, in Id., L'esistenza ubbidiente. Letterati italiani sotto il fascismo, Guida, Napoli, 1984, pp. 91-114; P. Hainsworth, Fascism and Anti-Fascism in Gadda, in Carlo Emilio Gadda. Contemporary Perspectives, ed. by M. Bertone and R.S. Dombroski, University of Toronto Press, Toronto 1997, pp. 221-41; C. Savettieri, Il Ventennio di Gadda, in Scrittori italiani tra fascismo e antifascismo, a cura di R. Luperini e P. Cataldi, Pacini, Pisa 2009, pp. 1-33; L. Matt, Gadda e il fascismo: tipologie discorsive e strategie stilistiche, in «Strapparsi di dosso il fascismo»: l'educazione di regime nella «generazione degli anni difficili», a cura di R. Morace, Napoli, La scuola di Pitagora, 2023, pp. 331-56; P. Zunino, Gadda, Montale e il fascismo, Bari, Laterza, 2023. 
2 N. Bouchard, Céline, Gadda, Beckett: experimental writings of the 1930s, Gainesville, University Press of Florida, 2000; Ead., (Re)Considering Gadda and Futurism, in «Italica», 79 (1), 2002, pp. 23-43. 
3 «In Italy, scholars of Gadda have been as active as their North American counterparts. [...] Despite this renewed critical however, the relationship between Gadda and the Futurist avant-garde remains, for the most part, unexplored. In short, although undeniably more attentive to Gadda's contemporary context, Italian critics, like their North American counterparts, continue to leave the Gadda's relationship with Futurism almost completely unexplored», in Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 24. 
4 Nell'anno successivo (1929) pubblicherà il racconto Cinema ed entrambi andranno a far parte della raccolta La Madonna dei filosofi.
5 C. E. Gadda, Lettere a Solaria, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 39. 
6 Sul rapporto tra Gadda e il cinema si veda F. Tuliozi, «Tutto sto cinema»: Carlo Emilio Gadda e l'esperienza cinematografica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2020. 
7 F. Benzi, Futurismo, Milano, 24 Ore Cultura, 2008, p. 13. 
8 Le opere di Gadda vengono citate dall'edizione diretta da Dante Isella. Esse vengono di seguito così abbreviate: RR I = Romanzi e racconti I, a cura di R. Rodondi, G. Lucchini, E. Manzotti, D. Isella, Milano, Garzanti, 2007; RR II = Romanzi e racconti II, a cura di G. Pinotti, D. Isella, R. Rodondi, Milano, Garzanti, 2007; SGF I = Saggi Giornali Favole e altri scritti I, a cura di L. Orlando, C. Martignoni, D. Isella, Milano, Garzanti, 2008; SGF II = Saggi giornali favole e altri scritti II, a cura di C. Vela, C. Gaspari, G. Pinotti, F. Gavazzeni, D. Isella, M. A. Terzoli, Milano, Garzanti, 2008; SVP = Scritti vari e postumi, a cura di A. Silvestri, C. Vela, D. Isella, P. Italia, G. Pinotti, Milano, Garzanti, 2009. 
9 «Si leggono così motivi vecchi e nuovi, futurismo, roba carducciana, satire sulle poesie altrui, satire sulle satire, poesie dei satirici, traduzioni dal francese, ecc. ecc.» (SGF II 800). 
10 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., pp. 25-26. 
11 J. Goldmann, Gaddas Mailand: ein Beitrag zur Großstadtliteratur, Universitätsverlag Winter, Heidelberg, 2018, p. 167. 
12 Il testo di Vasari in realtà criticava il culto marinettiano della macchina. 
13 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 40. 
14 U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1991. 
15 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 23. 
16 F. T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, 2010, p. 13. 
17 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., pp. 31-33. 
18 Ivi, p. 31. 
19 Sui richiami iconografici e letterari si rimanda a G. Güntert, La funzione narrativa degli elementi iconografici nella Meccanica di Carlo Emilio Gadda, in Alla frontiera del testo. Studi in onore di Maria Antonietta Terzoli, a cura di M. M. S. Barbero e V. Vitale, Roma, Carocci, 2022, pp. 487-507. 
20 In una variante testuale precedente si allude invece al «bovarismo» (RR II 472). 
21 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 32. 
22 M. Cometa, La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale, Milano, Cortina, 2012, p. 152. 
23 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 35. Sul passo si veda anche M. Kleinhans, «Satura» und «pasticcio»: Formen und Funktionen der Bildlichkeit im Werk Carlo Emilio Gaddas, Tübingen, Niemeyer, 2005, p. 82. 
24 Goldmann ritiene che il manifesto Uccidiamo il chiaro di luna costituisca un ipotesto del racconto Notte di luna, redatto nel 1924 e facente parte della raccolta L'Adalgisa. Gadda riprenderebbe dal testo marinettiano numerosi motivi come il tono esotico della descrizione, le immagini del giardino rigoglioso, dei binari illuminati dalla luna e l'urlo improvviso che rompe l'atmosfera sognante che caratterizza il racconto. Si tratterebbe di motivi che, secondo lo studioso, sono da interpretare «eher als eine motivische Persiflage», in Goldmann, Gaddas Mailand, cit., p. 171. 
25 G. Contini, Quarant'anni d'amicizia: scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), Torino, Einaudi, 1989, p. 40. 
26 Ivi, p. 49. 
27 Ibidem.
28 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 35. 
29 M. Lipparini, Le metafore del vero: percezione e deformazione figurativa in Carlo Emilio Gadda, Ospedaletto, Pacini, 1994, p. 140. 
