19, 2025
 
Saggi    
 


Stefano Tonietto

Le edizioni illustrate delle Macaronee folenghiane nel Cinquecento




1. Le quattro redazioni delle Macaronee
Durante la vita di Teofilo Folengo (1491-1544) il suo capolavoro, le Maccheronee, come si è soliti chiamarlo − la cui parte più cospicua consiste nel poema comico e cavalleresco Baldus − conobbe tre edizioni principali, rappresentanti ciascuna una diversa redazione del testo, che l'autore rimaneggiò e accrebbe, in un'incessante ricerca della perfezione linguistica e artistica, per quasi trent'anni:

  1. L'editio princeps, detta comunemente Paganini o P1 secondo gli specialisti, uscì a Venezia per i tipi di Alessandro Paganini nel 1517, col titolo di Liber Macaronices sotto lo pseudonimo di Merlinus Cocaius: comprendeva una introduzione in prosa attribuita a magister Aquarius Lodola (sempre il Folengo), due ecloghe rusticane e un poema in 17 libri, centrato sulle avventure dell'eroe Baldo prima nel villaggio mantovano di Cipada, poi per mari e terre lontane. La novità dell'opera era l'utilizzo del "macaronico", una mescolanza di latino umanistico e italiano volgare dell'Italia settentrionale, sull'esempio del ben più breve poemetto padovano Macaronea di Tifi Odasi, stampata negli anni Ottanta del XV secolo. Il Liber Macaronices ebbe solo due riedizioni, a Venezia nel 1520 o forse nel 1521 (Cesare Arrivabene, detta P2) e nel 1520 a Milano (Agostino da Vimercate per conto di Giovanni Iacobo e fratelli da Legnano, detta P3), per poi cadere nell'oblio fino alla recente edizione critica curata da Massimo Zaggia.1

  2. La Toscolanense o T1, così detta perché stampata ancora da Alessandro Paganini a Toscolano sul Garda (gennaio 1521), col titolo complessivo di Opus Merlini Cocaii poetae Mantuani macaronicorum. L'originario testo di P1 è più che raddoppiato di mole, articolato in quattro sezioni precedute da un paratesto in prosa attribuito in parte ad Aquarius Lodola, in parte a Merlino stesso, e cioè: la Zanitonella, ampio canzoniere sviluppato dalle due ecloghe del 1517 e narrante l'infelice storia d'amore del contadino Tonello per la villanella Zanina; le Phantasiae Macaronicon, ovvero il poema di Baldo cresciuto fino a 25 libri in esametri; la Moschaea in tre libri in distici elegiaci, ovvero la guerra tra le mosche e le formiche; infine un Libellus epistolarum et epigrammatum. Il volume si presenta come un'edizione di classici, corredato di gustose glosse a margine che parodizzano lo stile delle pubblicazioni accademiche. Novità di questa stampa è la serie di 54 silografie (di cui una ripetuta) che offrono al pubblico un riscontro visivo alle vicende di personaggi ispirati da un lato alla tradizione novellistica, dall'altro alla poesia cavalleresca d'impianto carolingio. Benché successivamente rielaborata dall'autore, questa rimase per alcuni secoli la redazione delle Maccheronee più letta e più amata, come testimonia la serie delle riprese successive:

T2: Milano, Agostino da Vimercate per conto di Niccolò da Gorgonzola, 1522;
T3: Venezia, Nicolò Bevilacqua, 1564;
T4: Venezia, Iacopo Simbeni, 1572;
T5: Venezia, Giovanni Varisco e soci, 1573;
T6: Venezia, Orazio de Gobbis 1580/1581;
T7: Venezia, Domenico de Imbertis, 1585;
T8: Venezia (ma Strasburgo), Nicolò Bevilacqua (ma Lazarus Zentzner), 1613;
T9: Amsterdam (per alcuni Napoli), Abraham à Someren, 1692.

Ancora il testo di T1, benché a volte rimaneggiato, sarà poi alla base delle edizioni di Teranza-Braglia (Mantova, 1768-1771) e Portioli (1882). Solo con l'edizione di Alessandro Luzio (Bari 1911) si avrà il superamento della Toscolanense in favore dell'ultima stesura lasciata dall'autore.
Il testo critico integrale della Toscolanense curato da Massimo Zaggia è in corso di stampa presso le Edizioni dell'Orso di Alessandria.2

  3. La Cipadense, dal fittizio luogo d'edizione (Cipada), o C1, rappresenta la terza stesura e l'ultima lasciata completa dal Folengo. Priva di data (si tende a considerarla del 1535) e di nome d'editore (non il fittizio magister Aquarius Lodola ma probabilmente il veneziano Aurelio Pincio) reca come titolo complessivo Macaronicorum poema e si articola in. Zanitonella, Baldus (il poema principale ha ora il suo titolo definitivo), Moschaea ed Epigrammata. Frutto di una attenta e scrupolosa revisione d'autore, questa stesura abbandona sia l'apparato di glosse che le silografie, presentandosi in forma quasi "spartana". Probabilmente non ebbe il successo sperato perché ne conosciamo appena una edizione successiva: Venezia, Pietro Boselli 1555 (C2).

  4. Morendo nel dicembre 1544 a Campese di Bassano del Grappa, Folengo lasciò incompiuta una nuova revisione delle Maccheronee, che uscì postuma alcuni anni dopo: si tratta della redazione Vigaso Cocaio (dal nome del presunto curatore) o V1, apparsa a Venezia nel 1552 per gli Eredi di Pietro Ravani e soci col titolo di Merlini Cocalii (sic) poetae Mantuani Macaronicorum poemata. Essa, considerata oggigiorno la "volontà ultima dell'autore" e posta a base delle edizioni novecentesche, da quella di Luzio3 a quella di Chiesa,4 si presentò senza glosse e senza illustrazioni; tuttavia, solo due anni dopo, nel 1554, i medesimi editori la ripubblicarono (V2) con l'aggiunta di 27 delle antiche silografie di T1. La Vigaso Cocaio ebbe in quel secolo solo un'altra stampa, nel 1561 a Venezia a cura di Giovanni Varisco (V3). Come si è visto poco sopra, essa soccombette al maggiore successo della Toscolanense, rilanciata pochi anni dopo, nel 1564, da Nicolò Bevilacqua con un nuovo apparato illustrativo, di cui verremo a parlare più oltre.


2. L'apparato illustrativo delle ristampe della Paganini (P2 1520 o 1521, P3, 1520)5
L'edizione milanese di Cesare Arrivabene del 1520 (P2) è la prima stampa delle opere folenghiane corredata di immagini. Tuttavia, tali immagini sono appena tre, nessuna delle quali sembra avere molta attinenza diretta con l'opera.
L'immagine del frontespizio mostra la Musa Calliope intenta a suonare uno strumento ad archetto entro una nicchia architettonica [Fig. 1]. All'inizio del primo libro del poema compare una seconda silografia, raffigurante un duello fra due cavalieri [Fig. 2], ripetuta poi altre quattro volte nel corso del volume. Una terza illustrazione, in apparenza più attinente al testo, compare all'inizio del terzo libro e mostra tre figure, forse Tognazzo, Zambello e Lena davanti a un giudice o pretore, e viene ripetuta altre sei volte [Fig. 3]. L'edizione di Agostino da Vimercate per conto di Giovanni Iacobo e fratelli da Legnano (P3) utilizza invece solo due silografie: una sul frontespizio e una subito prima dell'inizio del poema, sempre con una figura di cantore o poeta davanti ad una scenografia architettonica, pertanto senza alcuna attinenza col testo del Liber macaronices.