30 M. Kleinhans, «UN CALEIDOSCOPICO NOVECENTO»: Zur Funktion der bildenden Kunst in Carlo Emilio Gaddas Satire: San Giorgio in casa Brocchi, in «Romanische Forschungen», 109 (1), 1997, pp. 24-46. 
31 Citato in F. Benzi, Luisa Casati e il futurismo: una musa per la modernità, in La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli. Catalogo della mostra (Venezia, 4 ottobre 2014-8 marzo 2015), a cura di D. Ferretti e G. Mori, Milano, 24 Ore Cultura, 2014, pp. 95-123: 104. 
32 Cfr. Lipparini, Le metafore del vero, cit., p. 140; A. Vezzoni, La peste a Milano. Iconografie dell'Otto-Novecento in «San Giorgio in casa Brocchi», in «I Quaderni dell'Ingegnere. Testi e studi gaddiani», n.s., 4, 2013, pp. 283-310: 285. 
33 Citato in G. De Marchis, Giacomo Balla. L'aura futurista, Torino, Einaudi, 1977, p. 64, senza indicazione della fonte. 
34 F. T. Marinetti, L'alcova d'acciaio: romanzo vissuto, Sera e Riva, Milano, 2014, p. 132. 
35 G. D'Annunzio, Infiniti auguri alla nomade: carteggio con Luisa Casati Stampa, Milano, Archinto, 2001, pp. 77-78. 
36 La divina marchesa, cit., p.142. 
37 Un'utile silloge delle raffigurazioni della marchesa Casati è presente in V. Villo, I ritratti della marchesa Luisa Casati tra 1900 e 1950, 2020, reperibile all'indirizzo web: https://www.academia.edu/11941965/I_ritratti_della_marchesa_Luisa_Casati_tra_1900_e_1950

38 Citato in G. Mori, D'Annunzio e Luisa Casati, Boldini e Boccioni: in corsa verso la modernità, in Giovanni Boldini: il piacere, a cura di B. Avanzi e T. Panconi, Trento, Mart, 2020, pp. 93-106: 96. 
39 Ibidem.
40 Cfr. Benzi, Luisa Casati e il futurismo, cit., p. 97. 
41 Marinetti, L'alcova d'acciaio, cit., p. 130. 
42 Kleinhans, «UN CALEIDOSCOPICO NOVECENTO», cit., p. 33. 
43 G. Lista, Balla, Modena, Galleria Fonte d'Abisso,1982, p. 77. 
44 Vezzoni, La peste a Milano, cit., p. 285. 
45 Marinetti, L'alcova d'acciaio, cit., p. 130. 
46 «Dopo un'esposizione futurista, durante la quale F. T. Marinetti aveva coronato d'alluminio l'autore < del > "Ritratto della Marchesa Giussani" composto di legno, di latta, di ottone, di vetro, e con le occhiaie di latta gr<><,> e il "Vortice di Pappagalli" di De Pero», in C. E. Gadda, Disegni milanesi, a cura di G. Pinotti e P. Italia, Pistoia, Can Bianco, 1995, p. 117, n. 23 e p. 147. 
47 Depero comporrà anche dei Balli plastici, quattro spettacoli di danza in versione futurista, ideati da Depero e Clavel, in cui i ballerini erano sostituiti da marionette meccaniche che danzavano su musiche d'avanguardia composte da Alfredo Casella. 
48 Il pappagallo era uno degli animali totemici della marchesa: si veda l'incisione di Julio de Blaas, La marchesa Luisa Casati nei panni di Arlecchino bianco o quella di Umberto Brunelleschi dal titolo La belle rencontre.
49 Cfr. Kleinhans, «Un caleidoscopico novecento», cit., p. 34. 
50 Ivi, p. 32. 
51 Ibidem.
52 Ibidem.
53 Marinetti, L'alcova d'acciaio, cit., p. 164. 
54 Ivi, p. 78. 
55 Sul romanzo futurista si veda A. Saccone, Il romanzo futurista, in Il romanzo in Italia, vol. II, a cura di G. Alfano e F. de Cristofaro, Roma, Carocci, 2018, pp. 91-106. 
56 R. Longhi, Da Cimabue a Morandi, Milano, Mondadori, 1973, p. 282. 
57 Lipparini, Le metafore del vero, cit., pp. 77-78. 
58 Vezzoni, La peste a Milano, cit., p. 297. 
59 Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 35. 
60 «Gigi's uncle, so we learn, has acquired a Futurist painting and now dines with its artist, Penella», Bouchard, (Re)Considering Gadda and Futurism, cit., p. 35. 
61 Ivi, p. 38. 
62 A tal proposito si veda F. Pianzola, Simboli e retoriche di «San Giorgio in casa Brocchi», in «Critica Letteraria», (2), 2010, pp. 271-300. 
63 La metafora del testo inteso come textus, nonché il legame tra creazione artistica e pulsione sessuale, ritornerà nel Pasticciaccio (cap. VI) nella «coperta da letto» di Zamira Pacori, cfr. M. A. Terzoli, Commento al 'Pasticciaccio', Roma, Carocci, 2015, vol. I, p. 470; Ead., Iconografia esplicita e iconografia criptica nel 'Pasticciaccio', in Ead., Ecfrasi, immaginazione, scrittura. Letteratura e arti figurative da Dante a Gadda, Roma, Carocci, 2023, pp. 15-33. Sulla metafora tessile come simbolo testuale si rimanda a: G. Gorni, La metafora di testo, in Id., Metrica e analisi letteraria, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 137-54; P. Brooks, Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo, Torino, Einaudi, 1997; La trama nel romanzo del '900, a cura di L. Pietromarchi, Roma, Bulzoni, 2002. 