3. L'apparato illustrativo della Toscolanense detto Paganini (T1, 1521)
Nel rilanciare, arricchito e accresciuto rispetto alla stampa del 1517, l'opera di Merlin Cocai, l'editore Alessandro Paganini decise di investire tempo, denaro ed energie nell'allestimento di un corpus di ben 53 silografie, appositamente commissionate a un artista (o forse a due, come si sospetta) e destinate ad offrire un'immagine visiva ai nuovi eroi della nuova epopea che veniva rilanciata. Era prassi già consueta che i poemi cavallereschi fossero illustrati, ma generalmente si trattava di figure stereotipate che riprendevano situazioni tipiche del genere narrativo: duelli alla lancia, scontri di cavalieri, assedi di città, sessioni di sovrani in trono, accampamenti, e così via. È noto che spesso proprio per la loro genericità tali legni potevano venire riutilizzati per altri poemi di altri autori, senza grave danno per il senso.6 Una vistosa eccezione, tra Quattro e Cinquecento, potrebbe essere rappresentata dalle silografie che raffigurano i due eroi del poema di Luigi Pulci, Morgante e Margutte: proprio per la loro diversità rispetto agli stereotipi, per le loro particolarità fisiche e di carattere essi appaiono sovente sui frontespizi del Morgante maggiore o anche del cosiddetto Fioretto di Morgante e Margutte, vero e proprio "estratto" dall'opera completa [Figg. 4 e 5].
Da un assunto simile sembra essere partito l'anonimo autore delle silografie di T1: soprattutto le prime illustrazioni, infatti, sembrano dare un volto ai personaggi principali ideati da Merlino: a cominciare dal poeta stesso, che compare nella prima silografia assieme a due delle sue gioconde Muse intente a rimpinzarlo di macaroni o gnocchi [Fig. 6]; per continuare con un bel ritratto a figura intera di Tonello, il contadino protagonista della Zanitonella [Fig. 7]; per arrivare infine all'apertura del Baldus su cui campeggia un magnifico cavaliere che non è altri che Guidone, il futuro padre dell'eroe [Fig. 8]. Guidone appare poi in compagnia di Baldovina, futura madre di Baldo, nella loro fuga verso Mantova e Cipada [Fig. 9]. Ci si aspetterebbe poi un ritratto di Berto Panada, il buon villano che accoglie i due esuli, ma ricordiamo che il personaggio è anonimo e appena abbozzato nella edizione del 1521 e acquisterà rilievo solo nella successiva Cipadense. Si susseguono quindi i ritratti del protagonista, di Baldo, prima bambino, intento al suo primo efferato omicidio [Fig. 10], poi giovanotto, in compagnia di due dei suoi più fedeli soci: il gigante Fracasso e il volpino Cingar [Fig. 11]. Si badi poi che le illustrazioni successive presentano a più riprese e in varie situazioni Zambello, il disgraziato fratello putativo di Baldo, e barba Tognazzo, il notabile della villa acerrimo nemico dell'eroe [Figg. 12, 14, 15]. Non mancano poi i ritratti di Berta e Lena, dello speziale beffato e di altri personaggi minori, come pre Iacopino e il notaio Briosso. Solo con la svolta del libro X, che imprime un carattere più marcatamente epico-cavalleresco al poema, le illustrazioni iniziano a mostrare scene di massa, battaglie terrestri [Fig. 16] e navali, lotte con pirati, con draghi e con demoni, e insomma situazioni in cui il contorno paesaggistico e la dinamica del movimento prevale sulla caratterizzazione del singolo personaggio. Le silografie dei libri finali, dedicati alla lotta contro le streghe e contro i diavoli dell'Inferno, si fanno confuse, agitate e convulse; in qualche caso sembrano trascurare episodi importanti, ad esempio l'entrata nella grande zucca dei bugiardi, e concentrarsi su dettagli minori, come l'incontro con l'Utrum e con il mediocre poeta Pietro Durante [Fig. 17]. È stato notato come la collocazione delle silografie, sempre in corrispondenza del passo che illustrano, non obbedisca a un criterio ordinato ma «alla sola legge dell'ispirazione»: 7 alcuni libri del Baldus hanno fino a quattro vignette, alcuni libri ne sono totalmente privi.8 Rimane la grande efficacia di questi disegni, non a caso ripresi da numerose ristampe successive (nel Cinquecento, dopo T1, da V2, V3, T5, e nel XX secolo dalla traduzione con testo a fronte di Giuseppe Tonna9 e da quella già citata di Mario Chiesa (1997). È paradossale che questo apparato di silografie sia stato affiancato anche alla quarta redazione, la Vigaso Cocaio, malgrado alcune situazioni narrative siano venute a cambiare e alcuni personaggi abbiano cambiato nome (come il centauro Vinmazzus/Virmazzus e la strega Cùlfora/Gèlfora), oppure aspetto (Cingar, dai capelli ricci nella Toscolanense, è detto «penitus tosatus» nella Vigaso Cocaio). Proprio questa continua riutilizzazione, direi quasi fino all'esaurimento, dei legni del 1521 ne testimonia il successo presso i lettori, a quanto pare persino eccessivo.10

4. Il secondo apparato illustrativo detto Bevilacqua I (T3, 1564)
Qualche anno dopo l'uscita della redazione postuma delle Maccheronee (le tre stampe V1 del 1552, V2 del 1554 e V3 del 1555), lo stampatore veneziano Nicolò Bevilacqua decideva di rilanciare il testo della Toscolanense e lo rieditava nel 1564 (T3) con tutto il corpus delle sue glosse e con 27 silografie originali (una ripetuta) esemplate in massima parte su quelle di T1. Di fatto il Bevilaqua, forse approfittando dello scadere del privilegio di stampa concesso a Giovanni Varisco e della scomparsa degli ultimi parenti di Folengo in grado di rivendicare un qualche diritto sulle opere di Teofilo, riportava sul mercato editoriale la più popolare delle redazioni merliniane e, non volendo o non potendo riutilizzare i vecchi legni, ne ordinava di nuovi ad un artista a noi sconosciuto.
Le nuove illustrazioni, non più a pagina intera ma a metà pagina, erano collocate in modo ordinato all'inizio del volume, al principio della Zanitonella e poi all'inizio di ciascuno dei 25 libri del Baldus. Va rimarcato che questa nuova serie di immagini, se da un lato richiama quelle del 1521 (che vengono in genere imitate molto da presso, solamente rovesciandole in modo speculare), in qualche caso se ne distacca illustrando passi del poema in precedenza non raffigurati, come la cattura di Baldo, la contesa su Chiarina, le pecore fatte cadere in mare da Cingar. Qua e là l'artista si mostra capace di un'efficace sintesi: il suo Cingar è muscoloso e ben piantato, il suo Tognazzo è atletico nel ballo contadinesco. Anche le silografie di Bevilacqua ottennero successo, visto che le ritroviamo nelle successive stampe T4 (1572), T6 (1580/81), T7 (1585).11 Gli editori dei nostri tempi invece le hanno trascurate: o tornando a quelle del 1521 oppure riprendendo quelle, compendiarie, del Someren (1692) o quelle, di gusto settecentesco, dell'edizione Teranza-Braglia (1768-1771).

5. Il terzo apparato illustrativo detto Bevilacqua II (T8, 1613)
Forse il deterioramento, a distanza di mezzo secolo, dei legni Bevilacqua del 1564 indusse l'editore di T8 (Venezia, 1613), che si firma anch'egli Nicolò Bevilacqua ma difficilmente può essere la stessa persona, a fare reincidere 24 legni nell'ottica di una strettissima aderenza ai precedenti: l'artista che li incise riprodusse i disegni del suo predecessore generalmente peggiorandoli, anche se in qualche caso alcuni volti acquistano in energia di carattere.
Questo apparato non verrà più riutilizzato ed è anzi ignorato da pressoché tutti gli studiosi moderni. Non rientra nei propositi del presente saggio il parlare dei due successivi corpora d'immagini, quello già citato del Someren 1692 e quello del Teranza-Braglia del 1768-1771, che appartengono a stagioni artistiche ormai molto lontane dal mondo di Teofilo Folengo (per due esempi dello stile artistico di queste due tarde edizioni si vedano le Figg. 34 e 35).

6. Scelta di xilografie dell'edizione Paganini 1521 confrontate con quelle Bevilacqua del 1564 e 1613
Fig. 6Figg. 18, 19. Emblematica della poetica di Merlin Cocai è l'immagine del retro frontespizio, che compare anche alla fine dei paratesti iniziali: il grasso poeta ubriacone è imboccato di macarones da due delle sue ghiotte Muse, Togna e Zana. L'immagine si rivelerà vincente nella costruzione del mito di Merlino, poeta pancificus, tanto che verrà imitata dal Bevilacqua nel 1564 e poi ancora dall'edizione 1613.

Fig. 7Figg. 20, 21. L'unica illustrazione della Zanitonella ha un chiaro impianto bucolico (si noti il gregge di pecore) ma anche rusticano (realistici gli abiti) e insieme rinvia a Virgilio delineando due personaggi: uno in piedi, dall'aria tormentata, e l'altro sdraiato all'ombra di un albero. Bevilacqua non manca di riprendere l'immagine, rifatta poi per l'edizione 1613.
Fig. 8. L'immagine eroica di Guidone, il padre di Baldo, campeggia a inizio del poema, in abiti da parata più che da combattimento, e ci trasporta in un clima cortese-cavalleresco. Le edizioni 1564 e 1613 non riprendono il soggetto.
Fig. 9. Anche la romantica illustrazione della fuga di Guidone e Baldovina, già incinta di Baldo, attraverso le Alpi fino a Mantova e a Cipada resta caratteristica dell'edizione 1521.
Fig. 10Figg. 22, 23. La prima impresa di Baldo fanciullo, l'uccisione di uno sbirro bullo (Slanzagnocco), che ricorda analoghe imprese del piccolo Orlando, campeggia nell'edizione 1521 e viene poi ripresa, in due versioni, nel 1564 e nel 1613.
Fig. 11. Fondamentale questo triplice ritratto di Baldo ormai adulto e di due dei suoi più caratteristici compagni, il gigante Fracasso e il bravo Cingar, in quanto fornisce al lettore la fisionomia di personaggi del tutto nuovi, mai comparsi in precedenti narrazioni. Tuttavia i successivi cicli illustrativi non riprendono l'immagine.
Fig. 12. Anche questo ritratto doppio del rustico Zambello e dell'archivillanus, barba Tognazzo, adempie (ma solo nell'edizione 1521) al fondamentale compito di fornire un riscontro visivo alle descrizioni dei personaggi presenti nel testo, peraltro seguite con estrema attenzione.
Fig. 13Figg. 24, 25. La pietosa immagine di Baldo condotto prigioniero davanti al trono del podestà Gaioffo richiama l'episodio di Cristo davanti a Pilato. L'artista del 1564 rovescia l'immagine verso sinistra e cambia sostanzialmente i tratti fisiognomici dei due personaggi principali (l'artista del 1613 segue pedissequamente).
Fig. 14Figg. 26, 27. Si tratta di una delle illustrazioni più dinamiche, il ballo dei contadini, uno dei quali piroetta acrobaticamente su un selciato che sembrerebbe cittadino. A destra, Tognazzo appare irretito dalle grazie di Berta che lo adesca, mentre il bieco Cingar agisce da regista della beffa. L'artista del 1564 preferisce dare atleticità a Tognazzo stesso, che danza già con Berta senza badare a Cingar che sulla sinistra osserva attentamente.
Fig. 15Figg. 28, 29. La beffa ai danni dello speziale e la sua maleodorante vendetta è una scena quasi da commedia, che l'artista al servizio del Paganini, infatti, colloca davanti a quello che sembra un fondale di teatro rinascimentale. Nel 1564 i personaggi vengono riorientati verso lo spettatore e il gesto dello speziale appare decisamente più energico. L'edizione del 1613 copia semplicemente.
Fig. 16Figg. 30, 31. Un'epica scena di battaglia, simile alle tante che si potevano vedere, all'inizio del Cinquecento, sulle pagine dei poemi cavallereschi. Tuttavia il caos complessivo e i pezzi di corpi umani in primo piano sembrano spostare l'azione verso il farsesco, e lo sfondo del combattimento non è altro che un'osteria mantovana. Nelle più sobrie versioni 1564 e 1613 della stessa immagine è evidenziata anche l'insegna dell'osteria, una specie di cerchio appeso a un bastone che sporge dal muro.
Fig. 17Figg. 32, 33. Dalla chiusa del poema ecco l'incontro col poetastro Durante, cui un diavolo cornuto strappa i denti, tanti quante sono le bugie che egli ha scritto. Sul fondo si nota una fornace infernale, assente nel testo, ove l'azione si svolge dentro un'immensa zucca cava. Gli artisti del 1564 e 1613 forniscono un'interpretazione che non sfigura eccessivamente con quella di T1.
Fig. 34. Esempio dello stile dell'edizione Someren 1692: l'illustrazione di apertura della Zanitonella (da confrontarsi con le Figg. 7, 20, 21) mostra − ed è una novità − il personaggio di Zanina in piedi davanti a Tonello sdraiato; elementi di architettura classica e un lontano migrare d'uccelli suggeriscono un'atmosfera malinconica.
Fig. 35. Esempio dello stile dell'edizione Braglia-Teranza 1768-71 è l'illustrazione di apertura della Zanitonella (da confrontarsi con le Figg. 7, 20, 21 e 34). Stavolta è Zanina a starsene sdraiata mentre Tonello con lunga falce è in piedi davanti a lei nell'atto galante ma vano di offrirle un fiore. Sullo sfondo vediamo un'altra scena del poemetto: un alterco tra due figure maschili, Bigolino che prevale su Tonello mentre un terzo personaggio, Pedralo, interviene a fermarli (Zan. T 1269-1283). I realistici dettagli di costume ci portano in un'atmosfera quasi goldoniana.

S. T.



  Immagini

Note

1 T. Folengo, La prima redazione delle Macaronee detta Paganini. Liber macaronices 1517, testo a cura di M. Zaggia, introduzione di R. Galbiati, glossario a cura di F. Baricci, Alessandria, Edizioni Dell'Orso, 2023. torna su
2 Il presente contributo sintetizza alcune delle conclusioni esposte in T. Folengo, La seconda redazione delle Macaronee detta Toscolanense Opus macaronicorum 1521, testo a cura di M. Zaggia, introduzione di R. Galbiati, glossario a cura di F. Baricci, note alle illustrazioni a cura di S. Tonietto, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2025. torna su
3 Merlin Cocai (T. Folengo), Le Maccheronee, a cura di A. Luzio, Bari, Giuseppe Laterza & Figli, 1911; seconda edizione riveduta, ivi, 1927 (vol. I) e 1928 (vol. II). torna su
4 T. Folengo, Baldus, a cura di M. Chiesa, Torino, UTET, 1997. L'edizione Chiesa è limitata al solo Baldus. torna su
5 Ho desunto i dati per questo paragrafo da R. Stringa, L'edizione Paganini delle Macaronee e le sue ristampe. Inserto fotografico-bibliografico, in "O macaroneam Musae quae funditis artem". Studi su Teofilo Folengo a cinquecento anni dalle prime Macaronee, a cura di F. Baricci, Manziana, Vecchiarelli Editore, 2021, pp. 563-87 (con immagini) e dalla nota al testo di Massimo Zaggia a Folengo, La prima redazione delle Macaronee cit., pp. XXV-XXVI e XXXIX-XL. torna su
6 A. Nuovo, Alessandro Paganino e Teofilo Folengo, saggio annesso a Edizione "Toscolanense" delle opere macaroniche di T. Folengo, a cura di A. Nuovo, G. Bernardi Perini, R. Signorini, Volta Mantovana, Mantova, Bassano del Grappa, Associazione Amici di Merlin Cocai, 1994, p. 6. torna su
7 Ibid. torna su
8 Il paratesto ha una illustrazione (Merlino tra le Muse), che poi viene ripresa al principio del poema; la Zanitonella ha una sola immagine, la Moschaea e gli altri testi nessuna. torna su
9 T. Folengo, Il Baldo padano, Traduzione di G. Tonna dai LIBRI I-X del Baldus nel 500° della redazione di Toscolano sul Garda di OPVS MERLINI COCAII POETAE MANTVANI MACARONICORVM 1521 con gli ARGVMENTA tradotti da G. Bernardi Perini, a cura di O. Fabris, Campese, Associazione Amici di Merlin Cocai, 20212. torna su
10 Ho notizia di almeno un esemplare di T1 (in collezione privata) nel quale alcune vignette sono state asportate in epoca non precisabile; altre singole silografie apparivano qualche anno fa su siti di compravendita libraria. torna su
11 Tra 1564 e 1572 almeno due legni dovettero andare persi o deteriorati, perché non compaiono nelle ristampe successive (quelli dei libri XIII e XXI). torna su